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  1. Secondo affondo in archivio per stasera (si sa mai che vi si distragga un pochetto ). Ora... trattasi di un articolo riguardante la gestazione della Giulietta, non troppo approfondito e scritto anche in modo molto semplice. Vale quindi la regola che ho già scritto al termine dell'altro topic di stasera, sul motore modulare. Se vi sono correzioni o aggiunte da fare, ben vengano. Le foto a corredo di questo topic in buona parte sono già apparse sul web da parte di altri autorevoli siti e forum, che le hanno rimarchiate col loro watermark. Essendone in possesso per via della rivista madre in archivio, ho pensato di postarle citando la fonte come mi è da tempo stato suggerito dall'amministrazione di AP. Questo per dire che non intendo far nessun torto ad altri siti. Le foto le avevo in archivio e penso sia giusto nel mio caso citare la fonte da cui ho attinto io. Buona lettura. PROGETTO 116.44/50 – GIULIETTA “Il primo periodo degli Anni 70 è stato decisivo per l'impostazione dell'attuale produzione Alfa Romeo, che dopo aver presentato in rapida successione i fondamentali modelli delle gamme Alfetta e Alfasud, si dedicava al nuovo progetto “116.44/50”, denominato più comunemente Alfettina, e con il quale si intendeva sostituire la prestigiosa, ma ormai anziana Giulia. Furono gli stilisti a iniziare per primi il lavoro nella primavera del 1973, producendo una gran quantità di schizzi di prima interpretazione dell'immagine della vettura. Come di consueto, sulla base delle più moderne e varie tendenze di styling, vennero proposte svariate soluzioni alternative: sulla forma ad esempio, si ebbero i più vivaci dibattiti tra i tecnici, ormai divisi tra le opposte tesi dei due e dei tre volumi. Ma non fu questo l'unico punto di contrasto; si doveva decidere sul profilo della fiancata, sul numero delle luci laterali, sull'andamento orizzontale della linea di cintura, sul taglio della coda, sull'inquadratura della fanaleria e su altri numerosi piccoli e grandi dettagli. Tra i primi schizzi creativi dell'immagine del progetto “116.44/50” troviamo anche questa berlina “fast-back” dalla linea non modernissima e poco personale, che sembrò successivamente poco adatta ad intepretare il ruolo della vettura Alfa Romeo di classe media. Di questo disegno venne ritenuta valida solo la soluzione data al paraurti che appare integrato nella linea del frontale e viene a formare uno spoiler nella zona inferiore. I disegni che rappresentano le soluzioni di forma a tre volumi risentono in alcuni casi di una certa mancanza di idee personali. E' il caso di questa berlina equilibrata, ma piuttosto corposa, disegnata verso la fine del '73. Fu scartata come idea per la soluzione data all'elaboratissimo bagagliaio. Un'altra soluzione di forma a due volumi può essere datata gennaio 1974 con fiancata a tre luci. Fino alle ultime battute i fautori di questa soluzione continuarono a proporre un gran numero di schizzi nella speranza, forse, di indurre il marketing a dare via libera a una Giulietta a due volumi. Immutato lo stile a cuneo della parte anteriore. Uno dei disegni più importanti nell'evoluzione stilistica della Giulietta è questo. Venne ribattezzato il “Giugiaro azzurro” perchè in esso si intravvedevano alcuni dei motivi più caratterizzanti del noto stilista torinese. L'importanza del disegno sta nel fatto che da esso, per successive elaborazioni, derivò il disegno definitivo della parte posteriore. Di nuovo nel campo dei tre volumi, questa “aragosta” la cui importanza è paragonabile al suddetto “Giugiaro azzurro”. Dall'unione delle idee più valide espresse dai due disegni derivò lo stile personale della Giulietta. Le uniche critiche furono rivolte al disegno della scanalatura curvilinea alla base del montante posteriore, che mal si armonizzava all'insieme, e alla forma dei fari. Ultimo sketch della rassegna... forse presagendo la prossima sconfitta, alcuni stilisti propensi al due volumi ricrearono soluzioni intermedie da contrapporre all'ormai imminente vittoria del tre volumi. Abbandonate le tre luci laterali e praticamente definita la linea filante della fiancata e del cofano, rimaneva in forse la sola linea posteriore, che appariva tozza. Le idee più promettenti prendevano forma nei modelli di plastillina solitamente realizzati in scala 1:10. L'esecuzione tridimensionale permette infatti di giudicare, in modo più attinente alla realtà, la validità estetica della forma e il suo equilibrio volumetrico, senza essere viziata dalla colorazione e dal senso di prospettiva a cui il grafico non può rinunciare nella stesura su carta. In queste fotografie i primi modellini realizzati in plastillina al Centro Stile dell'Alfa Romeo. La linea della fiancata ha in entrambi i casi lo stesso profilo discendente posto in risalto dalla forzatura del cofano verso il basso e dal moderato rialzo della modanatura alla base del montante posteriore. I fianchi si differenziano nel taglio della vetratura posteriore che nella fotografia sopra è a tre luci (con la terza fissa che alleggerisce l'incidenza del montante) mentre in basso è a due luci e viene tagliata da una vistosa grigliatura a sviluppo verticale che avrebbe dovuto mimetizzare le uscite dell'aria dall'abitacolo. L'idea di inserire i paraurti nella linea della vettura verrà dopo. Il modello in plastillina ritratto qui sotto differisce dal precedente per due soluzioni particolari: il profilo del cofano presegue alla linea di cintura senza forzature verso il basso, donando al frontale una maggiore compostezza. Il cofano bagagli risulta lievemente allungato per conferire un maggior slancio alla parte posteriore e una più elevata capacità al vano bagagli. In questa versione il lunotto veniva parzialmente incassato rispetto al profilo del montante e facilmente si sarebbe realizzato un portellone posteriore. E' in genere a questo punto che cominciano i guai per gli stilisti. I tecnici dell'Alfa Romeo, infatti, sino ad allora poco più che semplici osservatori, si “lanciarono in picchiata” sullo stilista che stava cominciando ad illudersi dell'indipendenza artistica del suo lavoro. Ingombri meccanici più precisi, calcoli strutturali, corrispondenza alle legislazioni dei vari Paesi e possibile funzionalità dei vari particolari vennero posti in discussione e impietosi colpi d'accetta tagliarono i rami dell'inventiva stilistica alla ricerca del funzionale e del realistico. Verso la fine del 1974 un gruppo ristretto di modellini venne presentato ai massimi dirigenti dell'Alfa Romeo che espressero la loro approvazione sul lavoro effettuato, mentre i soliti invisi esperti per la parte commerciale stabilirono in quattro e quattr'otto che la forma a tre volumi meglio si addiceva alla collocazione della vettura (“perchè così non avrebbe dato un'idea utilitaristica”) e che la soluzione della fiancata a tre luci “avrebbe fatto troppo limousine” in contrasto con il fatto già appurato che l'Alfettina era una vettura di classe media da individuarsi tra le medio-inferiori Alfasud e la medio-alta Alfetta. Naturalmente anche questo ulteriore esame non fu definitivo, ma fu egualmente scelta una serie di soluzioni come “quel frontale”, “questo corpo vettura”, “quella coda” e così via; ma ormai gli stilisti stavano tirando le somme del loro lavoro e, in stretta collaborazione con i progettisti, realizzarono il primo manichino della “116.44/50”in scala reale. La linea a questo punto (si era nei primi mesi del 1975) era definita nel suo sviluppo generale, ma molto lavoro attendeva ancora gli stilisti che dovevano definire i particolari (paraurti, luci, prese d'aria, ecc.) nonché ingegnarsi nella definizione degli interni a partire da un simulacro dimensionale denominato “filo di ferro” perchè realizzato con sottili tubi saldati tra loro e ricoperti in alcune zone da pannelli di legno. Vediamo ora alcune immagini dell'allestimento dell'abitacolo durante la fase di studio. Qui uno scorcio della parte anteriore. Si noti la soluzione della canalizzazione dell'aria alla base del parabrezza. Un esempio delle prove di stile del pannello porta posteriore sinistra realizzata sul “filo di ferro”, fotografato al Centro Stile. La soluzione già riporta delle bande protettive. Sullo stesso “filo di ferro” la soluzione provata sulla portiera di destra. Fu scartata perchè non prevedeva il posacenere incorporato e appariva misera nella parte alta. Il modello in scala reale fu prelevato e “dato in pasto” ad un gruppo di tecnici appartenenti al “DACAR”, una sezione più comunemente conosciuta in Alfa Romeo come “quelli del calcolatore”. Un apparecchio elettronico spaziale (ohè non sto parlando di Capitan Harlock... e state un pochino attenti )rilevò la forma della vettura, integrando opportunamente le imprecisioni del manichino realizzato a mano dagli stilisti. Linee continue e superfici geometriche perfette venivano memorizzate e trasferite su nastro per servire da comando alle fresatrici a controllo numerico che realizzavano stampi di elevata precisione da cui sarebbe nata la vettura. Così il calcolatore rappresentava la linea esterna del corpo solido. Un corpo chiamato Giulietta, ma questo non era essenziale per una macchina che agiva esclusivamente sulla base di numeri 0 e 1. Contemporaneamente, secondo un procedimento matematico denominato “a elementi finiti”, le superfici e i componenti strutturali della carrozzeria, ridotti a elementi geometrici semplici, venivano sottoposti all'esame del calcolatore che ne verificava la resistenza agli sforzi e alle deformazioni. Venne anche costruito un particolare modello in legno che riproduceva in elementi semplificati la struttura della nuova Alfa Romeo. Passo dopo passo il calcolatore effettuava, per ognuna delle centinaia di elementi geometrici finiti, un calcolo strutturale del quale gli ingegneri ben conoscono la complessità, nella sua formulazione integro-differenziale, correlandone inoltre il comportamento complessivo. Va ricordato che con questo metodo i tecnici ottengono il massimo e più uniforme utilizzo delle strutture con il minimo spreco di materiale evitando soprattutto concentrazioni di tensioni (carichi a cui può essere sottoposto un singolo elemento) dannose alla sicurezza e alla resistenza. Tra la fine del 1975 e gli inizi del 1976 la Giulietta (così pensavano di chiamarla i poco fantasiosi maghi del marketing) era praticamente definita nella sua completezza e iniziava così la sua lunghissima sperimentazione su strada sotto le mentite spoglie dei prototipi, che ne mascheravano le linee più caratterizzanti. Molto era già stato fatto per i gruppi meccanici derivati da quelli dell'Alfetta e per i motori che in versione 1300 o 1600 avevano già percorso almeno 250.000 chilometri sotto il cofano di apparentemente normali vetture Giulia e Alfetta. Altre lunghe prove dovevano ancora essere portate a termine; in particolare quelle relative agli assetti (di importanza vitale in casa Alfa), le analisi del comfort, le prove di sicurezza e le analisi aerodinamiche. Il primo studio aerodinamico era stato realizzato su modelli in scala. La Giulietta aveva dimostrato la sua validità specie sul piano della deportanza, ma ciò non bastava a tranquillizzare i tecnici che ne proseguivano le prove dapprima su strada con un prototipo dalla linea il più vicino possibile al reale, compatibilmente con le esigenze di segretezza, denominato guarda caso “Aereo”... (qui lo vediamo in una delle tante foto dell'epoca, già viste in precedenza; in questo caso siamo allo steering pad di Balocco) ...e successivamente alla galleria del vento di Pininfarina, dove talune soluzioni rimaste in dubbio, come le prese d'aria sul cofano e la sistemazione del paraurti-spoiler vennero definite. Si era ormai agli sgoccioli: solo i tecnici della sicurezza continuavano allegramente a spaccare Giulietta contro le barriere, nei roll-over, nei tamponamenti guidati, tempestandole di colpi e strappi. In un altro laboratorio si prova la resistenza sotto trazione delle cinture di sicurezza di una Giulietta a cui, per comodità, sono state tagliate la paratia parafiamma e l'ossatura del cruscotto. La prova avviene ponendo contemporaneamente in trazione il ramo diagonale e quello ventrale delle cinture, con una forza di 1200 chilogrammi, superiore alla resistenza stessa del fisico umano. La forza esercitata idraulicamente tramite robusti cavi d'acciaio, agisce su tutto il sistema di ritenzione che è composto dalle cinture di sicurezza, dagli attacchi e dalla struttura del tessuto. Il cofano motore viene sollecitato allo strappo da una forza applicata pneumaticamente del valore di 800 chilogrammi per verificare la resistenza del dispositivo di blocco ed eliminare il pericolo di sganciamento. Il cofano è costruito in modo da piegarsi all'urto frontale senza penetrare nell'abitacolo. Spettatori davanti a tutti questi tipi di prove, persino i colleghi dei terreni speciali di Balocco ne venivano impressionati, ma malgrado tutto ciò si riuscì solo a dimostrare che l'analisi strutturale del calcolatore elettronico era esatta e la Giulietta andò a conoscere il suo pubblico.” Fine. Foto e info di testo da Gente Motori 1978 – Gianni Montani
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