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the_gallas27

Messaggi Raccomandati:

1 ora fa, the_gallas27 dice:

 

Non devi certo scusarti di quanto hai ricordato e condiviso con noi.

Credo di parlare a nome di tutti, ringraziandoti per il contributo, anche quello dei ricordi più personali che riguardavano i legami che si erano instaurati tra voi, chi lavoravate in Bugatti.

 

Sapevo (perchè l'avevo letto) della storia del falso "principe", ma non riesco più a trovare l'articolo online. Fino a qualche settimana fa c'era...

In compenso ho trovato questo, che ritengo ugualmente importante e con interessanti spunti.

 

Tratto da Repubblica:

 

IL PRINCIPE ANNUNCIA: LA BUGATTI TUTTA MIA

 

" MODENA - La sceneggiatura è intrigante, il finale a sorpresa: neppure Salgari avrebbe fatto di meglio. A salvare la Bugatti - stando alle agenzie di stampa - sono arrivati i tigrotti di Monpracen e così si svela un piccolo grande segreto della storia dell' automobile: l' origine dell' elefantino che ornava le mitiche vetture dell' eccentrico Ettore Bugatti. Era un elefante indiano e l' imprinting conta anche nelle carrozzerie. Scherzi a parte dopo lo sbarco degli indonesiani in casa Lamborghini, a Campogalliano stanno per approdare nientemeno che due principi indiani che ieri, a sorpresa, da Portobuffolè (località che per assonanza si presta a qualche equivoco sulla consistenza dell' affare) hanno annunciato di aver comprato il 100 per cento della Nuova Bugatti. I bolidi azzurri da un miliardo al pezzo avrebbero così preso invece che le lussuose autostrade degli Stati Uniti - mercato che doveva dare prosperità alla Bugatti e che invece è stato avarissimo di soddisfazioni -, la via delle Indie. Insolita sì, ma più agevole della strada del fallimento che sembrava l' itinerario prossimo venturo della marca di Campogalliano. I condizionali però sono d' obbligo perché sulle reali intenzioni di Rao III (il nome completo è un' enciclopedia: Schivhandra Virrakant Chagos Chola Rao III) e Saifee Durbar ci sono ancora alcune perplessità. Alla sede della Bugatti risponde una segretaria superstite - l' azienda è in ferie - che dice: ' Il signor Artioli (presidente della società n.d.r.) non c' è, i dirigenti neppure: qui non si vede nessuno da giorni, ma se ci sono novità la società le comunicherà' . A quanto sembra però dell' offerta indiana la società ne sa poco visto che ieri sera il legale degli Artioli (controllano la Bugatti al 100%) ha dichiarato: ' Non siamo in grado di confermare in base a elementi certi e tranquillizzanti la notizia diramata dal principe' . E ha aggiunto l' avvocato Roberto Levoni: ' Si tratta dunque di un annuncio almeno intempestivo anche perché i soldi non sono ancora nella nostra disponibilità' . Insomma di rupie a Modena per ora neppure l' ombra. E invece l' argent in questa faccenda è fondamentale. Entro il 20 settembre la Bugatti deve dimostrare di essere in grado di risanare i debiti (si parla di 200 miliardi) e di assicurare la continuità produttiva perché il Tribunale di Modena a quella data dovrà decidere sull' istanza di fallimento presentata da una ventina di creditori. A dire il vero il pronunciamento doveva esserci già nelle scorse settimane, ma Romano Artioli giocò il jolly indiano: ho un principe che compra il 51 per cento della società - fece sapere - versando sull' unghia 200 milioni di dollari. Il principe di allora è quello di oggi Rao III che però dopo il clamoroso annuncio di Artioli s' era fatto di nebbia. Per rispuntare ieri insieme al suo socio, mister Durbar, che ha spiegato: ' L' operazione è stata perfezionata una settimana fa. Rao III aveva annunciato il ritiro proprio perché voleva salvaguardare l' affare dopo l' atteggiamento ostile assunto dalla stampa italiana. In realtà aveva già comprato il 51% per cento e aveva un' opzione sull' altro 49. ' Ma subito dopo Durbar si è corretto e ha spiegato che la Bugatti è stata acquistata dalla Aura Holdin di cui egli stesso è presidente e maggior azionista. Si tratta di una finanziaria di partecipazione e investimenti che - a detta di Durbar - ha interessi ai quattro angoli della terra e che vuole risanare la Bugatti per rilanciarne il marchio. Sui dettagli dell' operazione Durbar è stato molto avaro affermando che ' la riservatezza è conseguenza degli inghippi di Romano Artioli: inghippi che quest' ultimo dovrà sciogliere entro il 20 settembre' . Comunque, assicurano gli indiani, da ottobre riprenderà la produzione e dicono che un posto in azienda lo lasceranno anche ad Artioli. Per capirne di più si tratta dunque di aspettare. Certo è che la Bugatti è diventata la fabbrica dei misteri: nessuno sa di preciso quante EB 110 siano state prodotte e vendute, nessuno sa che fine abbia fatto la EB 112. Si sa invece che anche la cessione della Lotus (altra leggenda a quattro ruote legata ai destini della Bugatti) alla coppia Bonomi-Benetton è sfumata, come rischia di svanire -dopo appena 5 anni- il sogno-avventura di far rivivere il mito Bugatti. Mito che ora si affida a una favola indiana.  "  Articolo datato 02/08/1995

Grazie!

dell'articolo che dici, lo dovrei avere assieme ai differenti giornali dell'epoca, con anche una foto del "principe fasullo"con sede a Londra...NON lo dovevono calcolare sin d'allinizio e invece pensavano che il problema era risolto...

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On 25 settembre 2015 at 21:31, gianmy86 dice:

Dall'idea che mi sono fatto sicuramente la prima causa del fallimento va ricercata proprio nella gestione industriale "allegra".

Credo tuttavia che un fondo di verità ci sia, quando si dice o si allude a qualcuno che aveva piacere/interesse a far andar male le cose ad Artioli.

Non ricordo bene dove, sicuramente in una delle fonti citate in queste pagine dall'ottimo the_gallas27, ho letto delle voci circolate all'improvviso circa la collusione con la mafia, che di fatto boicottarono la presentazione organizzata in pompa magna alla Defénse e i rapporti con le grandi Case costruttrici di supercar, a cui Artioli sperava di vendere e/o condividere know how. Altrove poi mi sembra alluda a qualcuno che abbia fatto pressione affinchè le banche chiudessero i rubinetti all'improvviso; da qui il fallimento e la fine del sogno.

PS: il motivo per cui ce l'ha con la Ferrari è abbastanza chiaro. Era il dealer di riferimento Ferrari in Germania e zone limitrofe da decenni, come fonda Bugatti Automobili SPA il gruppo Fiat chiude ogni rapporto commerciale con lui dall'oggi al domani. Non so cosa si aspettasse di differente, a onor del vero, ma è proprio questa sua visione romantica dell'industria automobilistica sportiva che ha portato alla creazione di quel mito di EB110 e alla stessa fine del suo sogno. E a rendere questa storia tanto triste quanto speciale.

Non posso che non rispondere a dei suoi dubbi in riguardo e a mettere dei puntini sulle i...

Da parte di Romano è inutile rincorrere dei fantasmi...da lui creati apposta! se si facesse un'esame di coscienza capirebbe che nessuno o almeno qualcuno ne voleva la morte dello stabilimento Bugatti, bastava che risanasse i grossi debiti con tutti i fornitori che giravano attorno alla EBIIO, mai pagati! invece di fare il gallo nel pollaio!!...così anche se il portafoglio era meno gonfio almeno aveva sistemato già una fetta di tutti i grossi problemi...invece si prodigò di acquisire i due gruppi in un periodo sbagliatissimo! la Lotus Auto & Lotus Enginering!!! poi cosa centrava con la Bugatti questo lo sa solo lui... fece il passo più grosso del suo, ma mi dico e gli amministratori della Oldwing di Lussemburgo che pensarono all'avvallo dell'acquisizione!???. tutto concesso? mà... allora la cosa non è solo causa di romano...

In quanto a Parigi, oltretutto che fui presente! Ci fu invece il problema di far arrivare il prototipo della EBIIO, ma come? COSA CHE POCHI SANNO in Bugatti e nessuno al di fuori...! Voi  non sapete come ci arrivò a Parigi con quale escamotage... da campogalliano il 13 settembre partirono 2 camion che ufficialmente portarono la EB110 e una O35 invece  a insaputa di tutti o quasi... ne partì uno in segreto e diverso dai precedenti che nascondeva il prototipo della EBIIO perchè ci fu il timore di romano che la vettura venisse rubata! è quella che fu la grande agitazione di romano...della collusione con la mafia e altre espressioni di romano le trovo poco attendibili anzi usate come scudo per sviare alle errori di romano, come copertura pubblica...A mio parere ha avuto fin troppo voce in capitolo al tempo e carta bianca quando un consiglio direttivo azionistico non lo contrariava nemmeno! come un gallo in un pollaio!!! e ha fatto sì che così andasse tutto in malora! altro che attacchi esterni la verità viene tutta dall'interno!.Per colpa sua si sfasciò tutto! Ha scordavo si, ci fu il problema molto sentito di spionaggio industriale,come tutte le case... e in Bugatti era sempre quasi tutto segreto! ma parlare di mafia mi sembra azzardato anche perchè da parte loro credo che non c'erano interessi...

Modificato da Alessio LAVIERI PASTORE
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Molto interessante. Grazie della delucidazione! E' sempre un piacere immerso ascoltare, in questo caso leggere, le parole di chi la storia l'ha vissuta e/o fatta molto molto da vicino.

 

Ora la domandona temutissima: cosa pensi della Bugatti attuale?

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Potevamo fare di più...

Sai se si tratta di aggiungere un modellino nella collezione tutto è, lecito è Bugatti...ma dopo il 1999 è un'altra pagina della Storia con l'omonimia Bugatti come nel 1989...non come nel 1901 a Milano con la prima Bugatti tipo 2 Italiana...di Ettore Isidoro Arco B.

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23 ore fa, Alessio LAVIERI PASTORE dice:

Il mio pensiero che in meno di un mese, da settembre a ottobre,  si doveva cercare un finanziatore che si accollasse tutti i debiti che il signor romano continuava a rimandare ai piccoli creditori quali, piccole aziende collaterali che, fornivano le materie prime, tutti in attesa per avvicendarsi alle vendite delle EBIIO, perchè delle EBII2 ne furono costruite solo 3,di cui 2 marcianti e una incompleta nel 1995...ha una la ordinai a Ivo solo se me l'avesse  dipinta di blu...al momento mi accontetai del catalogo...haha.So che le EBIIO furono circa 137unità comprese le SS, ma i registri confermeranno. Della Cabrio non seppi mai che la EB112 era in progetto ma bensì invece della EBIIO cabrio con la denominazione di EB115 Roadster di cui conservo ancora il modellino della Burago, che all'ufficio progetti fecero alcune differenze mà, solo con la EBIIO. E una falsa le notizie dell'acquisizione del 51%. Perchè se fosse stata vera io sarei ancora in BUGATTI!!!! Fu un buco nell'acqua e sia Indiani che Europei NON sanno cosa si son persi!!!  Avrebbero fatto soldi a palate con tutti i progetti che sarebbero seguiti!!!. Vedi la Ettore Bugatti di Ora che, fece più fatturato nel 1994 più della Bugatti Automobili.

 

Non sapevo nulla dell'esistenza del modello EB115.

 

Tra l'altro, seguendo la logica dei numeri, se la EB110 era del 1991, la EB112 del 1993, la EB115 sarebbe dovuta uscire o quantomeno essere presentata nel 1996, ma evidentemente non è stato possibile farlo, essendo Bugatti fallita nel 1995.

 

Sapresti dirci altro in merito alla EB115, Alessio?

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2 ore fa, the_gallas27 dice:

 

Non sapevo nulla dell'esistenza del modello EB115.

 

Tra l'altro, seguendo la logica dei numeri, se la EB110 era del 1991, la EB112 del 1993, la EB115 sarebbe dovuta uscire o quantomeno essere presentata nel 1996, ma evidentemente non è stato possibile farlo, essendo Bugatti fallita nel 1995.

 

Sapresti dirci altro in merito alla EB115, Alessio?

Certo tra il 1993 e il 1994 di novità non ve ne erano...a parte la EBII2, ma i veri intenditori...desideravano in un futuro non molto lontano una Spyder. Era il 1994 e nella sala ufficio progetto designe qualcuno, si cimentò in un progetto molto bello e simpatico... si trattava solo di alcuni modellini diversi tra loro della EBIIO Spyder mà, unici tra loro... percè attraverso i modelli studiarono alcune varianti del dietro come sarebbe stato... Non sò se esistano alcuni disegni ma so solo che c'era tutta l'intenzione sia di creare una Spyder nella versione EBIIO e di decidere dal loro ragionamento che visto che erano trascorsi alcuni anni si sarebbe denominata la Spyder EBII5. (1881-1996),si parlava di 3 anni. Ma la cosa non si seppe esternamente, e dopo la chiusura,come altri molti segreti. Che tristemente andarono nel dimenticatoio. La BUGATTI aveva nel cassetto molte altre novità ma soppratutto grandi progetti per il futuro...  Come una fabbrica dedita al restauro delle vecchie BUGATTI . Di cui già più di 2 furono seguite dalla Bugatti ...

Modificato da Alessio LAVIERI PASTORE
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Inviato (modificato)

Traduzione di un articolo datato 16/11/1995, tratto dal quotidiano francese "Liberation", autore Vittorio de Filippis.

 

Molto interessante il finale...

 

 

" Ogni mattina, vengono qui a vedere. Dal 23 settembre, quando è avvenuto il fallimento di Bugatti, Roberto e i suoi amici, ex tecnici di Ferrari, Lamborghini o Maserati, sono davanti alla porta chiusa della iper-tecnologica fabbrica. Pazientemente, aspettano che il curatore fallimentare prenda una decisione. "Siamo stati tutti nei tre più prestigiosi produttori italiani, ma non abbiamo mai sentito così tanta passione. Qui, abbiamo iniziato con un foglio bianco. Abbiamo dovuto fare tutto, inventare, in un clima di squadra e di famiglia, solo tra di noi. Ferrari? Era il traino. Bugatti? Un'avventura condivisa da duecento sognatori", dice Roberto.

 

Nel triangolo Maserati-Modena, Ferrari-Maranello, Lamborghini-Sant'Agata Bolognese, nel cuore dell'Emilia-Romagna, il nome Bugatti ha sempre ispirato rispetto. Ettore Bugatti, partito dal Piemonte per stabilirsi in Alsazia, a Molsheim, ha praticamente attreversato le Alpi per inseguire una storia fantastica. Dieci anni fa, una piccola squadra vuole far rivivere il marchio di prestigio per le auto blu. Roberto Reggiani (erroneamente scritto Regiani, ndr), produttore di motori, era lì, vigile. Nel 1990, ha lasciato la Maserati e Modena, dove ha lavorato per quasi trent'anni, diretto a Campogalliano. Egli trova una manciata di ingegneri che preparano la rinascita della Bugatti.

 

Il 23 settembre Bugatti è morta di nuovo. Quel giorno, quando Roberto Reggiani inserisce la carta magnetica nella serratura elettronica, il cancello non si muove. Ci riprova, la reinserisce. Niente. Impossibile accedere a quei laboratori dalla pulizia asettica. Passato lo stupore iniziale, ha scoperto che la notte precedente erano stati posti i sigilli. Solo il curatore, cioè l'amministratore nominato dal tribunale di Modena, può ottenere l'accesso all'interno dello stabilimento.

 

L'idea della rinascita della Bugatti era germogliata nella testa di Romano Artioli, il primo concessionario Ferrari in Europa. A quel tempo, nel 1987, il segmento delle supercar è in piena espansione. Per una Ferrari F40 bisogna strappare un assegno da oltre 7 milioni di franchi (chissà a quanto corrisponde al cambio di oggi, ndr), nonostante il suo prezzo di listino sia di 1,4 milioni. Prima di questa febbre speculativa di oro rosso Ferrari, Romano Artioli ha avuto sogni tinti di blu Bugatti.

 

A fronte di un paio di milioni di franchi, comincia a riacquistare il marchio automobilistico con la filiale di Snecma: Messier-Bugatti. Il gruppo pubblico ha due attività principali: la costruzione di motori d'Ariane (non so a cosa faccia riferimento, ndr) e reattori di aerei, e la raccolta di marchi prestigiosi. Nel suo catalogo si trova anche Hispano-Suiza.

 

Romano Artioli, proprietario del marchio per l'industria automobilistica, comincia a vedere il suo sogno materializzarsi in realtà. Per prima cosa, fondò una holding in Lussemburgo: Bugatti International. Jean-Marc Borel, un francese, ne sarà l'amministratore delegato. Alla Ferrari, si apprezza sempre meno il "concessionario" troppo presuntuoso. Colui che intende costruire automobili d'eccezione, inizia a dare fastidio. Il Commendatore, Enzo Ferrari, recide tutti i legami con Artioli.

 

A partire dall'88, Artioli prende il controllo di studio di progettazione a Modena e cerca la collaborazione di Paolo Stanzani, uno degli ingegneri più rispettati nel suo settore, il padre della Lamborghini Countach e della Miura. Questo legame spettacolare mette a tacere gli scettici. Pertanto, Paolo Stanzani ha carta bianca. Per la prima volta, può esprimersi senza limiti. "Fin dall'inizio, abbiamo posto l'asticella in alto, con un progetto fuori dal comune, spiega Jean-Marc Borel. Abbiamo voluto fare la migliore auto sportiva. Non si trattava semplicemente di "ferrarizzare" una Bugatti" Artioli e Stanzani dicono all'unisono: "Bisogna produrre il punto di riferimento assoluto".

 

Per ottenere la quadratura del cerchio, è necessaria la più alta tecnologia. Decidiamo perciò di costruire un impianto a Campogalliano, tra una miriade di artigiani in grado di operare per conto dei più grandi team di F1. "Ricerca e sviluppo, formazione del personale, la costruzione di un sito industriale, Artioli sborsa un miliardo di franchi!", spiega Jean-Marc Borel.

 

Nel settembre del 1990, la fabbrica può finalmente ricevere le equipes che lavorano al progetto già da tre anni. Nel frattempo, Stanzani se ne è andato sbattendo la porta, sostituito da Nicola Materazzi, l'autore della F40 il quale ha terminato il prototipo. Questa volta una Bugatti esiste e ci crediamo. "Il suo livello di maturità era impressionante in rapporto all'acerbità del progetto", ricorda Gianni (forse Sighinolfi?, ndr), un fornitore di motori "disertore" Ferrari. "Con urla strazianti, il fulmine blu si scagliò come un proiettile sulla pista di prova", ha aggiunto.

 

Esattamente al rendez-vous, la Bugatti presentò a Parigi, nel settembre 1991, l'EB110, battezzata con le iniziali del ex dipendente del barone di Dietrich (ovvero Ettore Bugatti, non so perché abbia fatto questo riferimento, ndr), e 110 perché la rinascita arriva 110 anni dopo la nascita del genio automobilistico. Il suo futuro dipende ora dall’accoglienza che i potenziali clienti le riserveranno. A Campogalliano, si è convinti che l’ovale rosso dell’EB 110 avrà lo stesso impatto del cavallino Ferrari o del toro Lamborghini. Sicuri di trovare il cliente pronto a firmare un assegno di 2,1 milioni di franchi senza battere ciglio.

 

Alberto Malpighi (scritto erroneamente Malpegi, ndr), maestro della carrozzeria prima alla Maserati, rivede il corso degli eventi con l’approvazione degli ex colleghi Bugatti: "E' stato un progetto probabilmente troppo ambizioso. Avremmo potuto realizzarlo a minor prezzo. Il costo di una leva del cambio ha superato 40.000 franchi, il prezzo di vendita della piccola Fiat, la Cinquecento! Si vendeva un’automobile in Arabia Saudita? Dieci dipendenti partivano per una settimana per consegnarla e spiegare le operazioni di manutenzione ordinaria. E per la garanzia totale di tre anni, che comprendeva anche due cambi d'olio, il cambio di un set di pneumatici, si spendeva l’inezia di 400.000 franchi!" Improvvisamente, le lingue sembrano sciogliersi. Segue una sfilza di troppo caro, troppo bello, troppo ambizioso: "Appena si installava un’innovazione su una macchina, si richiamavano tutte quelle che erano state vendute fino a quel momento per aggiornarle. E gratis!". “Abbiamo bisogno di 54 giorni per la produzione di una EB110, contro meno di un giorno di una Ferrari." "Qui, non c'è né la saldatura robot o robot verniciatori, ma solo artigiani, esperti dell’automobile, che modellano le carrozzerie a mano e passare settimane, se necessario, per effettuare le regolazioni finali ad un motore."

 

Con 152 vetture vendute in meno di quattro anni, si sono rapidamente accumulati delle insolvenze. "Per essere in equilibrio, dovevamo vendere 150 vetture in un anno", ammette Jean-Marc Borel. Il debito accumulato: 300 milioni di franchi. Dal giorno del fallimento di Bugatti, i possibili acquirenti si sono recati in viaggio a Campogalliano. C'erano quelli seri, come il costruttore bavarese BMW e il gruppo italiano Benetton, assidui specialisti nel riscatto delle imprese in difficoltà, e quelli “esotici”, in questo caso due misteriosi principi indiani. Ma le trattative non sono mai andata a buon fine.

 

Per quanto riguarda i cento dipendenti rimanenti - che erano 220 alla fine del 1993 - si chiedono le ragioni di un fallimento che considerano misterioso: "Perché solo 21 piccoli fornitori, in gran parte artigiani locali, hanno chiesto il fallimento di Bugatti, mentre erano più di 1500?", chiede uno di loro, il che suggerisce che l'altro grande costruttore di bolidi (Ferrari?, ndr), li spinse ad avvisare i giudici del tribunale di commercio.  "Li hanno incoraggiati", dice uno dei guardiani del tempio Bugatti. E poi c'è una voce che circola. Quella che abbiamo considerato diffamatoria in tutti questi anni: "E 'stato detto che la Bugatti era il modo migliore per riciclare il denaro sporco della mafia". Di fronte alla fabbrica, tutti rifiutano di credere a questa versione che sembra troppo una serie noir italiana, ci si chiede ancora circa la scomparsa dalla scena del protagonista principale della Bugatti: Romano Artioli. In paese e al cellulare, il suo entourage assicura che rimane irraggiungibile. "

Modificato da the_gallas27
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Il grosso guaio e' che la globalizzazione ha fatto perdere all' Italia tutte le possibilità che aveva per emergere...in quegli anni si respirava ancora passione nelle fabbriche,venivano avviati progetti che portavano il nostro paese al vertice,ad esempio nello stesso periodo l'avventura del DESTRIERO,nave costruita a Fincantieri...ricordo l'orgoglio di mio padre,dipendente Fincantieri,nel raccontare la costruzione di questa imbarcazione detentrice ancor oggi del "nastro azzurro"...

 

https://www.google.com/url?q=https://it.wikipedia.org/wiki/Destriero_(nave)&sa=U&ved=0ahUKEwj9n8LvlIfMAhVnQJoKHXR5BiwQFggEMAA&client=internal-uds-cse&usg=AFQjCNEN6w8Ep-m36J2dCUsebp0GR3KgAg

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On 09 aprile 2016 at 17:24, the_gallas27 dice:

Traduzione di un articolo datato 16/11/1995, tratto dal quotidiano francese "Liberation", autore Vittorio de Filippis.

 

Molto interessante il finale...

 

 

" Ogni mattina, vengono qui a vedere. Dal 23 settembre, quando è avvenuto il fallimento di Bugatti, Roberto e i suoi amici, ex tecnici di Ferrari, Lamborghini o Maserati, sono davanti alla porta chiusa della iper-tecnologica fabbrica. Pazientemente, aspettano che il curatore fallimentare prenda una decisione. "Siamo stati tutti nei tre più prestigiosi produttori italiani, ma non abbiamo mai sentito così tanta passione. Qui, abbiamo iniziato con un foglio bianco. Abbiamo dovuto fare tutto, inventare, in un clima di squadra e di famiglia, solo tra di noi. Ferrari? Era il traino. Bugatti? Un'avventura condivisa da duecento sognatori", dice Roberto.

 

Nel triangolo Maserati-Modena, Ferrari-Maranello, Lamborghini-Sant'Agata Bolognese, nel cuore dell'Emilia-Romagna, il nome Bugatti ha sempre ispirato rispetto. Ettore Bugatti, partito dal Piemonte per stabilirsi in Alsazia, a Molsheim, ha praticamente attreversato le Alpi per inseguire una storia fantastica. Dieci anni fa, una piccola squadra vuole far rivivere il marchio di prestigio per le auto blu. Roberto Reggiani (erroneamente scritto Regiani, ndr), produttore di motori, era lì, vigile. Nel 1990, ha lasciato la Maserati e Modena, dove ha lavorato per quasi trent'anni, diretto a Campogalliano. Egli trova una manciata di ingegneri che preparano la rinascita della Bugatti.

 

Il 23 settembre Bugatti è morta di nuovo. Quel giorno, quando Roberto Reggiani inserisce la carta magnetica nella serratura elettronica, il cancello non si muove. Ci riprova, la reinserisce. Niente. Impossibile accedere a quei laboratori dalla pulizia asettica. Passato lo stupore iniziale, ha scoperto che la notte precedente erano stati posti i sigilli. Solo il curatore, cioè l'amministratore nominato dal tribunale di Modena, può ottenere l'accesso all'interno dello stabilimento.

 

L'idea della rinascita della Bugatti era germogliata nella testa di Romano Artioli, il primo concessionario Ferrari in Europa. A quel tempo, nel 1987, il segmento delle supercar è in piena espansione. Per una Ferrari F40 bisogna strappare un assegno da oltre 7 milioni di franchi (chissà a quanto corrisponde al cambio di oggi, ndr), nonostante il suo prezzo di listino sia di 1,4 milioni. Prima di questa febbre speculativa di oro rosso Ferrari, Romano Artioli ha avuto sogni tinti di blu Bugatti.

 

A fronte di un paio di milioni di franchi, comincia a riacquistare il marchio automobilistico con la filiale di Snecma: Messier-Bugatti. Il gruppo pubblico ha due attività principali: la costruzione di motori d'Ariane (non so a cosa faccia riferimento, ndr) e reattori di aerei, e la raccolta di marchi prestigiosi. Nel suo catalogo si trova anche Hispano-Suiza.

 

Romano Artioli, proprietario del marchio per l'industria automobilistica, comincia a vedere il suo sogno materializzarsi in realtà. Per prima cosa, fondò una holding in Lussemburgo: Bugatti International. Jean-Marc Borel, un francese, ne sarà l'amministratore delegato. Alla Ferrari, si apprezza sempre meno il "concessionario" troppo presuntuoso. Colui che intende costruire automobili d'eccezione, inizia a dare fastidio. Il Commendatore, Enzo Ferrari, recide tutti i legami con Artioli.

 

A partire dall'88, Artioli prende il controllo di studio di progettazione a Modena e cerca la collaborazione di Paolo Stanzani, uno degli ingegneri più rispettati nel suo settore, il padre della Lamborghini Countach e della Miura. Questo legame spettacolare mette a tacere gli scettici. Pertanto, Paolo Stanzani ha carta bianca. Per la prima volta, può esprimersi senza limiti. "Fin dall'inizio, abbiamo posto l'asticella in alto, con un progetto fuori dal comune, spiega Jean-Marc Borel. Abbiamo voluto fare la migliore auto sportiva. Non si trattava semplicemente di "ferrarizzare" una Bugatti" Artioli e Stanzani dicono all'unisono: "Bisogna produrre il punto di riferimento assoluto".

 

Per ottenere la quadratura del cerchio, è necessaria la più alta tecnologia. Decidiamo perciò di costruire un impianto a Campogalliano, tra una miriade di artigiani in grado di operare per conto dei più grandi team di F1. "Ricerca e sviluppo, formazione del personale, la costruzione di un sito industriale, Artioli sborsa un miliardo di franchi!", spiega Jean-Marc Borel.

 

Nel settembre del 1990, la fabbrica può finalmente ricevere le equipes che lavorano al progetto già da tre anni. Nel frattempo, Stanzani se ne è andato sbattendo la porta, sostituito da Nicola Materazzi, l'autore della F40 il quale ha terminato il prototipo. Questa volta una Bugatti esiste e ci crediamo. "Il suo livello di maturità era impressionante in rapporto all'acerbità del progetto", ricorda Gianni (forse Sighinolfi?, ndr), un fornitore di motori "disertore" Ferrari. "Con urla strazianti, il fulmine blu si scagliò come un proiettile sulla pista di prova", ha aggiunto.

 

Esattamente al rendez-vous, la Bugatti presentò a Parigi, nel settembre 1991, l'EB110, battezzata con le iniziali del ex dipendente del barone di Dietrich (ovvero Ettore Bugatti, non so perché abbia fatto questo riferimento, ndr), e 110 perché la rinascita arriva 110 anni dopo la nascita del genio automobilistico. Il suo futuro dipende ora dall’accoglienza che i potenziali clienti le riserveranno. A Campogalliano, si è convinti che l’ovale rosso dell’EB 110 avrà lo stesso impatto del cavallino Ferrari o del toro Lamborghini. Sicuri di trovare il cliente pronto a firmare un assegno di 2,1 milioni di franchi senza battere ciglio.

 

Alberto Malpighi (scritto erroneamente Malpegi, ndr), maestro della carrozzeria prima alla Maserati, rivede il corso degli eventi con l’approvazione degli ex colleghi Bugatti: "E' stato un progetto probabilmente troppo ambizioso. Avremmo potuto realizzarlo a minor prezzo. Il costo di una leva del cambio ha superato 40.000 franchi, il prezzo di vendita della piccola Fiat, la Cinquecento! Si vendeva un’automobile in Arabia Saudita? Dieci dipendenti partivano per una settimana per consegnarla e spiegare le operazioni di manutenzione ordinaria. E per la garanzia totale di tre anni, che comprendeva anche due cambi d'olio, il cambio di un set di pneumatici, si spendeva l’inezia di 400.000 franchi!" Improvvisamente, le lingue sembrano sciogliersi. Segue una sfilza di troppo caro, troppo bello, troppo ambizioso: "Appena si installava un’innovazione su una macchina, si richiamavano tutte quelle che erano state vendute fino a quel momento per aggiornarle. E gratis!". “Abbiamo bisogno di 54 giorni per la produzione di una EB110, contro meno di un giorno di una Ferrari." "Qui, non c'è né la saldatura robot o robot verniciatori, ma solo artigiani, esperti dell’automobile, che modellano le carrozzerie a mano e passare settimane, se necessario, per effettuare le regolazioni finali ad un motore."

 

Con 152 vetture vendute in meno di quattro anni, si sono rapidamente accumulati delle insolvenze. "Per essere in equilibrio, dovevamo vendere 150 vetture in un anno", ammette Jean-Marc Borel. Il debito accumulato: 300 milioni di franchi. Dal giorno del fallimento di Bugatti, i possibili acquirenti si sono recati in viaggio a Campogalliano. C'erano quelli seri, come il costruttore bavarese BMW e il gruppo italiano Benetton, assidui specialisti nel riscatto delle imprese in difficoltà, e quelli “esotici”, in questo caso due misteriosi principi indiani. Ma le trattative non sono mai andata a buon fine.

 

Per quanto riguarda i cento dipendenti rimanenti - che erano 220 alla fine del 1993 - si chiedono le ragioni di un fallimento che considerano misterioso: "Perché solo 21 piccoli fornitori, in gran parte artigiani locali, hanno chiesto il fallimento di Bugatti, mentre erano più di 1500?", chiede uno di loro, il che suggerisce che l'altro grande costruttore di bolidi (Ferrari?, ndr), li spinse ad avvisare i giudici del tribunale di commercio.  "Li hanno incoraggiati", dice uno dei guardiani del tempio Bugatti. E poi c'è una voce che circola. Quella che abbiamo considerato diffamatoria in tutti questi anni: "E 'stato detto che la Bugatti era il modo migliore per riciclare il denaro sporco della mafia". Di fronte alla fabbrica, tutti rifiutano di credere a questa versione che sembra troppo una serie noir italiana, ci si chiede ancora circa la scomparsa dalla scena del protagonista principale della Bugatti: Romano Artioli. In paese e al cellulare, il suo entourage assicura che rimane irraggiungibile. "

Ottima e veritiera documentazione che rende quasi chiaro tutti i primi passi delle brevi vicissitudini anche perchè e vero che molti fatti e dettagli furono questi ricordo che parlando con Ivo Ceci, in quanto alla produttività già dal     1994 erano riusciti a realizzare una EBIIO in quasi 3 giorni ininterrottamente purtroppo sapendo che dovevano sia accontentare le richieste che purtroppo avrebbero chiuso e per questo che  quando misero i sigilli si trovarono incomplete di ultimazione 4/5 EB, erano arrivati che una squadra di 3/4persone si dedicava alla loro vettura e diciamo che in catena di montaggio ne venivano costruite dalle 3 alle 4 alla volta. Purtroppo io promisi di non fare le foto ma alcune foto furono scattate dalla stessa Bugatti e solo dal 1994 aumento la produzione settimanalmente con incessante lavoro eseguito da mani artigiane visto che venivano assemblate e poi rimontate più volte i lamierati sino a quando era tutto perfetto e passare al lavoro sucessivo...

Questo giorno del lancio fu solo l'inizio...per vedere se ci fosse stata sufficiente clientela "molto danarosa" che decidesse di fare la comanda. Ma le vetture nel settembre del 1991, dal 15 del mese, erano solo 4/5, includendo solo i primi 4 prototipi, di cui uno solo fu modificata la carrozzeria in tempo per Parigi alla stampa Mondiale. Vuol dire che non ce ne furono altre già pronte per un'immediata vendita... se fosse stato il contrario forse la Bugatti avrebbe avuto un'altro destino, ma fu impossibile perchè i tempi furono troppo brevi!

 

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