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Il futuro dei siti produttivi Stellantis


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Proprio qui sta l'inghippo: non si tratta di smantellare i diritti dei lavoratori dipendenti. Si tratta di riformare un sistema che, non solo ha dimostrato di non essere più idoneo ai tempi correnti, ma addirittura è fonte di quelle disparità sociali che vorrebbe contrastare.

Purtroppo però farlo significa andare contro l'interesse politico di certe organizzazioni sindacali che, per miopia o per calcolo, non vogliono affrancarsi da un'approccio alla lotta sindacale tipico degli anni '70.

Non mi risulta che in Germania, in Francia, in Spagna e, più in generale, nelle altre nazioni industrializzate (Stati Uniti a parte) gli operai possano essere licenziati dall'oggi al domani senza possibilità di replica o che vengano pagati con una manciata di riso; anzi.

Guarda, il problema è che in Italia è pieno di furboni che alla prima occasione ti fregano e tu, fregato, devi pure ringraziare se hanno usato la vasellina.

Vedi il caso dei co.co.pro. In teoria la normativa prevederebbe delle condizioni ben precise all'utilizzo di tale tipologia contrattuale, condizioni di buon senso e sorrette da una logica ferrea. Bene, il 90% dei co.co.pro. sono farlocchi perché il 90% dei committenti dei co.co.pro. con quella normativa ci si pulisce il sedere.

In Italia le uniche leggi che hanno una speranza di essere efficaci sono quelle a maglie strette, che lasciano poco scampo. E anche lì, comunque, qualcuno a trovare la scappatoia ci prova sempre e magari ci riesce pure.

Il precariato non è colpa delle leggi che regolano i rapporti di lavoro maggiormente tutelati, è colpa della mentalità italica del cazzo.

Alfiat Bravetta senza pomello con 170 cavalli asmatici che vanno a broda; pack "Terrone Protervo" (by Cosimo) contro lo sguardo da triglia. Questa è la "culona".

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Guest EC2277

Aspetta, non mi riferisco alle leggi (sulle quali non me la sento di disquisire più di quel tanto poiché non ho una sufficiente competenza in materia) ma del sistema lavorativo che, come ho già scritto, è fermo alle logiche degli anni '70.

È proprio l'approccio al mondo del lavoro che dovrebbe essere totalmente riformato poiché da una parte ci sono i sindacati che portano avanti una mentalità vecchia di trent'anni e dall'altra una vera e propria corporazione industriale altrettanto anacronistica.

Purtroppo, come giustamente fai notare, la colpa non è tanto delle leggi e dei regolamenti. Il problema è insito nella nostra mentalità malsana che non riescie a guardare più in la del proprio immediato interesse personale; per la serie aveva ragione Guicciardini.

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Aspetta, non mi riferisco alle leggi (sulle quali non me la sento di disquisire più di quel tanto poiché non ho una sufficiente competenza in materia) ma del sistema lavorativo che, come ho già scritto, è fermo alle logiche degli anni '70.

Bo', il sistema del mercato del lavoro da chi è fatto? Non certo dai marziani. Voglio dire, gli strumenti per rendere il lavoro flessibile ci sono, e chi dice il contrario mente sapendo di mentire. Il problema è che il lavoro flessibile dovrebbe avere lo scopo di coprire esigenze temporanee, magari non eccezionali ed imprevedibili, ma pur sempre temporanee. Invece vedo sempre più aziende che si strutturano facendo ricorso quasi esclusivo ai contratti di lavoro flessibili. Niente fidelizzazione, niente crescita professionale e di professionalità, sembra quasi che la forza lavoro sia una componente sgradita delle realtà imprenditoriali.

È proprio l'approccio al mondo del lavoro che dovrebbe essere totalmente riformato poiché da una parte ci sono i sindacati che portano avanti una mentalità vecchia di trent'anni e dall'altra una vera e propria corporazione industriale altrettanto anacronistica.

Guarda, se si tratta di sparare a zero sui sindacati, io non mi faccio pregare. Però il nostro sistema industriale è fatto da PMI, aziendine ed azienducole. E queste, anche quando si ingrandiscono raggiungendo dimensioni ragguardevoli, rimangono sempre, come mentalità, aziendine ed azienducole.

Non abbiamo più la cultura industriale, la politica si occupa di cazzate e cazzatelle che possono servire solo agli amici e ai parenti del politico di turno e quasi nessuno si scandalizza perché, come già scritto, all'itagliano medio queste cose non dispiacciono, anzi, la sua aspirazione è diventare amico del politico così da usufruire dei relativi vantaggi (gli esempi anche recenti si precherebbero).

Però ci decantano le PMI, "l'ossatura del sistema imprenditoriale italiano" e ci dicono che va tutto bene, che stiamo meglio degli altri e che il cielo è sempre più blu. :muto:

Alfiat Bravetta senza pomello con 170 cavalli asmatici che vanno a broda; pack "Terrone Protervo" (by Cosimo) contro lo sguardo da triglia. Questa è la "culona".

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Mucchetti sul Corriere....

Fabbrica Italia, le due incognite di Marchionne

Stiamo parlando di ristrutturare tutta la rete produttiva italiana, non lo si fa in due giorni e nemmeno in due mesi Sergio Marchionne

Nell'azionariato della Fiat manca un contrappeso ai soci americani di Chrysler. E Obama difenderà la «Us factory». Il futuro di Fabbrica Italia è appeso a incognite vere: modelli vincenti e il ciclo dell'economiaPolitica e finanzaIl quesito più arduo si pone a politica e finanza: se la New Fiat interessa al Paese, chi farà da contraltare agli americani?

Sergio Marchionne promette investimenti in Italia per 20 miliardi, non chiede più rottamazioni e nemmeno prospetta aumenti di capitale. Tutti tranquilli, sindacati moderati, governo e azionisti.

La nuova Fiat può farcela da sola, purché abbia fine la lotta di classe. Come ogni semplificazione d'autore, anche quella di Marchionne esercita il suo fascino indiscreto, ma l'economia non è mai così semplice, nemmeno quella aziendale. E nel caso della Fiat, tra progetti e realtà emergono distanze tutte da capire.

La New Fiat (Auto, Powertrain, Marelli, Comau, Teksid e altro tra cui la quota Rcs) investirà 19,7 miliardi tra il 2010 e il 2014. Fiat Industrial, la nuova holding che comprenderà Iveco, Chn e relativi motori, altri 6,3. Se, come si dice, il progetto Fabbrica Italia vale 20 miliardi, agli stabilimenti esteri andranno le briciole, benché diano i risultati migliori. Le joint-venture cinesi, russe, serbe, turche, dove si investiranno 3,3 miliardi per produrre 920 mila pezzi, esigeranno da Torino, che porta il know how, solo il 10% della spesa; in ogni caso, non essendo consolidate integralmente, l'onere non si vedrà nel bilancio.

L'Italia, dunque. In casa la Fiat perde, è vero. Ma perde anche perché utilizza troppo poco gli impianti che, per quanto ammortizzati, hanno ingenti costi fissi. Nel 2009, considerando il livello ottimale (280 giorni di lavoro l'anno 24 ore su 24), Mirafiori è stata usata al 64% della capacità produttiva, Cassino al 24%, Melfi al 65%, Pomigliano al 14% e la molisana Sevel al 33%. Tichy viaggiava al 93%, del Brasile non si dice nulla, ma sarà simile alla Polonia. L'insufficiente utilizzo degli impianti non dipende solo dai problemi sindacali: in passato, ci sono stati anni ben diversi. In larga misura deriva dalla difficoltà di vendere le auto nonostante gli incentivi. Nel 2010, a recessione e incentivi finiti, si vende ancora meno, ma la Fiat guarda oltre la transizione e prevede di aumentare capacità produttiva e produzione reale confidando in un ritorno ai livelli pre crisi nel 2014.

Per allora, il tasso di utilizzo degli impianti, resi ancor più potenti, dovrebbe salire all'88% a Mirafiori, al 93% a Cassino, al 101% a Melfi, al 90% a Pomigliano (mentre Tichy scenderebbe al 73%) e al 69% ad Atessa. La produzione italiana balzerebbe così da 650 mila a 1,4 milioni di automobili e da 150 mila a 250 mila veicoli commerciali leggeri, il tutto destinato in gran parte all'esportazione, con 300 mila pezzi in America. I marchi del gruppo torinese volerebbero nel quinquennio da 2,2 milioni a 3,8 milioni di vetture. E con Chrysler si raggiungerebbe la produzione di 6 milioni, considerata indispensabile per competere sui mercati globali. Un tale progetto, promette Marchionne, non richiede aumenti di capitale. Certo, quest'anno il debito netto delle attività industriali impennerà fin verso i 6 miliardi, ma poi calerà e tra 5 anni comparirà una liquidità netta di 3,4 miliardi nel 2014. Perfetto. Forse fin troppo perfetto.

In Italia stanno la forza e il rischio del progetto. La concentrazione degli investimenti si spiega con il fatto che solo con il pieno sfruttamento degli impianti nazionali l'aggregato Fiat-Chrysler agguanta il traguardo produttivo. Polonia e Brasile, insomma, non potrebbero aggiungere più di tanto. Se così è, Marchionne ha varato Fabbrica Italia perché non disponeva di alternative migliori. Avesse preso la Opel, con i finanziamenti pubblici legati alla salvaguardia delle unità produttive locali, avremmo sentito un'altra storia. Ma il governo e i lavoratori tedeschi (che non fanno più la lotta di classe, ma stanno nei consigli di sorveglianza) hanno ritenuto non conveniente il piano Fiat e la General Motors, appoggiata dalla Casa Bianca, si è tenuta infine la Opel.

E' vero che Marchionne può andare in Serbia, ma quante Serbie ha sotto mano oggi, per quali quantità e fin dove può gestire la complessità accentrando tutto il potere? La dipendenza della Fiat da Fabbrica Italia restituisce un pò di potere contrattuale al sindacato, al governo e a quanti, nella finanza, perseguono il proprio interesse di lungo periodo in un quadro più generale. Non dimentichiamo che tra il 1993 e il 1998 Mediobanca e Generali affiancarono la famiglia Agnelli nel controllo della Fiat e tra il 2002 e il 2005 le banche convertirono i crediti in azioni. Senza quei soccorsi non ci sarebbe stato Marchionne. Meglio turare le falle o prevenirle?

Ebbene, il futuro di Fabbrica Italia è appeso a due fili oggi invisibili ai più: il primo è la capacità mai scontata di progettare modelli vincenti ad alto valore aggiunto, e perciò adatti a essere prodotti in paesi ad alto costo del lavoro; il secondo è il ciclo dell'economia che, rallentando il ritorno degli investimenti, potrebbe minare le finanze aziendali. Nella storia della Fiat, ci sono successi come la Panda, la 500 e la Punto, ma anche promesse mancate come l'Alfa Romeo, la Lancia e l'alto di gamma. Il precedente piano quinquennale prevedeva per il 2009 l'azzeramento del debito, che invece è risalito a 4,4 miliardi. Insomma, tra il dire e il fare ci sono di mezzo incognite vere.

Dalle presentazioni agli analisti risulta che nel 2011, quanto tenterà di tornare in Borsa a Wall Street, Chrysler sia destinata a rendere più di New Fiat. Già tra un anno avremo un aggregato transatlantico con due fornitori di capitali americani, il sindacato Uaw e il Tesoro, determinati a difendere la «Us Factory», e un socio italiano, gli Agnelli, che non metterà soldi nell'auto. E' chiaro fin d'ora dove penderà la bilancia delle convenienze per un leader come Marchionne, cittadino del mondo.

Il sindacato può (e deve) permettere alla Fiat di far marciare gli impianti con il massimo di flessibilità in cambio di soldi e poteri di controllo, per esempio sui flussi transatlantici delle tecnologie. Ma il quesito più arduo si pone alla classe politica e finanziaria, che è già intervenuta in Telecom e Alitalia e che non può non vedere come le ultime grandi imprese industriali siano fiorite (e sfiorite) sotto l'egida dello Stato e di Mediobanca, ormai fuori gioco da 10-15 anni: se ritiene che la New Fiat interessi ancora al Paese, chi farà da contraltare agli americani? Le banche, le assicurazioni, le fondazioni, la Cassa depositi e prestiti, la Sace? Vecchie idee, si dirà. Ma neanche affidarsi al patriottismo di un uomo solo e delle sue stock option è una gran novità.

Massimo Mucchetti

30 agosto 2010

http://www.corriere.it/economia/10_agosto_30/fabbrica-italia-le-due-incognite-di-marchionne_1eb6e28a-b400-11df-913c-00144f02aabe.shtml

Modificato da wilderness
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con quali modelli voglia arrivare a quei livelli di saturazione degli impianti italiani .... e' poi un bel mistero

saturare mirafiori che e' uno stabilimento che in passato faceva 4000 vetture al giorno mi suona piu' o meno come le 200000 vetture annue procapite Alfa e LAncia: cioe' numeri campati in aria

a meno che abbia nel cassetto il progetto di un' auto che va ad aria

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con quali modelli voglia arrivare a quei livelli di saturazione degli impianti italiani .... e' poi un bel mistero

saturare mirafiori che e' uno stabilimento che in passato faceva 4000 vetture al giorno mi suona piu' o meno come le 200000 vetture annue procapite Alfa e LAncia: cioe' numeri campati in aria

a meno che abbia nel cassetto il progetto di un' auto che va ad aria

300.000 annue... Te ne sei perso 100.000 * 2 per strada :rotfl:

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con quali modelli voglia arrivare a quei livelli di saturazione degli impianti italiani .... e' poi un bel mistero

saturare mirafiori che e' uno stabilimento che in passato faceva 4000 vetture al giorno mi suona piu' o meno come le 200000 vetture annue procapite Alfa e LAncia: cioe' numeri campati in aria

a meno che abbia nel cassetto il progetto di un' auto che va ad aria

quoto... mi sembra chiaro che fra tre anni o prima FGA sarà la provincia debole di Chrysler...

il Mucchetti ha scritto quello che tanti pensano e mi sa che dal corsera prima o poi salta...

Dalle presentazioni agli analisti risulta che nel 2011, quanto tenterà di tornare in Borsa a Wall Street, Chrysler sia destinata a rendere più di New Fiat. Già tra un anno avremo un aggregato transatlantico con due fornitori di capitali americani, il sindacato Uaw e il Tesoro, determinati a difendere la «Us Factory», e un socio italiano, gli Agnelli, che non metterà soldi nell'auto. E' chiaro fin d'ora dove penderà la bilancia delle convenienze per un leader come Marchionne, cittadino del mondo.

Il sindacato può (e deve) permettere alla Fiat di far marciare gli impianti con il massimo di flessibilità in cambio di soldi e poteri di controllo, per esempio sui flussi transatlantici delle tecnologie. Ma il quesito più arduo si pone alla classe politica e finanziaria, che è già intervenuta in Telecom e Alitalia e che non può non vedere come le ultime grandi imprese industriali siano fiorite (e sfiorite) sotto l'egida dello Stato e di Mediobanca, ormai fuori gioco da 10-15 anni: se ritiene che la New Fiat interessi ancora al Paese, chi farà da contraltare agli americani? Le banche, le assicurazioni, le fondazioni, la Cassa depositi e prestiti, la Sace? Vecchie idee, si dirà. Ma neanche affidarsi al patriottismo di un uomo solo e delle sue stock option è una gran novità.

praticamente dietro chrysler c'è la casa bianca e il sindacato che è socio importante dell'azienda, ergo taglia i benefit, riduci i salari, ecc... ma non provare a chiudere 1 fabbrica o a non investire su chrysler group. in FGA hai una propietà assente e disinteressata che stacca i dividendi anche quando il conto economico è in perdita e non ci mette una lira e ormai, fatto fuori LCDM, comanda solo un manager con i suoi interessi a breve termine.

quindi dei 5 stablimenti originari, uno è già chiuso (termini) degli altri 4 ihmo ne resteranno due, pomigliano con la panda (buahahah!!!) e uno tra melfi e cassino, con mirafiori in agonia coninua, con un product plan basato al 90% sui segmenti A - B e qualcosina di C fino a quando il ragioniere col maglione segherà pure le new C.

Alfa e Lancia, fidatevi, se potesse li polverizzerebbe domani mattina, fra due tre anni gli alfisti saranno a rimpiangere i "bei tempi" di 147, 156, GT, 159, Brera, come i lancisti hanno rimpianto Delta e Thema.

E i Ferraristi rimpiangeranno i bei tempi di Montezemolo dopo che ovviamente Ferrari sarà una nuova provincia annessa con il suo bravo ragionere a capo.

THE END

Modificato da Alain

"quello che della valle spende in 1 anno di ricerca io lo spendo per disegnare il paraurti della punto." Cit.

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Già...purtroppo il problema è alla radice, come fà notare Mucchetti...quando Marchionne dice che non è conveniente produrre in Italia ha ragione SOLO perchè la sua azienda, che si è fagocitata di riffa o di raffa tutta l'industria automobilista italiana, non è stata, in 20 anni, in grado di pensare una strategia seria sui segmenti veramente redditizi, ancorchè difficili "da fare", come quelli di Alfa e Lancia...a questo punto dopo essere usciti definitivamente dal segmento E con dei flop clamorosi, dopo avere completamente perso l'ondata dei SUV e aver abbandonato ormai anche il D, siamo ridotti solo a "macchinette" che rendono poco...e non si vedono teste e progetti che facciano sperare in qualcosa....l'epopea dell'automobilismo italiano giunge al termine, a meno di qualche slancio inatteso e quasi miracoloso...l'unica cosa decente che può fare questo signore è vendere l'unico marchio ancora appetibile, per vedere se si riesce a rimettere insieme certe "idee italiane" altrove...

Modificato da wilderness
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Maglioncino si lamenta, non a torto, che produrre in Italia non è conveniente, e ogni mese alza un polverone con un nuovo pretesto (stavolta tocca ai 3 dipendenti di Melfi): la grande stampa si spertica in sviolinate (con alcune lodevoli eccezioni tipo Mucchetti, ma mi sa che a Natale non mangerà il panettone...) e quasi nessuno accende i fendinebbia per vedere oltre il polverone. Marchionne non ha tutti i torti a "picconare" il sistema Italia poco competitivo, ma lui è a capo della più grande azienda manifatturiera italiana da 6 anni e quindi farebbe bene a prendersi le sue responsabilità: se i suoi impianti italiani lavorano in media al 30-40% della capacità produttiva non è colpa del sistema o dei sindacati, è colpa sua perchè i suoi prodotti non vendono ;). Prodotti generalmente validi, non c'è dubbio, ma spesso abbandonati a sè stessi, aggiornati o sostituiti troppo tardi o addirittura assenti nei segmenti che contano (su AP se ne parla moltissimo). Ad ogni insuccesso (ma anche quando il successo c'è stato) abbandona un segmento sperando di riprenderlo dopo alcuni anni di campo lasciato libero ai concorrenti. Nei PP spara cifre irraggiungibili e promette ogni volta di saturare gli stabilimenti e di pareggiare i bilanci, e ogni volta puntualmente fallisce ;). E' facile prevedere che fallirà anche stavolta, ma lui continua per la sua strada tra gli applausi della grande stampa. Possibile che nessun grande giornale lo inchiodi alle sue responsabilità in prima pagina e ne chieda le dimissioni? Possibilmente prima di far fallire il gruppozzo?

"Se passi una vita noiosa e miserabile perché hai ascoltato tua madre, tuo padre, tua sorella, il tuo prete o qualche tizio in tv che ti diceva come farti gli affari tuoi, allora te lo meriti."  Frank Zappa

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