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[Mai Nate] Le "altre" Italiane: De Tomaso, Isotta Fraschini, Iso Grifo, Cizeta...


PaoloGTC

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Onestamente importa poco anche a me per l'Isotta, sia per l'auto che per il suo manager, che da quel che si è letto pare fosse tutt'altro che una persona affidabile.

Mi spiace invece per Zampolli e Moroder e il loro sogno... forse non avrebbero fatto fortuna, ma non farcela all'ultimo.... peccato.

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"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Il terzo raccontino è dedicato alla Iso Grifo, invece, che 17 anni fa parve ritornare sul mercato.

Sul finire degli anni 80 un gruppo di imprenditori si mise assieme con l'intenzione di far rinascere la Iso Rivolta, e nei dintorni di Modena affittò una villa per annunciare il ritorno di un mito.

Nell'estate del '91 la nuova granturismo Grifo era lì, al centro del prato della villa.

Oltre diciassette anni dopo, però, quell'unico esemplare giace dimenticato nel garage di un collezionista. La produzione, prevista nella zona di Bari, non è mai partita.

12 giugno 1991. A Villa Freni, vicino a Modena, viene presentata la Grifo 90. L'inedita berlinetta porta sul frontale uno dei marchi più significativi della storia dell'auto italiana, questa piccola ma prestigiosa casa milanese famosa per le sue fuoriserie e per aver realizzato nel 1953 la storica Isetta, la capostipite delle citycar.

Molti erano accorsi quel giorno di festa per vedere in anteprima la maquette di questa nuova granturismo italiana e soprattutto per festeggiare il ritorno della Iso che aveva chiuso i battenti sul finire del 1975.

La “nuova” Iso Rivolta era stata costituita a Milano nell'autunno del 1989 e i promotori dell'iniziativa erano gli stessi uomini che le avevano dato la fama in precedenza. Piero Rivolta, figlio del fondatore, e Piero Sala, amministratore delegato, ai quali si aggiungevano i fratelli Vinella, imprenditori pugliesi.

La nuova Grifo 90 aveva un design che richiamava l'aspetto delle precedenti supercar della Casa e adottava una meccanica GM, fatta di un V8 di 5.7 litri da 440 cv. La sua velocità massima era stimata in 300 km orari.

Le prime consegne ai clienti erano previste per il finire del 1993.

Si prevedeva di produrla nello stabilimento ove era operativa la divisione autobus dell'azienda, che avrebbe dovuto costruire pullman marchiati “Isobus” su meccanica Mercedes.

Tutto questo però non accadde.

Tornando indietro all'anno precedente, il 1990, a Conversano vi era un'azienda di nome CMC, una società mista con la quota di controllo detenuta dall'ente regionale per i trasporti, che produceva autobus in collaborazione con la Orlandi di Modena.

In quel periodo però arrivò una crisi per il settore autobus e l'ente regionale decise di cedere la sua quota ai fratelli Vinella, appunto.

La CMC divenne così Iso Rivolta e si arrivò ai progetti per i nuovi autobus e parallelamente venne impostato il progetto Grifo 90.

Per fare tutto questo era necessario ampliare lo stabilimento di Conversano e vennero richiesti finanziamenti pubblici (paghiamo sempre noi) che però furono erogati soltanto in parte e servirono solo a sovvenzionare i corsi di formazione per i lavoratori assunti nel settore autobus.

Nonostante queste difficoltà i primi autobus Iso-Mercedes vennero costruiti, ma la produzione fu stoppata quasi subito, perchè Mercedes pretendeva il pagamento immediato per i successivi autotelai (i tedeschi non sono mica come noi che ci perdiamo sempre).

Riguardo ai restanti finanziamenti, anche se approvati non furono mai erogati e nonostante l'auto fosse praticamente pronta, gli imprenditori della Iso non se la sentirono di andare avanti. Oltrettutto si cadeva proprio nel periodo in cui il mercato delle supercar aveva subito una forte contrazione.

Tutto finì nell'estate del 1992.

Il progetto della Grifo 90 rimase nelle mani dei fratelli Vinella, e lo stabilimento di Conversano fu venduto. I 60 lavoratori furono liquidati, e sei di loro formarono una cooperativa che a Conversano riparava autobus e autocarri dando lavoro a 25 persone.

Piero Rivolta andò negli States e continuò ad occuparsi del settore immobiliare, mentre Piero Sala si dedicò all'importazione di autoveicoli.

I fratelli Vinella continuarono ad occuparsi di diversi settori merceologici e lo stabilimento di Conversano divenne proprietà delle Ferrovie dello Stato.

Riguardo alla maquette della Grifo 90... come detto in principio, si gode un immeritato riposo anticipato dalle parti di Modena, nel garage di un collezionista modenese.

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(info da Quattroruote 91, foto dal web)

Modificato da PaoloGTC
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  • 1 mese fa...

Dopo la storia Iso, una piccola cosa riguardo De Tomaso, anche se è più Daihatsu che DT.

Più che altro per porre un quesito.

Scusate l'ignoranza, ma questa l'hanno fatta poi?

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Ho le foto da un po', purtroppo al momento non riesco a reperire articoli. Non ricordo se fosse accordo con DT per il nome da abbinare ad un kit potenziamento tutto giapu oppure fosse proprio una Charade by DT.

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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La storia è meno romantica di quello che si vuol far credere al grande pubblico, con soldi spariti versati da Moroder per la costruzione delle auto, il designer che intima di essere pagato altrimenti non consegna il mock-up già finito e pronto da presentare, e via di seguito.........ma il discorso meriterebbe una storia a sè.

Molto interessante, se capita che avrai tempo e voglia, mi piacerebbe sentire come sono andate le cose realmente, cioè diciamo il lato "meno romantico".

Sempre che si possa. Se non si possa :D me lo racconti in un orecchio? :)

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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  • 1 mese fa...

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Cizeta Moroder

Sogno a sedici cilindri

Non è semplice pensare ad un motore con più di dodici cilindri. Un po' perchè siamo naturalmente influenzati dalla nostra condizione di automobilisti “medi” a tre o quattro cilindri (con pochi altri a cinque e i più fortunati a sei cilindri); un po' perchè l'Olimpo dell'Automobilismo celebra da decenni il motore V12. Ma non è sempre stato così. Un esempio è la Bugatti Veyron, supercar “astronomica” con il suo incredibile motore W16, un esempio è stata la Cadillac V-16, una sorta di enorme incrociatore da strada concepito negli anni '30. Tra i due estremi ritroviamo, oltre ad una miriade di prototipi e concept car, una particolare sportiva italiana: la Cizeta-Moroder V16T.

A metà anni '70, Claudio Zampolli, mentre operava negli Stati Uniti per conto della Lamborghini, accarezzò l'idea di una sua, esclusiva, supercar con cui appannare i nomi “sacri” dell'automobilismo emiliano. Il sogno rimase tale per anni, fin quando il legame tra Zampolli e la Casa modenese si interruppe e lo stesso potè finalmente dedicarsi “anima e corpo” alla sua idea. A supportarlo vi era l'autore e produttore musicale altoatesino Giorgio Moroder, con cui fondò la Cizeta Moroder, azienda incaricata di progettare e produrre la vettura.

Pochi anni dopo, nel 1985, l'idea potè concretizzarsi, grazie al contributo di un manipolo di tecnici “esuli” da una Lamborghini in serie difficoltà. Fu progettato un motore rivoluzionario: un V16, con 64 valvole, realizzato mediante l'unione di due V8 in linea, con angolo tra le bancate di 90°, un'unità da circa 6 litri (5994 cc) e capace di erogare la potenza di 560 CV. Lo sviluppo dell'auto non fu facile, nè indolore: la V16T pagò lo scotto di uno studio approssimativo di alcune componenti che ne ritardarono lo sviluppo e dopo i primi step evolutivi fu rivisto il disegno della scocca e rifatta la maquette “pilota” in scala reale.

Del design se ne occupò Marcello Gandini che realizzò una coupè dagli stilemi esasperati: il muso cortissimo e l'abitacolo caricato sull'anteriore, lasciavano spazio ad una coda lunga a sviluppo orrizzontale, quasi a voler sottolineare l'enorme, possente meccanica. L'abitacolo era moderno e vantava una finitura curata, con pelle in abbondanza. Il design era più ricercato rispetto alla concorrenza modenese, anche se era in parte penalizzato dall'uso esteso di componentistica di derivazione Fiat. Esemplari sono, al riguardo, le bocchette d'aerazione – riprese da quelle installate sulla Lancia Thema – e i comandi del climatizzatore automatico.

Le attività di sviluppo e industrializzazione, benchè fatte con grande attenzione al contenimento dei costi, comportarono un importantissimo impegno economico da parte di Zampolli e Moroder: si stima che il tutto non costò meno di sei miliardi di lire. Il primo esemplare finito fu esposto a Los Angeles solo nel 1988 e, secondo quanto narra la “leggenda”, venne ultimato la notte prima della partenza. Le prestazioni dichiarate erano di assoluto rilievo: 325 km/h di punta velocistica e un memorabile 4”5 netti nel passaggio da 0 a 100 orari. L'esordio negli States era strategico: Zampolli, che da tempo frequentava gli Stati Uniti, era convinto che proprio Oltreoceano la sua vettura avrebbe trovato i migliori acquirenti.

Tuttavia, l'auto era pronta, ma non ancora omologata. Fu lo scoglio contro il quale l'avventura di Zampolli e Moroder s'arenò. Dopo quasi un anno, nel 1989, a causa di una cronica mancanza di fondi, le procedure di omologazione non erano stata completate, mentre erano usciti dalle linee di produzione appena otto esemplari, a fronte di venticinque previsti. Nel 1990 – dopo aver ottenuto il Philadelphia Award for Design Excellence per la grafica del logo Cizeta - Giorgio Moroder abbandonò la società, che venne ribatezzata Cizeta Automobili s.r.l., ma a parte la nuova ragione sociale, alla Cizeta di automobili continuavano a vedersene poche.

La tanto sospirata omologazione arrivò soltanto nel 1991, ma ormai l'auto accusava il passare degli anni e, soprattutto, pativa un'imbarazzante somiglianza con l'esordiente Lamborghini Diablo (anch'essa una creatura di Gandini): in merito la storia si fa fumosa e si fonde con la leggenda. Sembra che Marcello Gandini abbia fornito alla Cizeta il suo originale progetto per la Diablo, offeso dai vari rimaneggiamenti che il suo disegno subì da parte dei vertici di Sant'Agata. Così, a dar ragione ai pettegolezzi, formalmente era la Diablo che somigliava alla Cizeta, che fu presentata prima, ma va riconosciuto che la Lamborghini aveva dalla sua un marchio di ben altra caratura e questo influì moltissimo sull'immagine della sfortuanata 16 cilindri emiliana.

La Casa rimase attiva tra il 1991 e il 1995, quando cessò l'attività a seguito di una bancarotta dichiarata e con uno strascico incontrollato di voci e insinuazioni poco edificanti. Purtroppo non esistono dati relativi a questi quattro anni di vita del marchio: probabilmente la produzione totale dal 1988 al 1995, compresi i prototipi, non è andata oltre le 10-12 unità . Se ne conosce però il prezzo che, nel 1991 era di circa 300.000 dollari USA e si sa che due sono nelle mani del Sultano del Brunei. Dopo la disavventura della bancarotta, Zampolli emigrò negli USA dove rifondò l'azienda col nome di Cizeta Automobili USA, con sede in California.

In quegli anni fu sviluppata anche una interessante versione scoperta denominata “Fenice TTJ”, che rimasse congelata come il modello d'origine. La Cizeta Automobili USA, sulla cui proprietà è subentrato Antonio Casalini, seppur in assenza di ogni iniziativa promozionale recente, risulta ancora in attività e – su ordinazione – rende disponibili, con poche modifiche rispetto ai prototipi originali, la Cizeta V16T a prezzi non proprio popolari: tra i 650.000 e i 850.000 dollari. Per chi volesse gradire...

Autore: Salvatore Loiacono

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  • 1 mese fa...

Mannaggia alle montagne di post che ogni giorno si scrivono e sommergono tutto! :D

Leggo questo messaggio dopo un mese e mezzo, fuoriserie! Scusa.... :D

Stasera riporto in auge il topic per una storia che trovo piuttosto interessante... imho avrebbe meritato un piccolo topic a sè perchè è una cosa abbastanza particolare... però in fondo si tratta di una "mai nata" delle "altre" italiane... quindi penso debba stare qui.

Speriamo non scompaia alla svelta sotto milioni di post :D

Qui di seguito c'è il racconto di un signore di nome Sandro Colombo... nel testo vedremo chi è, e di cosa ci parla.

Il tutto fu pubblicato su AM nel giugno del 1992.

LA FERRARINA MAI NATA DI LAMBRATE

Doveva essere la sportiva Innocenti. Ma la coupé con motore V6 derivato da un V12 Ferrari ebbe un destino diverso, rimase un prototipo.

Uno dei progettisti di allora ci racconta i perchè di quella scelta.

All'inizio degli anni '60 Enzo Ferrari dà inizio a un'attività di progettazione e costruzione di prototipi per conto terzi, una specie di “engineering” ante litteram.

La cosa sorprende per la gelosa, quasi maniacale riservatezza con cui Ferrari ha sempre protetto le sue creazioni, ma d'altra parte i compensi richiesti non sono certamente di tipo simbolico.

Il primo prodotto è una coupé con motore quattro cilindri da 1000 cc che alla fine del 1962 alcune voci danno come frutto di un accordo Innocenti-Ferrari.

In effetti, anche questa vetturetta, forse nata da una richiesta Innocenti ma poi giudicata di dimensioni troppo contenute, verrà realizzata a Lambrate, quasi di fronte alla stessa Innocenti, dalla ASA, piccola industria fondata dal costruttore di impianti chimici Oronzo De Nora per il figlio Nicolò.

I contatti allora in corso fra Innocenti e Ferrari portano nel corso del 1963 alla realizzazione di un'altra coupé.

Ma, contrariamente a quanto accaduto con la prima, interamente studiata e fatta realizzare dalla Ferrari, per la nuova si forma un team misto che opera a Modena nei locali dell'ex Scuderia Ferrari in Via Trento e Trieste.

Per conto della Ferrari abbiamo i progettisti Rocchi, Salvarani e Casoli, rispettivamente per motore, gruppo cambio-trasmissione e telaio.

I progettisti della squadra Innocenti sono invece Arienti, Cattaneo e Cason, trasferiti a Modena.

All'autore di questo articolo, che dirigeva all'epoca l'ufficio tecnico auto presso l'Innocenti, viene affidato il compito di coordinare il gruppo costituendo quella che oggi potrebbe essere definita l'interfaccia della Casa di Lambrate nei confronti della Ferrari.

La vettura viene impostata secondo alcune direttive di base che prevedono, per cominciare, un'abitabilità da vera 2+2, con discreto spazio per i posti posteriori e un buon bagagliaio.

Quanto alla motorizzazione, la scelta cade su un sei cilindri a V ottenuto dividendo in due un classico 12 cilindri Ferrari.

Per quel che riguarda trasmissione e sospensioni, si pensa di ricorrere a parti disponibili sul mercato (per esempio, il ponte rigido posteriore) in modo da limitare gli investimenti.

Lo stile viene curato da Bertone, che dovrà poi fornire all'Innocenti le scocche abbigliate per il montaggio dei gruppi meccanici acquistati o costruiti a Lambrate.

Ma passiamo ad un'analisi più dettagliata del progetto.

Il motore, distinto internamente con la sigla 186/GT, ha i cilindri disposti a 90° con alesaggio di 77 mm, corsa di 64 mm e cilindrata di 1788 cc.

Ha un rapporto di compressione di 9,2:1 e una potenza di 156 CV a 7000 giri/min.

La distribuzione è monoalbero con bilancieri e rullo, l'alimentazione è affidata a tre Weber doppio corpo 38 DCN.

Come abbiamo detto, si tratta in pratica della metà di un dodici cilindri quattro litri, con la corsa ridotta da 71 a 64 mm.

Il cambio, di disegno Ferrari, è dotato di sincronizzatori Porsche.

Sospensioni: quelle anteriori prevedono doppi bracci triangolari sovrapposti con molle e ammortizzatori interni; dietro troviamo balestre e barra Panhard, per contenere gli spostamenti trasversali fra assale e corpo vettura.

Il ponte rigido posteriore, cui ho accennato, è un Salisbury.

E il telaio? Quello usato per il prototipo è un classico della Ferrari con longheroni in tubi ovali ma la vettura definitiva dovrà avere la scocca portante.

La scelta di Bertone è precedente all'inizio del progetto e, appena pronti un ingombro e un figurino di massima, il carrozziere comincia lo studio della linea in parallelo con la progettazione.

Per ridurre i tempi, appena disponibile il prototipo, sarà già pronto il mascherone su cui battere i lamierati.

Si comincia a vestire il prototipo sulla base dei figurini di Giorgetto Giugiaro, in quel periodo proprio alla Bertone, mentre Arienti e Cattaneo passano da Modena a Grugliasco; anch'io inverto la direzione dei miei viaggi settimanali.

Lo studio dell'industrializzazione viene seguito per conto del carrozziere torinese da Aldo Mantovani.

Alla fine del '63 il prototipo è pronto.

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A fine anno, quando il prototipo arriva a Milano, la direzione dell'Innocenti lo giudica favorevolmente e decide di far continuare l'industrializzazione. Si procede anche ad alcune prove su strada.

Ma nel 1964, quando tutto sembra ormai prossimo alla conclusione, viene l'ordine di chiudere il capitolo coupè.

Innocenti paga a Ferrari quanto dovuto e i disegni, anche i molti sviluppati a Lambrate, torneranno, come previsto dall'accordo, alla Ferrari stessa.

Probabilmente alla decisione non sono estranei, oltre alla crisi economica in atto i dubbi sull'idoneità della rete Innocenti (o meglio di una buona parte di essa, costituita principalmente da ex venditori di motociclette) a gestire un prodotto destinato a una clientela d'élite e con raffinatezze tecniche non indifferenti.

Un merito, allo studio, va comunque riconosciuto: aver aperto la strada ad un'operazione analoga, quella con la Fiat per la costruzione delle Dino coupé e Spider.

Sarà l'unica, delle tre di questo tipo avviate da Ferrari negli anni '60, a sfociare in una produzione significativa.

Articolo realizzato dal sig. Sandro Colombo nel 1992 per la rivista AM.

Il sottoscritto la riporta non con l'intenzione di farla sua, ma con l'unico scopo di amorevole citazione di una storia che merita di essere raccontata. :)

Allegato finale, una delle lettere a testimonianza del dialogo fra Bertone e la Casa di Lambrate. (spero che si riesca a legger bene :) )

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GTC ;)

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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  • 5 mesi fa...

Con l’aiuto di Ruoteclassiche Gen. 05 provo a fare un po’ di chiarezza, su quanti modelli Isotta Fraschini siano stati prodotti negli anni ´90. A quanto pare i modelli prodotti erano 6, di cui una maquette e una T12, ora tutte di proprietà di un collezionista milanese, insieme a tutto il materiale iconografico (disegni, bezzetti, etc.).

I Modelli

T8 gialla (con motore V8 Audi)

zoom24431.th.jpgzoom24432.th.jpgzoom24433.th.jpg

T8 rossa (con motore V8 Audi)

Presentata a Parigi nel 1998 con l’hardtop

zoom24338.th.jpgzoom24337.th.jpgzoom24336.th.jpgzoom24335.th.jpg

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T8 blu (con motore Mustang)

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T8 bianca (con motore Mustang)

[potrebbe essere quella grigia di paolo...]

T12 (con motore 12 cilindri Audi)

Presentata a Parigi nel 1998, il modello esposto era statico.

iso072.th.jpgiso022lc5.th.jpgiso01.th.jpg

T8 verde (Maquette)

[non ci sono foto in giro purtroppo]

Interno della T8

std1998isottafraschinit.th.jpg

La gamma colori

- grigio chiaro Isotta

- rosso

- verde scuro

- blu elettrico scuro

- grigio metallizzato

- nero metallizzato

Modificato da Kyalami
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io sono sostenitore della Isotta Fraschini, vorrei veramente rivederla, e da sempre vorrei che fosse Fiat a farla rinascere, ora, con Ferrari-Maserati avrebbero a mio avviso la possibilità industriale e tecnologica per farne nuvamente un grande marchio, poche auto molto esclusive, per far concorrenza alla Rolls Royce... è possibile!

Ringrazio che gli aborti su base Audi non siano mai nati.

E' la prima auto al mondo con motore a 6 cilindri a V di 60 gradi e con frizione, cambio e differenziale in un unico blocco sull'asse posteriore, transaxle, ..., è il 1950 e lei è l'Aurelia. (www.lancia.it)

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  • 2 mesi fa...

Ritornando sul tema De Tomaso, è apparso sull'ultimo numero di Auto Oggi un servizio sull'imminente ritorno sulla scena del marchio modenese.

Per la verità le notizie non sono molte. Si legge che l'imprenditore Gian Mario Rossignolo, avendo rilevato gli stabilimenti Pininfarina di Grugliasco e Delphi di Livorno, intende sviluppare e produrvi quelle che saranno le De Tomaso del futuro.

Il piano industriale prevede un investimento di €116 mln nei prossimi quattro anni ed una gamma articolata su tre modelli: crossover, limousine e coupè. Il primo dei tre (non è specificato quale) debutterebbe a Ginevra 2011. La produzione, una volta a regime, prevede 3000 crossover, 3000 berline e 2000 coupè per un totale di 8000 pezzi l'anno.

Questo è quanto, nè più nè meno di ciò che si era già detto al riguardo in questo topic. Sarà vero? Sarà la solita bufala che di tanto in tanto ritorna in auge?:pen: Chi lo sa. Certo che se De Tomaso ritornasse, da appassionato, ne sarei molto felice. Per me la Pantera resta un mito mai dimenticato:D

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