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Storie Alfa Romeo


MotorPassion

Messaggi Raccomandati:

Apro questa discussione per riportare gli articoli che in questo periodo Alfa Romeo sta rilasciando in merito al suo passato.

(Spero sia corretto pubblicare tale discussione qui nella sezione Auto d'Epoca, altrimenti la si può anche mettere nella sezione Alfa Romeo, ringrazio in anticipo gli ADMIN)

 

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Cita

“Storie Alfa Romeo”: il Marchio si racconta a tutti gli appassionati

 

Le belle storie emozionano e confortano, e soprattutto nei momenti più complicati rappresentano un corroborante momento di evasione. Una storia ben raccontata è come un’automobile ben fatta, capace di avvolgere e di appassionare: consente di andare lontano, almeno con la fantasia, e di godersi il panorama che sfila dal finestrino. Soprattutto in questo frangente di giorni difficili c’è un diffuso desiderio di storie, e Alfa Romeo ne ha tante da raccontare.

 

“Storie Alfa Romeo”: un piano editoriale che celebra 110 anni di storia

Il 24 giugno 2020, infatti, il Marchio taglierà un nuovo prestigioso traguardo: il Biscione festeggerà 110 anni contraddistinti da innovazioni tecnologiche, successi sportivi e memorabili creazioni su quattro ruote, e per festeggiare un compleanno così importante ha sviluppato “Storie Alfa Romeo”, una collana web dedicata a tutti gli appassionati di automobili. Del resto, non si può pensare alla storia dell’automobilismo mondiale senza evocare Alfa Romeo: il Biscione è davvero nel cuore non solo degli Alfisti, ma di tutti gli amanti del bello. La storia di Alfa Romeo si intreccia infatti con il meglio della genialità italiana, ne racchiude il carattere, oltre al noto patrimonio tecnico e artistico, e tocca ambiti che esulano dal mondo dell’automobile.

 

La passione al centro: Alfa Romeo racconta Alfa Romeo

“Storie Alfa Romeo” racconterà curiosità, costume, fatti correlati allo sviluppo del Marchio, e a quello storico e sociale d’Italia, attraverso i suoi modelli più famosi, accompagnati da foto d’archivio e dalle immagini delle vetture ospitate dal Museo Storico Alfa Romeo di Arese.

Come ogni creazione firmata dal Biscione, anche “Storie Alfa Romeo” mette al centro chi siede al volante, ma non solo. Di puntata in puntata, le “Storie Alfa Romeo” permetteranno di incontrare piloti e divi, tecnici e stilisti, celebrità e semplici appassionati: i protagonisti della leggenda Alfa Romeo.

 

Da via Cappuccio a una dimensione globale

Con “Storie Alfa Romeo” sarà dunque possibile andare alla scoperta delle radici di Alfa Romeo, e dell’intreccio di legami con Londra, Bordeaux e Napoli che hanno dato al Marchio una dimensione internazionale sin dalle origini. Per iniziare si parlerà della prima vettura prodotta, la 24 HP progettata da Giuseppe Merosi nella sua casa milanese di via Cappuccio ancor prima che il 24 giugno 1910 venisse registrata a Milano la ragione sociale A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). E naturalmente non mancherà l’occasione per rivivere le origini del mito sportivo Alfa Romeo: dal debutto nelle corse nel 1911 alla prima vittoria nella Targa Florio, atto di nascita del leggendario Quadrifoglio.

 

 

 

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Cita

“Storie Alfa Romeo”, prima puntata: a bordo della 24 HP dalle origini alle prime vittorie internazionali (1906-1925)

Storie e personaggi d’inizio Novecento che ruotano intorno alla prima vettura: un’elegante torpedo per andare a cento all’ora

 

Il francese arrivato da Napoli

La nostra prima storia dovrebbe cominciare il 24 giugno del 1910, con la fondazione dell’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) – ma noi iniziamo qualche anno prima, con un personaggio singolare: un francese con i baffi a manubrio e uno spiccato senso per gli affari.
Pierre Alexandre Darracq ha iniziato con una fabbrica di biciclette a Bordeaux, ma si è presto innamorato delle automobili. Le sue macchine in Francia riscuotono un buon successo. Decide di esportarle, e per questo apre succursali a Londra e successivamente in Italia. Inizia la sua attività a Napoli nell’aprile del 1906 – ma Napoli è lontana dalla Francia: i collegamenti sono difficili e molto costosi. E già a dicembre la produzione si trasferisce a Milano, al 95 di strada del Portello.
Alle difficoltà logistiche si aggiungono problemi di mercato. In Italia l’auto non decolla: le vetture in circolazione sono poche migliaia, e il basso potere d’acquisto non aiuta. Rispetto alla Francia, sono diverse anche le aspettative dei clienti: le Darracq sono piccole, leggere e poco costose, ma in Italia non piacciono perché poco potenti. Sul finire del 1909, Darracq mette in liquidazione la società.

 

Il cavaliere milanese

Ma c’è chi alle potenzialità del Portello ci crede, eccome. È l’amministratore delegato, cavalier Ugo Stella, che con l’aiuto di alcuni finanzieri lombardi e la garanzia della Banca Agricola Milanese rileva lo stabilimento e riassume gli oltre 200 operai che ci lavorano. Una mossa che sembra temeraria: ma Stella ha avuto una delle grandi intuizioni di cui è costellata la storia Alfa Romeo. Conosce il mestiere, ha valutato i rischi e ha capito che macchine vorrebbero i suoi clienti. E ha un asso nella manica: ha trovato l’uomo che le progetterà.

 

Il geometra piacentino

Giuseppe Merosi è un geometra di Piacenza colto dalla passione per l’auto, come molti giovani del suo tempo – una passione che ha maturato lavorando in diverse aziende del settore.
Nell’autunno del 1909, Stella gli chiede di creare due vetture completamente nuove nelle fasce fiscali dei 12 e 24 HP: più potenti delle Darracq, adatte ai gusti della clientela italiana, e con un telaio che consente di montare carrozzerie di prestigio.
Nel suo alloggio milanese di via Cappuccio 17, il giovane progettista lavora notte e giorno, e già il primo gennaio del 1909 consegna all’Ufficio Tecnico i disegni per sviluppare la prima vettura.

 

La 24 HP

Caso forse unico nella storia dell’automobile, la 24 HP nasce prima del Marchio che la metterà in commercio. Ha un motore monoblocco (non comune all’epoca), 4 cilindri, 4 litri di cilindrata e 42 cavalli di potenza, con trasmissione a cardano unico sulle ruote posteriori. È dotata di un robusto telaio a longheroni e traverse in lamiera stampata a C – su cui i carrozzieri Castagna, Schieppati, Sala e Bollani sviluppano versioni torpedo e limousine per una clientela molto esigente. La 24 HP punta subito in alto: è un modello che oggi definiremmo “Premium”, che costa una somma equivalente a due anni dello stipendio di un impiegato.
Non solo: è capace di raggiungere 100 km/h, ed è fabbricata con estrema cura e precisione. Questo la rende capace non solo di “andare forte”, ma anche di offrire le migliori prestazioni su strada. Non c’è da stupirsi se piace subito. La prima A.L.F.A. è già una vera Alfa Romeo: elegante e sportiva, tecnologicamente avanzata e dotata di un fascino inconfondibile. È la formula magica che accompagnerà il Marchio lungo tutta la sua storia – e lo renderà unico nel panorama dell’auto.
Merosi capisce di essere sulla strada giusta, e spinge sull’acceleratore. Nel 1911 sviluppa la 24 HP Corsa, con peso ridotto, più potenza e più velocità – un po’ come le GTA di oggi. Con quest’auto, A.L.F.A. entra nel mondo delle competizioni, solo un anno dopo la fondazione. La prima vittoria arriva alla Parma-Poggio di Berceto del 1913: il pilota Nino Franchini è secondo assoluto, e primo di categoria.

 

La 40/60 HP

Per un Brand giovane, le corse sono il miglior mezzo per farsi conoscere. Merosi lo sa bene – e decide di fare il grande salto, mettendo in cantiere una vettura dedicata. Nel 1913 nasce la 40/60 HP.
Su questa meccanica si sviluppa una delle creazioni più avveniristiche dell’epoca. Il conte Ricotti chiede al carrozziere Castagna di sperimentare sullo chassis A.L.F.A. le soluzioni suggerite da una scienza nascente: l’aerodinamica. Prende così forma la 40/60 HP Aerodinamica, un’auto che sembra uscita da un romanzo di Jules Verne, capace di raggiungere i 139 km/h.
Ma lo scoppio della Grande Guerra cambia lo scenario per tutti, compresa l’A.L.F.A., chiamata a partecipare allo sforzo bellico. Il 2 dicembre 1915 la Società in Accomandita Semplice Ing. Nicola Romeo & C rileva gli stabilimenti del Portello e li riconverte alla produzione di munizioni e motori aeronautici. Al reparto produttivo originario si affiancano una nuova forgia e una nuova fonderia, dotate di macchine utensili e attrezzature acquistate direttamente negli Stati Uniti. I dipendenti passano da poche centinaia a oltre 1.200.

 

Il senatore ingegnere

Nicola Romeo, futuro Senatore del Regno, è un’altra figura chiave delle nostre storie. Durante la guerra acquisisce imprese come le "Costruzioni Meccaniche di Saronno", le "Officine Meccaniche Tabanelli" di Roma e le "Officine Ferroviarie Meridionali" di Napoli. Cambia nome alla sua società, che diventa "Società anonima Ing. Nicola Romeo e Co." – e, quando la Banca Italiana di Sconto chiede la liquidazione di A.L.F.A., è pronto ad acquisirla.
Dopo una battaglia legale con i vecchi proprietari per il nome, l’ingegner Romeo decide di commercializzare le sue vetture affiancando Alfa al suo cognome Romeo. Le prime vetture a portare il nuovo Marchio sono la 20-30 HP e la sua derivata ES Sport. Auto che nascono nel solco già tracciato da Merosi prima della guerra: eleganti, veloci e con un temperamento unico.
In quegli anni, i piloti Giuseppe Campari, Antonio Ascari, Ugo Sivocci e il giovane Enzo Ferrari sono a più riprese sulle prime pagine dei giornali. Mugello, Parma-Poggio di Berceto, Targa Florio, Aosta-Gran San Bernardo, Coppa delle Alpi: le Alfa Romeo arrivano sempre tra le prime. Ma manca ancora la grande affermazione internazionale.

 

Il capolavoro di Merosi

La risposta italiana alle più eleganti vetture del mondo: è così che la stampa britannica saluta, nel novembre del 1921, la nuova Alfa Romeo RL presentata al Salone dell’Auto di Londra. La RL è una vettura di nuovissima concezione, ed è forse il capolavoro di Merosi. Motore 3 litri, 56 cavalli, 6 cilindri monoblocco con testa smontabile, valvole comandate con sistema di aste e bilancieri: la RL raggiunge i 110 km/h ed è estremamente precisa nella guida.
Sempre sotto la guida di Merosi, nel 1923 nascono due speciali versioni Corsa alleggerite a 980 kg. Nascono per trionfare alla Targa Florio – e ci riusciranno.
Ad aprile, Ugo Sivocci si presenta ai nastri di partenza con un quadrifoglio verde su sfondo bianco sulla fiancata della vettura. Il portafortuna funziona: Sivocci trionfa nella XIV Targa Florio (la prima di una lunga serie), e il Quadrifoglio entra nella storia del Marchio.

 

Il progettista segnalato da Ferrari

È arrivato il momento di separare la produzione di serie da quella di vetture da Gran Premio. È Enzo Ferrari in persona a segnalare un nome per il responsabile: Vittorio Jano, un giovane progettista piemontese che ha maturato in FIAT profonda competenza sull’architettura dei motori e dei telai.
Jano porta all’Alfa Romeo idee rivoluzionarie, come la sovralimentazione delle piccole cilindrate. Idee che si rivelano vincenti. La sua GP Tipo P2 con Ascari al volante sbaraglia la concorrenza sul circuito di Cremona a una media di oltre 158 km/h.
Le vittorie della Tipo P2 porteranno l’Alfa Romeo ai vertici dell’automobilismo sportivo. Nel 1925 arriva infatti l’affermazione nel Primo Campionato del mondo Gran Prix, organizzato dall’Associazione Internazionale degli Automobile Club Riconosciuti. Per celebrare la vittoria, il logo Alfa Romeo verrà circondato da una corona d’alloro.

 

 

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“Storie Alfa Romeo”, seconda puntata: l’iconica 6C 1750 anticipa il futuro ed è protagonista della sua epoca

  • La 6C 1750 degli anni Trenta esprimeva al meglio una delle caratteristiche che continuano a contraddistinguere tutte le creazioni Alfa Romeo: l’inimitabile capacità di primeggiare nelle competizioni sportive e nei concorsi di bellezza.
  • È stata la capostipite di una nuova generazione di Alfa Romeo e ha inaugurato una tradizione tecnica e progettuale che continua ancora oggi, con un eccezionale rapporto peso-potenza e un bilanciamento perfetto.

 

Il mantovano volante

È il 13 aprile 1930, sono passate da poco le cinque del mattino. La quiete del Lago di Garda è rotta dal rombo di una Alfa Romeo 6C 1750 Gran Sport spider Zagato che va a 150 chilometri orari a fari spenti. Al volante c’è Tazio Nuvolari da Mantova, detto “Nivola”. Al suo fianco c’è Gian Battista Guidotti, capo-collaudatore Alfa Romeo al Portello.
La corsa è la mitica Mille Miglia. In testa c’è Achille Varzi. che sembra avviato alla vittoria. Ma pochi chilometri prima del lago, a Verona, Nuvolari e Guidotti hanno avuto un’idea folle: spegnere le luci. Per battere il rivale, l’unico modo è coglierlo di sorpresa.
È quasi l’alba. Dopo il lago c’è la campagna che porta al traguardo di Brescia. È qui che Varzi e il secondo pilota Canavesi sentono l’eco di un altro motore. Neanche il tempo di capire che cosa stia succedendo, e un’automobile identica alla loro li sorpassa.
Vince Nuvolari alla media di 100,45 km/h. È la prima volta in questa gara che viene infranto il muro dei 100 km/h di media – un record a cui la stampa dell’epoca dà grande risalto. L’incredulo Varzi arriva secondo, staccato di una decina di minuti. Terzo Giuseppe Campari. Quarto Pietro Ghersi. Piloti molto diversi, con una cosa in comune: guidano tutti e quattro la stessa vettura, la 6C 1750. E non sono gli unici. Altre 6C arriveranno, nell’ora e mezza seguente – per un totale di otto nei primi undici posti.
Una supremazia assoluta, ribadita quello stesso anno con i primi tre classificati alla 24 Ore di Spa, in Belgio, e al Tourist Trophy di Belfast. La 6C 1750 è l’auto più veloce del suo tempo.

 

La famiglia 6C

La 6C è la prima creatura di Vittorio Jano, che dal 1926 ha preso in mano tutta la progettazione Alfa Romeo. Il mandato era creare una “vettura leggera con prestazioni brillanti” – capace di arrivare prima nelle corse, di farsi ammirare, ma anche di aprire nuovi mercati.
La 6C unisce pulizia di struttura e raffinatezza meccanica – le qualità tipiche delle auto di Jano. Ma ha anche qualcosa in più, che diventerà una caratteristica distintiva Alfa Romeo: una elevata potenza specifica. Jano sa estrarre cavalli da motori piccoli, e questo lo porta a immaginare quello che noi oggi chiameremmo “downsizing”: crea propulsori che si collocano a metà tra la cilindrata da un litro, tipica delle utilitarie, e i due o tre litri delle auto di lusso. Già allora, le Alfa Romeo vanno più forte di tutti grazie al miglior rapporto peso/potenza.

 

L’innovazione tecnologica

A partire da questa intuizione progettuale, nascono modelli che faranno storia.
Già per la GP 1914 (poi bloccata dalla guerra), Merosi aveva sviluppato soluzioni motoristiche inedite, che avrebbero caratterizzato la storia progettuale futura di Alfa Romeo: i due alberi a camme in testa, le quattro valvole per cilindro e la doppia accensione. Sulla 6C 1900 GT (e successivamente sulle 6C 2300 e 6C 2500) vengono introdotte altre novità: le sospensioni a ruote indipendenti, e un nuovo telaio con componenti saldati (anziché chiodati) per aumentare la rigidità.
La maneggevolezza e la tenuta di strada delle Alfa Romeo diventano leggendarie: lo “handling” entra nel DNA del Brand.

 

La 6C 1750

La 6C 1750 presentata nel gennaio del 1929 al Salone dell’Automobile di Roma rappresenta forse la piena maturazione della formula 6C. Il motore è un’evoluzione del precedente 1500 sei cilindri in linea. Viene prodotto in versioni diverse – monoalbero e bialbero, con compressore volumetrico e senza – e la potenza va dai 46 cavalli della versione Turismo ai 102 cavalli della Gran Sport “Testa Fissa”. Quest’ultima è una “special version” prodotta in pochissimi esemplari: la testata è fusa in blocco col basamento cilindri per eliminare le guarnizioni (e il rischio di bruciarle), il peso è di soli 840 kg e la velocità massima di 170 km/h. 
Ma non è solo il propulsore a fare della 6C 1750 il punto più alto dell’innovazione in campo automobilistico. Il sistema frenante è di tipo meccanico, con tamburi di grandi dimensioni comandati da un sistema di rinvii. Il telaio, in acciaio stampato, è perfettamente equilibrato ed estremamente rigido, con assali rinforzati. Le balestre sono montate non sotto ai longheroni, ma all'esterno del corpo vettura: il baricentro più basso esalta la tenuta in curva. Il serbatoio del carburante è stato arretrato per ottenere un maggior carico sulle ruote posteriori e migliorare il bilanciamento tra gli assi. Tutte soluzioni all’avanguardia, che – in linea con la filosofia della Casa – sono applicate sulle vetture da corsa come sulle auto stradali.
Le vittorie nelle gare diventano una cassa di risonanza per la supremazia tecnica del modello. Sin dall’esordio, la 6C 1750 ha un notevole successo commerciale. Dal 1929 al 1933 escono dal Portello ben 2.579 esemplari, venduti sul mercato domestico ma anche all’estero – soprattutto in Regno Unito e nel Commonwealth. Numero significativo, considerando che si tratta di un’auto decisamente “di élite”. In Italia, il prezzo di vendita andava dalle 40 alle 60 mila lire: circa sette anni di uno stipendio medio.

 

L’era dei carrozzieri

La 6C non è solo veloce, è anche molto bella. E molta parte del suo successo si deve ai carrozzieri che la “vestono”: maestri artigiani capaci di unire il mestiere di sellaio, di battilastra, di verniciatore e di tappezziere – ma soprattutto creativi e stilisti capaci di lasciare un segno nella loro epoca.
Fino agli anni trenta, era normale che dagli stabilimenti produttivi uscissero telai nudi, attrezzati con motore, cambio e sospensioni. Il cliente acquistava l’auto, poi si rivolgeva all’allestitore per farsi creare un modello su misura – praticamente unico al mondo. Solo nel 1933 al Portello viene aperto un reparto di carrozzeria interno, che affianca (ma non sostituisce) la produzione di chassis meccanizzati venduti direttamente a clienti e carrozzieri.
La 6C 1750 dimostra grande duttilità di allestimento. Intorno all’eccezionale meccanica Alfa Romeo vengono sviluppate alcune delle auto più eleganti di sempre – carrozzate dagli stilisti più illustri, e comprate dai personaggi più famosi.

 

La 6C 1750 GS Touring “Flying Star”

La “Flying Star” nasce per essere bella quanto la sua proprietaria: Josette Pozzo, milionaria, modella e protagonista degli eventi mondani dell’epoca. Creata appositamente per partecipare al Concorso d'Eleganza di Villa d'Este del 1931, fu sviluppata dalla Carrozzeria Touring di Felice Bianchi Anderloni.
La 6C 1750 spider è un “pezzo unico”: un vero gioiello di originalità, eleganza e cura del dettaglio. È tutta bianca, compresi sottoscocca, raggi ruote, volante, e selleria – con la sola eccezione del cruscotto nero a contrasto.
Con questo modello, Touring dà alla 1750 nuove proporzioni e inserisce una serie di dettagli estetici che le danno un fascino “liberty” – come i predellini anteriore e posteriore sospesi, che nascono dai passaruote per incrociarsi sotto le porte senza toccarsi.
A Villa d’Este la 6C 1750 GS Touring vince la “Coppa d’Oro” assegnata all’auto più bella – e alla premiazione Josette guida personalmente la vettura, sfoggiando un abito bianco perfettamente coordinato.

 

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"Qualche emiro che compra una Ferrari lo troverò sempre. Ma se il ceto medio finisce in miseria, chi mi comprerà le Panda?"

Sergio Marchionne

 

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“Storie Alfa Romeo”, terza puntata: la 6C 2500 Villa d’Este è la più elegante sintesi di un modo di concepire l’automobile

  • Gli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale vedono il passaggio dal culmine dell’artigianalità a un’organizzazione produttiva più moderna, e le Alfa Romeo restano punti di riferimento.
  • La 6C Villa d’Este fa scuola in termini di eleganza, novità tecniche, prestazioni, prestigio.
  • Intorno alla vettura si intrecciano storie di personaggi celebri, autentiche icone senza tempo: da Tyrone Power a Evita Peron, da Rita Hayworth a Ranieri III di Monaco sino a un ventenne Valentino Mazzola che lavorava al Portello quando nel 1939 venne prodotta la prima vettura della nuova serie.

 

Il simbolo di un epoca

Quando la 6C 2500 carrozzata da Touring sfila sulla passerella di Cernobbio, nella primavera del 1949, è chiaro a tutti chi vincerà la Coppa d’Oro. L’unicità e la classe delle sue linee sono tali che viene naturale conferirle “ad honorem” il nome del Concorso d’Eleganza più importante del mondo.
Ma la 6C 2500 Villa d’Este non è solo una vetta di bellezza stilistica. Questa vettura è al tempo stesso un punto di arrivo del modo artigianale di fare auto, e il punto di svolta che annuncia una organizzazione produttiva più moderna.

 

Un trevisano che ha girato il mondo

Facciamo un passo indietro. Quando nel 1939 nasce la 6C 2500, sono già sei anni che alla guida del Portello c’è l’ingegner Ugo Gobbato. All’Alfa Romeo Gobbato ha portato un importante bagaglio di esperienza industriale: dopo la laurea in Germania, ha diretto le officine Marelli e il Lingotto di Torino, ed è stato tra i principali artefici della realizzazione “da prato verde” della prima, gigantesca fabbrica di cuscinetti a sfera dell’Unione Sovietica.
Uomo d’officina, è facile vederlo passare nei reparti, parlare con i suoi uomini, cercare di capire se il lavoro è gestito con efficienza. Al suo arrivo, la prima preoccupazione è quella di censire tutto quello che non funziona: il “macchinario scadente”, la “pianta non armonica”, i “falsi movimenti di materiale”. Partendo da questa analisi Gobbato avvia la sua opera. La sua lezione di metodo è riassunta in due manuali pubblicati nel 1932 dal titolo “Organizzazione dei fattori della produzione”: Gobbato teorizza e attua una vera e propria sintesi tra le esigenze di un moderno sistema industriale e la tradizione di precisione artigianale che ha distinto l’azienda fino a quel momento.
Una “razionalità produttiva non di serie”, così viene definita, che si concretizza nell’inserimento di una leva di giovani ingegneri. Con loro entrano in fabbrica nuove norme e regole moderne. Ne derivano una gerarchia più definita, mansioni precise e retribuzioni proporzionate.

 

Una giovane promessa

Nell’ambito di questo enorme lavoro di revisione del Portello, in un’area adiacente viene anche allestito un campo di calcio, con tanto di pista di atletica e tribunetta.
Siamo nel 1938: la squadra del dopolavoro aziendale, il Gruppo Calcio Alfa Romeo, ha vinto la divisione regionale l’anno prima, e giocherà in serie C. Per l’occasione viene ingaggiato un giovane promettente calciatore, attirato dalla prospettiva di un'occupazione stabile come meccanico al Portello. È il futuro capitano della Nazionale e del Grande Torino Valentino Mazzola.
Chissà se il grande Valentino prestò mai la sua opera di meccanico su una 6C 2500? L’unica certezza è la presenza del giovane al Portello quando nel 1939 viene prodotta la prima vettura della nuova serie.

 

La 6C 2500

Diretta evoluzione delle 6C 2300 e 2300 B che l’hanno preceduta, la 6C 2500 eredita alcune importanti novità tecniche, come le sospensioni posteriori a barre di torsione con ammortizzatori telescopici, e i freni non più meccanici ma idraulici.
Le prestazioni diventano più brillanti: i livelli di potenza salgono fino ai 110 cavalli della Super Sport, capace di 170 chilometri orari. L’auto debutta nelle corse vincendo la Tobruk-Tripoli del 1939 con una carrozzeria “ad ala spessa”, che integra i paraurti nella scocca.
Ancora una volta l’unicità tecnica del modello e i successi sportivi diventano la chiave per rivolgersi alla clientela di élite. La produzione si avvia con le versioni Turismo da cinque o sette posti, Sport e Super Sport con passo corto, da affidare ai carrozzieri esterni. Nonostante il prezzo (che va dalle 62 alle 96 mila lire), l’accoglienza da parte del mercato è più che positiva. È soprattutto un grande successo di fatturato: le 159 unità vendute valgono quanto 1.200 Fiat 508 Balilla.

 

Il ritorno della 6C

Dopo la Seconda Guerra Mondiale occorre riconvertire gli stabilimenti dalla produzione bellica alla produzione civile. Il Portello ha subito i bombardamenti del 1943 e 1944, e ha pagato un duro prezzo. Ricominciare a fare auto non è semplice, ed è giocoforza ripartire dall’ultimo modello della casa, quella 6C 2500 di cui si è riusciti a salvare alcuni stock di parti meccaniche.
Nel 1945 vengono assemblati solo pochissimi esemplari della 6C 2500 Sport. Tecnici e operai le guardano come si guarda un sogno. Fuori dal Portello, Milano e tante città italiane sono ancora semidistrutte, e l’economia è in ginocchio: perfino le aziende devono ricorrere al mercato nero per procurarsi i materiali e i combustibili necessari al funzionamento degli impianti.

 

La 6C 2500 Cabriolet Speciale Pinin Farina

Nel 1946 la produzione è già salita a 146 unità, tra vetture e chassis consegnati ai carrozzieri. Uno di questi ultimi viene allestito in versione cabriolet, e portato al Salone dell’Auto di Parigi. L’Italia, Paese sconfitto, è esclusa dalla manifestazione – e allora l’intraprendente carrozziere decide di piazzare le sue vetture di fronte all’ingresso del Gran Palais, per poi spostarle a sera a Place de l’Opéra. Questo è sufficiente a sancire il successo del modello e del suo creatore, Battista “Pinin” Farina.
Al Portello, sempre nel 1946, nasce su telaio Sport l’originale Freccia d’Oro, con una coda arrotondata che interpreta gli ultimi sviluppi in tema di aerodinamica. A partire da questo modello nascono realizzazioni di grande rilievo. Pinin Farina firma un’elegante coupé, le cui linee fanno scuola, e una berlinetta premiata al Concorso di Cernobbio. Il motonauta Achille Castoldi compra un coupè Touring e ripete al Salone di Ginevra quanto fatto da Farina a Parigi.

 

L’auto del “bel mondo”

Tyrone Power gira per Roma con la sua Alfa Romeo 6C 2500, Juan Peron e la moglie Evita la vogliono per sfilare a Milano. L’acquistano personaggi come Re Farouk d’Egitto e Ranieri III di Monaco. Quando il 27 maggio del 1949 Rita Hayworth raggiunge il Principe Ali Khan al municipio di Cannes per convolare a nozze, lo fa a bordo della 6C 2500 cabriolet Pinin Farina che ha appena ricevuto come regalo di matrimonio. Il modello ha un’elegante carrozzeria grigia, con capote e interni blu perfettamente intonati all’abito della sposa.
Inizialmente il matrimonio era previsto ai primi del mese; ma la data delle nozze viene spostata a causa della tragedia di Superga, per espressa volontà del Principe – torinese di nascita, e grande tifoso di calcio. Si chiude un cerchio apertosi nel 1939 con la nascita della prima 6C 2500, quando al Portello si allenava il giovane e ancora sconosciuto Valentino Mazzola.

 

La 6C 2500 SS Coupé Villa d’Este

Siamo arrivati alla Villa d’Este, forse la sintesi di tutto ciò che di bello è stato fatto finora con l’auto e sull’auto.
La 6C 2500 SS “Villa d'Este” è uno degli ultimi modelli Alfa Romeo a essere realizzato con telaio portante separato dalla carrozzeria. Viene prodotta in soli 36 esemplari, uno diverso dall’altro, a seconda dei desideri dei clienti e dell’estro dei carrozzieri.
Partendo dalla 6C 2500 SS Coupé, realizzata dalla sua stessa Touring, Bianchi Anderloni introduce importanti modifiche: il frontale viene ridisegnato, i quattro fari vengono meglio integrati nella carrozzeria, compaiono due prese di raffreddamento allungate sovrapposte. I parafanghi sono integrati nella fiancata, ma ben evidenti. Il parabrezza è sdoppiato e inclinato. Nel retro, molto basso e pronunciato, spiccano due piccoli, eleganti fanali rotondi.
È nato un capolavoro dell’arte automobilistica del ventesimo secolo.
Nell'edizione 1949 del Concorso d’Eleganza di Villa d’Este la vettura si aggiudica il “Gran Premio Referendum”, il premio attribuito dal pubblico – e fa suo per sempre il nome dell’evento che la consacra.

 

 

 

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“Storie Alfa Romeo”, quarta puntata: Alfa Romeo è il primo costruttore a vincere in Formula 1

Il legame tra l’Alfa Romeo e la Formula 1 ha scritto la storia dell’automobilismo sportivo: fu proprio il marchio del Biscione ad aggiudicarsi il primo Gran Premio e l’edizione inaugurale della massima competizione motoristica nel 1950 con Nino Farina a bordo di un’Alfa Romeo Gran Premio Tipo 158 “Alfetta”, e il successo è stato bissato nel 1951 da Juan Manuel Fangio sull’Alfetta 159

 

La millesima gara

Il 13 maggio è l’anniversario del primo Gran Premio di Formula  1, uno dei grandi miti sportivi del nostro tempo. La nascita della competizione (Silverstone, 1950) viene celebrata dalla Federazione Internazionale a Shangai il 14 luglio 2019 (in occasione della millesima gara), e il 13 maggio 2020 (quando la Formula 1 compie settant’anni).
Due ere a confronto: nel 1950 il casco per i piloti non è ancora obbligatorio, non esiste la televisione e gli spettatori sono tutti a bordo pista. Oggi il “circus” è un’industria globale ultratecnologica, capace di raggiungere milioni di persone a stagione attraverso TV e web.
In comune solo due cose: la passione del pubblico, e Alfa Romeo – tornata a correre nel 2018 insieme con Sauber, e che dal 2020 dà il suo nome al team Alfa Romeo Racing ORLEN.
Alfa Romeo non era la stessa senza la Formula 1. E, forse, anche la Formula 1 non era la stessa senza Alfa Romeo.

 

L’Alfetta 158

L’Alfetta del 1938 è un gioiello tecnologico. Il motore 8 cilindri in linea con compressore monostadio e carburatore a triplo corpo è sviluppato da Gioacchino Colombo, capo della progettazione, che lo vuole potente, pronto nelle accelerazioni e molto affidabile. La distribuzione è azionata da un doppio albero a camme in testa. L’uso di leghe leggere (elektron per il monoblocco, acciaio al nichel-cromo per l’albero motore) consente di ridurre il peso del propulsore a soli 165 chilogrammi. Il cambio trova posto al retrotreno, in blocco con il differenziale. È il famoso schema “transaxle”, che garantisce minore ingombro e una distribuzione ottimale dei pesi sui due assi: una soluzione che il Marchio porterà in seguito anche sulle vetture di serie.
Il conflitto mondiale spezza il filo della ricerca, e interrompe l’evoluzione delle macchine: ma il progetto prevedeva soluzioni tecniche tanto sofisticate da arrivare fino al dopoguerrra – e, in qualche caso, fino ai giorni nostri.

 

La fuga ad Abbiategrasso

C’è una continuità fisica, non solo progettuale, tra la prima e le successive 158: perché le auto con cui Alfa Romeo ricomincia a correre sono letteralmente le stesse – nascoste in attesa della fine delle ostilità.
Siamo nel 1943. Milano è occupata, rastrellamenti e sequestri sono all’ordine del giorno. Al Portello sono conservate alcune Alfetta 158, che rischiano di diventare bottino di guerra. I tecnici e gli operai dell’Alfa Romeo decidono di farle sparire, e organizzano clandestinamente prelievo e spostamento. Alcuni appassionati Alfisti si offrono di ospitare le vetture: tra essi, il pilota di motonautica Achille Castoldi, che nel 1940 aveva fissato il record mondiale di velocità proprio con un motore Alfa Romeo 158.
Ma qualcosa non funziona. Una pattuglia della Wehrmacht interviene e chiede chiarimenti con le armi spianate. Per fortuna, il collaudatore Pietro Bonini è svizzero, e ha vissuto a lungo a Berlino. Parlando in perfetto tedesco e sventolando un lasciapassare riesce a salvare la situazione. I camion partono. Le 158 saranno portate in officine e fattorie, nascoste da muri e coperte da cataste di legna – in attesa di tempi migliori.

 

L’atto di nascita della F1

Già nel primissimo dopoguerra, quelle 158 vengono riportate al Portello, restaurate e rimesse in condizione di correre. E tornano subito a vincere, anche se un Campionato vero e proprio non c’è ancora. Tra il 1947 e il 1948, Nino Farina trionfa a Ginevra al Gran Premio delle Nazioni, Varzi taglia per primo il traguardo del Gran Premio del Valentino a Torino e Trossi stravince il Gran Premio di Milano. Il messaggio è forte e chiaro: Alfa Romeo è sempre la squadra da battere.
Il British Grand Prix di Silverstone del 1950 è la prima delle sette gare del neonato Campionato mondiale FIA di Formula 1. Paesi che erano in guerra solo pochi anni prima sono uniti da una competizione sportiva: è un momento storico. E storica è l’affermazione Alfa Romeo.
Ai primi quattro posti della griglia di partenza ci sono quattro Alfetta 158. Giuseppe “Nino” Farina conquista la pole position, il giro più veloce e la vittoria finale. Secondo è Luigi Fagioli, terzo Reg Parnell. Il primo podio della F1 è tutto Alfa Romeo.

 

La squadra delle 3 F

Per la combinazione di velocità, maneggevolezza e affidabilità che offre, la 158 rappresenta il punto più alto della tecnologia automobilistica del tempo. Al momento della sua nascita, nel 1938, ha un motore 1.5 litri con compressore da 185 cavalli. Nel dopoguerra, il compressore diventa a doppio stadio e il motore raggiunge i 275 – per poi arrivare a 350 (a 8.600 giri) nel 1950. Grazie all’estrema leggerezza della vettura, il rapporto peso/potenza è di soli 2 kg/CV – un valore in linea con le supersportive stradali di oggi.
La superiorità tecnica si traduce in vittorie. Farina, Fangio e Fagioli diventano per i giornali “la squadra delle 3 F”, che sbaraglia gli avversari. I tre piloti Alfa Romeo vincono tutti i Gran Premi a cui partecipano, vanno a podio dodici volte e ottengono cinque giri veloci. Come dirà Giuseppe Busso, storico progettista Alfa Romeo e ai tempi collaboratore di Colombo, “il problema principale era decidere quale dei nostri tre piloti avrebbe dovuto vincere la gara”.
Al Gran Premio di Monza, il 3 settembre 1950, Alfa Romeo anticipa le soluzioni tecniche della 159 sviluppata per partecipare al Campionato dell’anno successivo. La nuova Alfetta esordisce con una vittoria: al volante Nino Farina – che diventa così il primo Campione del Mondo di Formula 1.

 

L'Alfetta 159

L’anno successivo il campionato rimane aperto fino all’ultima gara: a contendersi il successo Alfa Romeo e Ferrari. Dopo 17 anni, lo straordinario motore dell'Alfetta è arrivato alla fine del suo potenziale di sviluppo – ma nel corso del 1951 i tecnici riescono ancora a estrarre potenza, buttando nella mischia fino a 450 cavalli. Grazie a questo sforzo (e alla bravura dei piloti), la 159 vince in Svizzera, Belgio, Francia e Spagna, raccoglie 11 podi e stabilisce il giro più veloce in tutte e sette le gare disputate.
Il mito delle “3 F” e delle loro vittorie porta Alfa Romeo nel mondo del cinema. I due produttori del momento (Dino De Laurentiis e Carlo Ponti) scelgono gli attori del momento (Amedeo Nazzari e una bellissima Alida Valli) per realizzare “Ultimo incontro”, un film interamente ambientato sui circuiti della F1 e nelle officine della Squadra Corse Alfa Romeo. Alla sceneggiatura collabora anche Alberto Moravia.
Il film esce nelle sale il 24 ottobre 1951, e quattro giorni dopo Juan Manuel Fangio vince il Gran Premio di Spagna, diventando Campione del Mondo con l’Alfetta 159. È la seconda vittoria consecutiva. Alfa Romeo ha vinto i primi due titoli di Formula 1, e può ritirarsi imbattuta per dedicarsi interamente alla produzione di serie.

 

 

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Cita

“Storie Alfa Romeo”, quinta puntata - “Gazzelle” e “Pantere” sulle strade italiane: le berline sportive Alfa Romeo al servizio della legge

  • La quinta puntata delle “Storie Alfa Romeo” racconta l’Italia del dopoguerra, dalla ricostruzione al boom economico.
  • In quegli anni si consolida il mito Alfa Romeo: le più veloci su pista e su strada, diventano uno status symbol oltre che le vetture perfette per servire lo Stato con la livrea della Polizia e quella dei Carabinieri.
  • Dalla 1900 del 1950 alla Giulia di oggi, le Forze dell’Ordine hanno arruolato tutti i più significativi modelli del Biscione.
  • Negli stessi anni Alfa Romeo evolve e si modernizza, imbocca la strada della produzione in serie mantenendo immutato il fascino e il calore dell’artigianalità.
  • Il successo va di pari passo con l’evoluzione e le vendite crescono: la Giulietta – oltre 177 mila unità dal 1954 – è “la fidanzata d’Italia”, e la sua erede Giulia, venduta in più di 570 mila esemplari, un’icona tricolore.

 

Le auto dei Corpi dello Stato

Nell’Italia del dopoguerra, le Alfa Romeo sono un mito. Hanno dimostrato su pista e su strada di essere più veloci di qualsiasi altra auto. Sono potenti, e vincono sempre – come il bene sul male. Hanno tutte le caratteristiche tecniche e simboliche per diventare le auto dei Corpi dello Stato.
Il legame tra Alfa Romeo e le Forze dell'Ordine è un piccolo pezzo di storia della Repubblica. A partire dagli anni cinquanta, le Alfa Romeo vengono selezionate per il servizio di pronto intervento. Diventano le “volanti”, una presenza familiare per i cittadini, ed entrano nel linguaggio comune: quelle della Polizia sono ribattezzate “Pantere”, e quelle dei Carabinieri “Gazzelle”. Due metafore che sottolineano potenza e agilità.
La prima Pantera è un’Alfa Romeo 1900 del 1952: le sue linee aggressive ispirano il nome stesso. La prima Gazzella è di pochi anni dopo. La più famosa di tutte è la Giulia Super; ma le Forze dell’Ordine arruolano moltissimi altri modelli Alfa Romeo, praticamente tutti i più importanti,  dalla Matta all’Alfasud, dall’Alfa 75 all’Alfetta, dalla 156 alla Giulia di oggi.

 

Alfa Romeo è un modo di vivere

La storia del rapporto con le Forze dell’Ordine corre parallela alla storia dell’evoluzione Alfa Romeo. E questo tema ci porta a fare la conoscenza di un altro protagonista: il torinese di origine sarda Orazio Satta Puliga, un grande innamorato di Alfa Romeo. A lui si deve la famosa frase: “Ci sono molte Marche di automobili, e tra esse l’Alfa occupa un posto a parte. È una specie di malattia, l’entusiasmo per un mezzo di trasporto. È un modo di vivere, un modo tutto particolare di concepire un veicolo a motore”.
Nominato direttore della progettazione nel 1946, Satta Puliga ha davanti a sé un arduo compito: non solo ricostruire quanto la guerra ha distrutto, ma anche trasformare un’azienda artigianale in una manifattura moderna, continuando sulla strada avviata da Ugo Gobbato.
Satta Puliga inizia subito. Al suo arrivo, Alfa Romeo produce al Portello ogni singola parte meccanica, in base a criteri di alta artigianalità; lui razionalizza il processo, esternalizza i componenti secondari e abbatte i costi. E intanto pensa a creare le nuove Alfa Romeo “di serie”, da costruire con le più efficienti metodologie tecniche e organizzative disponibili.

 

1900, la prima pantera

La 1900 di Satta Puliga del 1950 è la prima Alfa Romeo con la guida a sinistra, e la prima ad adottare una struttura a scocca autoportante. Ha abbandonato i tradizionali 6 e 8 cilindri per un nuovo motore con frazionamento a 4 cilindri, testata in alluminio e due assi a camme comandati da catena. Il motore è alimentato da un solo carburatore, e offre brillantezza con una classe fiscale contenuta. La 1900 eroga 80 cavalli, è scattante e veloce come ci si aspetta sia un’Alfa Romeo, ma è anche molto facile da guidare. In altre parole, si rivolge a un mercato più grande. Lo slogan che accompagna il lancio è: “La vettura di famiglia che vince nelle corse”.
La 1900 è anche la prima Alfa Romeo a nascere su catena di montaggio. Una vera rivoluzione: i tempi di produzione dell’auto completa scendono da 240 a 100 ore. Il nuovo approccio porta a un successo commerciale mai visto: da sola, 1900 vende più di quanto avesse fatto l’intera Alfa Romeo fino a quel momento.
Il risultato nasce anche da un’accorta gestione del ciclo di prodotto. Vengono introdotte varianti ad alte prestazioni (la 1900 TI,  la 1900 C Sprint e Super Sprint, la 1900 Super) che vincono importanti competizioni internazionali di categoria. E continua la collaborazione con i carrozzieri: su meccanica 1900 nasce la serie delle concept car BAT (Berlinetta Aerodinamica Tecnica), firmate da Bertone e disegnate dal giovane Franco Scaglione.
Lo stesso motore della 1900 viene anche adottato dall’AR51, più nota come “Matta”: un 4x4 nato per sostituire i fuoristrada post-bellici delle Forze Armate italiane.

 

Un milanese che ama la cultura e la boxe

Se con la 1900 Alfa Romeo ha imboccato la strada della produzione in serie, è con Giulietta che si trasforma in una grande fabbrica di automobili. L’uomo che guida la trasformazione è Giuseppe Luraghi.
Nato a Milano, nei suoi anni universitari alla Bocconi ha anche praticato la “nobile arte” della boxe. Quando entra nelle nostre storie è già riconosciuto come un manager di grande spessore, con una lunga esperienza in Pirelli. Dal 1951 al 1958 è direttore generale di Finmeccanica, la holding che controlla Alfa Romeo. Dopo un breve parentesi in Lanerossi, torna nel 1960 come presidente di Alfa Romeo stessa, ruolo che manterrà fino al 1974.
Scrittore, giornalista, editore, Luraghi è promotore di iniziative culturali anche in ambito aziendale. Nel 1953 affida a Leonardo Sinisgalli, “il poeta ingegnere”, il compito di creare una rivista che unisca in dialogo la cultura umanistica, la conoscenza tecnica e l'arte. Nasce così “La Civiltà delle Macchine”, su cui scrivono anche Ungaretti e Gadda.

 

Alla vigilia del “boom”

Al suo arrivo in Alfa Romeo, Luraghi rivoluziona la struttura chiamando in azienda il progettista Rudolf Hruska, e Francesco Quaroni per riorganizzare i processi industriali. C’è una grande opportunità da cogliere: il Marchio ha eccezionale visibilità, le sue vittorie sportive esaltano e fanno sognare milioni di persone. Occorre dare a tutto questo un riscontro commerciale. Siamo alla vigilia del boom economico, e l’auto è il bene più desiderato: il possesso di un’Alfa Romeo deve diventare la prova visibile del raggiunto benessere.
Da prodotto di élite a oggetto aspirazionale: la Casa concentra in questa direzione le sue risorse progettuali e industriali. E Giulietta nasce per essere il modello della svolta – che fa crescere le vendite, ma al tempo stesso conferma la tradizione tecnica e la vocazione sportiva del Marchio.

 

Giulietta, la prima gazzella

Il nuovo modello ci riporta al legame di Alfa Romeo con le Forze dell’Ordine. La prima Gazzella dei Carabinieri è proprio una Giulietta destinata al servizio di pattuglia, ed entra in servizio già equipaggiata con impianto radio per il collegamento con la Centrale. Nel linguaggio dell’Arma, la Gazzella rappresenta il pilota di radiomobile: veloce, agile e resistente. Queste caratteristiche vengono immediatamente trasferite alla vettura.
Più corta, più stretta, più leggera della 1900, Giulietta porta Alfa Romeo in un segmento nuovo, per un nuovo pubblico. Offre linee moderne e filanti all’esterno e grande abitabilità all’interno, insieme con tenuta di strada, ripresa e velocità. Il suo motore (interamente in alluminio) eroga 65 cavalli per una velocità massima di 165 chilometri orari.
Al Salone di Torino del 1954, Giulietta fa il suo esordio in versione coupé. Giulietta Sprint, disegnata da Bertone, è una vetturetta bassa, compatta e slanciata che diventa un “instant classic”. Da notare che la sportiva nasce prima del modello standard: una scelta poco convenzionale (e molto Alfa Romeo), riproposta pochi anni fa da Giulia Quadrifoglio.
Giulietta raggiunge un livello di popolarità eccezionale, che le vale il soprannome di “fidanzata d'Italia”. Il risultato di vendite è altrettanto straordinario: oltre 177 mila unità.

 

Giulia, la rivoluzione

Solo una vettura rivoluzionaria potrà sostituire Giulietta. Satta Puliga lo sa bene. E la sua squadra (Giuseppe Busso, Ivo Colucci, Livio Nicolis, Giuseppe Scarnati e il collaudatore Consalvo Sanesi) sviluppa una vettura che è decisamente avanti rispetto al suo tempo.
Giulia è una delle prime vetture al mondo con struttura portante a deformazione differenziata. La parte anteriore e posteriore è studiata per assorbire gli urti, e l’abitacolo è estremamente rigido per proteggere gli occupanti: soluzioni che diventerannno obbligatorie solo molto più tardi.
Il motore biabero 1.6 litri della Giulia rappresenta una evoluzione del 1.3 quattro cilindri, e si distingue per le valvole di scarico raffreddate con inserti di sodio.
Anche il design di Giulia è rivoluzionario. Giulia è compatta, ben proporzionata nei volumi e con uno stile unico. Il frontale basso e la coda tronca sono ispirati da motivazioni aerodinamiche. “Disegnata dal vento”, recita la pubblicità di lancio. Grazie all’innovativo lavoro di sviluppo in galleria del vento, il Cx di Giulia è straordinario per l’epoca: solo 0,34.
Il modello riscuote un successo eccezionale: oltre 570 mila vendite complessive (più del triplo di Giulietta). Giulia diventa un’icona italiana.
Chi visita il Museo Storico di Arese trova una sala dedicata all’Alfa Romeo nel cinema. Tra molte presenze illustri, Giulia spicca come protagonista assoluta di molti film “poliziotteschi” del tempo – nati come “B-movie”, e diventati poi oggetto di culto. In queste pellicole dove “guardie e ladri” si sfidano, Giulia è spesso l’auto di entrambi.

 

 

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“Storie Alfa Romeo”, sesta puntata: con Duetto la spider italiana sbarca a Hollywood

  • La Giulietta Spider spopola nel cinema italiano agli inizi degli anni Sessanta, diretta da Fellini e Antonioni: sono le prove generali prima che il Made in Italy conquisti Hollywood e tutti gli States.
  • La sua erede è un’auto capace di accomunare autentici miti come Steve McQueen, Dustin Hoffman e Muhammad Ali: si tratta dell’Alfa Romeo Duetto.
  • Fedele alla storia del Biscione, non è solo un’ambita protagonista del costume, ma una vettura elegante e capace di regalare prestazioni entusiasmanti e raffinato piacere di guida.
  • Le sue doti si esprimeranno attraverso quattro generazioni e olltre 124 mila unità prodotte in 28 anni: la più lunga vita di sempre per un modello Alfa Romeo.

 

Hollywood nel destino

“It is a very forgiving car. Very pretty, too”. Così parla di Duetto un gentleman driver d’eccezione: Steve McQueen, che nell’estate del 1966 viene chiamato da Sports Illustrated a provare la spider italiana insieme ad altre “fast friends”. Quella da lui guidata è una delle prime Alfa Romeo 1600 Spider sbarcate negli States, dopo l’esordio al Salone di Ginevra di pochi mesi prima. Il giudizio coglie insieme l’essenza Duetto e l’unicità Alfa Romeo: piacere di guida e bellezza allo stato puro.
È un parere anche tecnicamente autorevole. Steve McQueen è collezionista di supercar e pilota di buon livello, capace di arrivare secondo nella sua categoria alla 12 Ore di Sebring del 1970 in coppia con Peter Revson.
Un anno dopo, alla guida di Duetto c’è Dustin Hoffman, che corre a tutto gas sulle note di Simon & Garfunkel nell’indimenticabile “Il laureato”. Immagini che entrano nella storia del cinema, e danno il via a un filone: la Duetto è utilizzata come auto di scena in centinaia di opere del piccolo e del grande schermo, e diventa essa stessa un “cult”. Anche il campione del mondo dei pesi massimi Muhammad Ali ne vuole una: riprendendo il suo motto “Float like a butterfly, sting like a bee”, la personalizza con la targa “Ali Bee”.
La carriera da star di Duetto inizia così. Noi però facciamo un passo indietro, e andiamo a conoscere le sue radici: l’innovazione tecnica di Giulia e il fascino di Giulietta Spider.

 

Nata per scoprire l’America

Anche nella storia della Giulietta Spider c’è un Hoffman protagonista. Non Dustin l’attore, ma Max Edwin Hoffman: ex pilota da corsa, costretto dal nazismo a lasciare l’Austria per gli Stati Uniti, divenuto in pochi anni l’importatore americano di riferimento per le Case auto europee.
Max è molto di più che un semplice “trader”: è un profondo conoscitore del mercato. Orienta le politiche commerciali, chiede specifici modelli, suggerisce variazioni di stile – e contribuisce con i suoi consigli alla creazione di alcune auto sportive tra le più ammirate di sempre. Tra queste c’è la Giulietta Spider.
La Spider per Hoffman è un chiodo fisso. Inizia a chiederla ad Alfa Romeo nel 1954, subito dopo il lancio della Giulietta Sprint. Sente che può diventare l’auto perfetta per la Pacific Coast – e sa che tutti a Hollywood ne vorranno una. È così sicuro del suo successo, che prima ancora di vedere i disegni definitivi si dice disposto ad acquistarne diverse centinaia.

 

La Bella Signorina

Hoffman riesce a convincere Francesco Quaroni e Rudolf Hruska, e il progetto parte. Lo stile è messo in gara tra i due designer del momento: Bertone e Pinin Farina. Bertone presenta una versione estrema, figlia del concept “2000 Sportiva” di Franco Scaglione: frontale appuntito, fari carenati, pinne posteriori. La proposta di Pinin Farina è disegnata da Franco Martinengo, e viene preferita per l’eleganza e l’equilibrio classico delle forme.
La “bella signorina”, come la definisce Pinin Farina, nasce con parabrezza panoramico e vetri laterali a scorrimento. All’interno della portiera non c’è maniglia: una corda aziona l’apertura. Solo più tardi arriveranno un parabrezza tradizionale, vetri laterali discendenti, pannelli porta attrezzati, tettuccio ripiegabile, maniglie esterne e nuovi interni.
Un concept da sportiva pura, confermato da prestazioni estremamente brillanti. La Spider adotta il motore della Giulietta: un quattro cilindri in linea  da 1.290 cm³ di cilindrata, che eroga 65 cavalli e spinge l’auto a 155 km/h. La potenza continua a salire con le successive versioni – a partire dalla Spider Veloce del 1958 da 80 cavalli.
Flessuosa, giovane, scattante. E bella. Giulietta Spider piace al cinema: Fellini la fa comparire in “La Dolce Vita”, Antonioni la sceglie come auto di Alain Delon in “L’eclisse”. Diventa uno status symbol: amata da personaggi famosi, desiderata da tutti.

 

Made in Italy

Viene il momento di dare una erede alla Giulietta Spider. Luraghi e il suo team sanno che non basta fare un’ottima macchina: bisogna ricreare lo stesso carisma. La presentazione dev’essere un evento – una cerimonia solenne, un po’ investitura e un po’ incoronazione.
Alfa Romeo pensa in grande. Per il lancio USA organizza una crociera, e invita i personaggi più esclusivi dello spettacolo, dello sport e della moda. A bordo ci sono 1.300 VIP, tra cui Vittorio Gassman, Rossella Falk e la soprano Anna Moffo. La turbonave italiana Raffaello viaggia da Genova a New York, facendo scalo a Cannes in occasione del Festival del Cinema – e durante tutta la crociera sul ponte della nave fanno bella mostra di sé tre esemplari della nuova Spider: uno verde, uno bianco e uno rosso. Sottolineando l’italianità del suo prodotto, Alfa Romeo anticipa di più di un decennio l’intuizione comunicativa del “Made in Italy”.

 

L’eredità tecnica Giulia

L’Alfa Romeo Spider 1600 nasce sul pianale della Giulia, con passo ridotto a 2.250 mm; la meccanica è quella della contemporanea Giulia Sprint GT Veloce (evoluzione della Sprint GT). Al lancio, Duetto è equipaggiata con il classico 4 cilindri bialbero da 1.570 cm³ in lega leggera, capace di scaricare sulle ruote 108 cavalli con un peso a secco di meno di 1.000 chili. La velocità massima è di 185 km/h.

 

“Duetto” o “Osso di Seppia”?

Il nome del modello è una storia in sé. Per sceglierlo, viene organizzato un concorso a premi in collaborazione con tutti i concessionari d'Europa. Vince “Duetto” – ma emerge una questione di diritti (per l’omonimia con un biscotto al cioccolato), che impone di lanciare la vettura come “Alfa Romeo Spider 1600”.
Il nome Duetto resta in sottofondo, si consolida nella memoria degli appassionati e diventa il soprannome comune di tutte le generazioni della vettura. Altri se ne aggiungeranno: la Spider del 1966, prima della serie e ultimo capolavoro di Battista Pinin Farina, è detta “Osso di Seppia” per la sua forma ellissoidale: frontale e coda arrotondati, laterali convessi e linea di cintura molto bassa. La seconda è la “Coda Tronca” del 1969, che si distingue per il taglio aerodinamico della parte posteriore. La terza è l’“Aerodinamica” del 1983, nata dagli studi in galleria del vento. Nel 1989 arriva l’ultima generazione, la cosiddetta “IV Serie” – un’auto dalla linea pulita e filante, in qualche modo un ritorno alle origini.
Quattro generazioni, oltre 124 mila unità prodotte in 28 anni: la più lunga vita di sempre per un modello Alfa Romeo.

 

 

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“Storie Alfa Romeo”, settima puntata – La rivoluzione di forme e colori: 33 Stradale, Carabo e Montreal

  • Ingegno e rigore, perizia e coraggio nella scelta dei materiali, uno stile che sposa innovazione tecnologica e creatività: sono gli ingredienti di progetto della Tipo 33.
  • Il progetto è nato dallo spirito competitivo che anima ogni creazione Alfa Romeo e ha dato vita, oltre a tanti successi in gara, a due “gemelle diverse”: la 33 Stradale e la Carabo.
  • Disegnata da Franco Scaglione, la 33 Stradale è sintesi di tutta la sua perizia tecnica e dell’audacia creativa: un capolavoro in cui l’innovazione di stile si fonde con la ricerca dell’aerodinamica e della funzionalità.
  • Marcello Gandini per Bertone disegna invece la Carabo, che appare come l’auto del domani per i suoi tratti avveniristici e l’attenzione a colori e verniciatura: una ricerca cromatica che proseguirà con la Montreal.
  • Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della Montreal. Presentata nel 1967 in un’insolita livrea verde, rappresentava la “Massima ispirazione dell’uomo in fatto di automobili”. 

 

L’auto: fotografia dell’epoca

“Occhi” per fari, “bocca” per calandra, “volto” per frontale – e, naturalmente, “corpo” vettura, con “spalle” e “fianchi” disegnati dai passaruota. Queste similitudini antropomorfe si usano anche oggi. Come nascono, e perché? Le prime vetture sono letteralmente “carrozze senza cavalli”, prive di soluzioni decorative specifiche. Dagli anni trenta i “carrozzieri” (il nome è rimasto) diventano molto bravi a lavorare il metallo: battono le lastre a mano, direttamente su un “master” in legno, dando vita ad autentici pezzi unici – con linee tondeggianti e sensuali che sembrano inseguire un ideale organico. Con l’evolversi della produzione industriale, le forme tendono invece a semplificarsi, perché le attrezzature di stampaggio dell’epoca non consentono altrettanta raffinatezza e tridimensionalità. A un certo punto, alla fine degli anni Sessanta, le due ispirazioni stilistiche si biforcano nettamente. La differenza tra “auto antropomorfa” e “auto di domani” è rappresentata in modo plastico dalla 33 Stradale e dalla Carabo – due modelli Alfa Romeo sviluppati a partire dalla stessa base tecnica.

 

Nate dalla stessa piattaforma

La 33 Stradale e la Carabo non potrebbero essere più diverse. L’una tutta nervi e muscoli, come un atleta ritratto nel pieno dello sforzo agonistico; l’altra tutta linee rette e angoli, tesa a cogliere l’essenza della mobilità e a proiettarla nel futuro. Molto più che due interpretazioni: due mondi diversi.
La base tecnica comune di queste due vetture rappresenta la sintesi di cinquant’anni di esperienza Alfa Romeo nelle corse. Progettazione ingegnosa e rigorosa, perizia e coraggio nella scelta dei materiali, uno stile che sposa innovazione tecnologica e creatività: sono gli ingredienti di progetto della Tipo 33.

 

Voglia di correre

Tutto nasce dalla voglia di correre – una voglia che non si è mai spenta.
Nel 1964 il Presidente Luraghi sente che è il momento di un ritorno ufficiale. Per ricostituire la Squadra Corse acquisisce l’Autodelta, un’azienda di Udine che è già partner privilegiato per la produzione delle TZ. Con Autodelta rientra in Alfa Romeo anche Carlo Chiti, che già ha lavorato al Portello dal 1952 al 1957 e prende ora il ruolo di responsabile della scuderia ufficiale.
Nello stesso anno, parte il progetto 33. Luraghi chiede al suo team una vettura in grado di competere nelle “categorie del momento” per successo di pubblico e attenzione mediatica: il mondiale sport prototipi e le cronoscalate.

 

Autodelta

A metà degli anni sessanta, Autodelta si trasferisce a Settimo Milanese – più vicino allo stabilimento Alfa Romeo, ma soprattutto alla pista prove di Balocco.
Il primo telaio Tipo 33 progettato da Alfa Romeo entra nelle officine Autodelta nel 1965. È una struttura tubolare a “H”, asimmetrica, realizzata in lega di alluminio, che integra al suo interno i serbatoi  del carburante. Nella parte frontale, una struttura in magnesio sostiene in modo ottimale sospensioni anteriori, radiatori, sterzo e pedaliera. Il gruppo motore/cambio è montato longitudinalmente in posizione posteriore centrale. La carrozzeria è in fibra di vetro, e questo consente di limitare la massa totale della vettura ai 600 chili che il regolamento prevede come minimo. Ancora una volta, la leggerezza è l’arma segreta di Alfa Romeo.

 

La vittoria nei Campionati Mondiali Marche del 1975 e del 1977

Un progetto così ambizioso (e innovativo) ha tempi di sviluppo non brevissimi. Prima che la 33 sia pronta per le gare passano quasi due anni. Per le prime prove la vettura adotta il 4 cilindri da 1.570 cm³ della TZ2; nel frattempo viene sviluppato un propulsore interamente nuovo, con il quale si passa a una configurazione 8 cilindri a “V”, con due litri di cilindrata e 230 cavalli di potenza al debutto.
La prima 33 a correre viene subito soprannominata “Periscopica” per la presa d’aria che spunta sopra il roll-bar. Per l’esordio viene scelta la cronoscalata di Fléron, vicino a Liegi; a guidare l’auto è il capo-collaudatore dell’Autodelta, Teodoro Zeccoli. Dopo anni di preparazione meticolosa, il 12 marzo 1967 la 33 entra nel mondo delle competizioni. E vince subito.
È la prima di una lunga serie di successi sui circuiti più prestigiosi. Una cavalcata che porterà la 33 sul tetto del mondo, con le vittorie iridate nel Campionato Marche del 1975 e del 1977.

 

Il nobile fiorentino che voleva fare il designer

Quando Alfa Romeo decide di produrre la 33 in piccolissima serie per i privati, ha bisogno di una nuova veste che ne intepreti l’agonismo in chiave stradale. Il progetto viene affidato a Franco Scaglione.
Nato a Firenze da famiglia di antica nobiltà, Scaglione studia per diventare ingegnere aeronautico fino al momento del servizio di leva; poi parte per il fronte libico, dove verrà fatto prigioniero a Tobruk. Torna in Italia a fine 1946, deciso a non riprendere gli studi, e sceglie di diventare stilista auto: prima con Pinin Farina, poi con Bertone, poi come designer indipendente.
Scaglione mette nel progetto della 33 Stradale tutta la sua perizia tecnica e audacia creativa, creando un capolavoro in cui l’innovazione di stile si fonde con la ricerca dell’aerodinamica e della funzionalità.

 

La 33 Stradale

Il cofano della 33 Stradale si apre completamente per migliorare l’accesso alle parti meccaniche, e – per la prima volta su un’auto “street-legal” – le portiere sono “a elitra”, al fine di agevolare l’ingresso in una vettura alta meno di un metro. Le uniche differenze rispetto alla versione da pista sono 10 centimetri in più di passo, e telaio in acciaio invece che in alluminio. Il motore è lo stesso della Tipo 33, interamente in leghe di alluminio e magnesio, con iniezione meccanica indiretta e lubrificazione a carter secco. La distribuzione è affidata a un bialbero a camme in testa, con due valvole e due candele per cilindro. Su un auto così leggera, 230 cavalli consentono di raggiungere la velocità massima di 260 km/h, e 100 km/h da fermo in 5 secondi e mezzo.

 

L'anteprima a Monza

La vettura viene presentata ufficialmente al Salone di Torino del 1967, ma svelata qualche settimana prima a un pubblico appassionato e competente. È il 10 settembre 1967, e a Monza si disputa il Gran Premio d’Italia, nona prova del mondiale di Formula 1. Un GP passato alla storia per un’epica rimonta di Jim Clark su Jack Brabham – e per l’anteprima di una delle più belle auto sportive di sempre. Quando nasce, la 33 Stradale è la sportiva più costosa sul mercato, venduta a quasi 10 milioni di lire del tempo contro i 6/7 delle rivali più prestigiose. Gli esemplari realizzati con carrozzeria Scaglione sono solo 12. Chi li compra fa l’investimento della vita: oggi sono praticamente senza prezzo.

 

L'auto-astronave

La 33 Stradale rappresenta il culmine del concetto di “auto antropomorfa”. Ma la ricerca stilistica Alfa Romeo percorre anche altre direzioni. L’idea di un’“auto del futuro”, simile a un’astronave, si manifesta negli anni cinquanta con la “Disco Volante” disegnata da Touring: una spider frutto di avanzati studi aerodinamici, con parafanghi bombati lateralmente e raccordati al corpo vettura basso e filante.
Al Salone dell’Auto di Parigi del 1968 viene presentata una “dream car” che rappresenta l’evoluzione di questa idea estrema: è la Carabo disegnata dal trentenne Marcello Gandini per Bertone.

 

Gemella diversa: la Carabo

La Carabo è sviluppata sulla meccanica della 33 Stradale – utilizzata in quegli anni anche da altri designer per esercizi one-off come l’Iguana di Giorgetto Giugiaro, la 33 Coupé Speciale e la Cuneo di Pininfarina, la Navajo di Bertone. Anche l’altezza è uguale, meno di un metro, ma sono sparite completamente le linee tondeggianti: tutto nella Carabo è tagliente, dal profilo a cuneo alle porte con apertura “a forbice”. Il nome Carabo prende ispirazione dal “Carabus auratus”, un coleottero  dai colori metallici e brillanti, gli stessi che vengono proposti sulla vettura: verde luminescente con dettagli arancione. Da questo momento, Alfa Romeo inizia a rivolgere un’attenzione particolare ai colori estrosi e alle tecniche di verniciatura speciali, elementi in grado di evidenziare ancora di più l’unicità del Marchio. Una ricerca cromatica che continuerà con la Montreal.

 

La Montreal

Nel 1967 tutte le nazioni del mondo partecipano all'Esposizione Universale di Montreal con le loro migliori realizzazioni tecniche e scientifiche. Ad Alfa Romeo viene richiesto di creare un simbolo tecnologico per l'Expo – un modello che rappresenti "la massima aspirazione dell'uomo in fatto di automobili”. Satta Puliga e Busso chiedono la collaborazione di Bertone, e Gandini viene incaricato di disegnare la carrozzeria e gli interni. Il risultato è un grande successo. I visitatori nordamericani apprezzano moltissimo l'eleganza e i contenuti della vettura. Sull’onda del consenso di pubblico, viene sviluppata una versione di serie, presentata al Salone di Ginevra nel 1970. A differenza del concept originario, questa Montreal ha un motore V8 derivato dalla Tipo 33, portato a 2.6 litri e limitato a 200 cavalli. Il modello colpisce per la straordinaria gamma di colori, sia pastello sia metallizzati: dal verde (già usato per la show car dell’Expo) all’argento, dall’arancio dall’oro. La ricerca cromatica è una tradizione Alfa Romeo che troveremo ancora nelle prossime storie – e che continua anche oggi, con la proposta di una nuova palette di colori carrozzeria: Rosso Villa d’Este, Ocra GT Junior e Verde Montreal. Tinte ispirate ai 110 anni di vita del Marchio e dedicate ad alcuni dei suoi modelli più gloriosi.

 

"Qualche emiro che compra una Ferrari lo troverò sempre. Ma se il ceto medio finisce in miseria, chi mi comprerà le Panda?"

Sergio Marchionne

 

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“Storie Alfa Romeo”, ottava puntata – design, sportività e innovazione: la 156 è un’autentica Alfa Romeo di grande successo

  • Un milione di persone all’esordio in concessionaria e oltre 680.000 vendite complessive: sono i numeri a fare della 156 una delle Alfa Romeo di maggior successo della storia.
  • Presentata nel 1997, convince pubblico e critica e si aggiudica l’ambito riconoscimento di “Auto dell’anno” nel 1998.
  • Lo stile della 156 è un sorprendente mix di forza, innovazione e classicità, e la vettura riprende la ricerca cromatica che già era stato un tratto distintivo di Carabo e Montreal.
  • È un’auto straordinaria anche dal punto di vista tecnico, con soluzioni che la rendono una sportiva evoluta, capace di combinare potenza, leggerezza e controllo: caratteristiche peculiari di Alfa Romeo.
  • Bella, divertente e vincente: si aggiudica ben 13 titoli in 10 anni nei campionati Turismo.

 

Berlina dal cuore sportivo

Quasi un milione di persone in concessionaria nella prima domenica di “porte aperte”. Oltre 100 mila ordini in pochi mesi. 680mila vendite complessive tra il 1997 e il 2005. Numeri che fanno della 156 una delle Alfa Romeo di maggior successo della storia.
La 156 viene presentata alla stampa internazionale nel 1997, al Centro Cultural de Belém di Lisbona. Le intenzioni dell’azienda sono dichiarate: creare una berlina che unisca l’eccellenza di stile a un comportamento dinamico ineccepibile, in perfetto equilibrio tra prestazioni e handling. Una formula di prodotto al 100% Alfa Romeo.
L’obiettivo è molto ambizioso – e il risultato è una delle migliori auto a trazione anteriore di sempre.

 

Alfa Romeo e la trazione anteriore

L’auto nasce a trazione posteriore – ma fin dagli inizi, l’ipotesi della trazione anteriore affascina i progettisti. L'idea si affaccia in Alfa Romeo nel primo dopoguerra. Satta Puliga e Busso sono convinti delle potenzialità di questa soluzione, e avviano un programma di sviluppo che punta a fare della 1900 la prima trazione anteriore della Casa. L’azienda decide però di andare in un’altra direzione: All’inizio degli anni cinquanta si inizia a pensare a una “vetturetta” Alfa Romeo, la “V”, una trazione anteriore per cui vengono studiati diversi tipi di motorizzazione.
Nessuno di questi progetti arriverà peròall’industrializzazione.La decisione è solo rimandata. Alfa Romeo vuole allargare la gamma con un modello al di sotto della Giulietta: una compatta “tutto avanti” in grado di far decollare i volumi.
A seguire il nuovo progetto l’azienda richiama Rudolf Hruska, il “padre” delle Giuliette. A lui Alfa Romeo affida una doppia responsabilità: disegnare contemporaneamente la nuova vettura e lo stabilimento in cui deve essere costruita. Così nasce l’Alfasud,la prima trazione anteriore Alfa Romeo

 

Alfasud nasce “da foglio bianco” e “da prato verde”: è uno dei non frequenti casi in cui una fabbrica di automobili viene progettata e costruita per produrre uno specifico modello. La vettura non ha vincoli tecnici da rispettare, se non essere fedele ai suoi obiettivi di prodotto.
“Era scontato che fosse a trazione anteriore. E doveva essere un’utilitaria di lusso, una vettura a 5 posti con bagagliaio molto capiente”. Così Hruska descrive il progetto qualche anno dopo.
Il motore 1.2 litri “boxer” (a cilindri contrapposti) viene preferito al 4 cilindri in linea perché più basso, e più adatto a un profilo aerodinamico. L’inedito body due volumi nasce per migliorare l’accesso al bagagliaio, che raggiunge 400 litri anche grazie alla posizione del serbatoio – collocato sotto il sedile posteriore anziché tra sedile e vano bagagli. Una impostazione innovativa, funzionale e sicura che fa subito scuola.

 

Alfasud è la prima commessa importante di Giorgetto Giugiaro e si rivelerà un grande successo commerciale. Per rispettare tutti i vincoli di spazio e dimensione, il giovane stilista inventa la caratteristica “coda alta”, e la collega al frontale aerodinamico con una linea semplice e filante.

 

Alfasud entra in produzione nel 1972, l’anno in cui il Marchio supera il milione di unità dalla fondazione. Da sola riuscirà quasi a eguagliare questo record, con 900.925 esemplari prodotti tra il 1972 e il 1984 (senza contare le versioni Sprint). È l’Alfa Romeo più venduta di sempre.

 

Dalla razionalizzazione produttiva alla centralità del Brand

Nel 1986 l’IRI (proprietaria di Alfa Romeo dal 1933) cede il Marchio al Gruppo Fiat – e, come in tutti i processi di integrazione industriale, i primi anni sono dedicati alla razionalizzazione delle catene produttive e di fornitura.
Negli anni ottanta, per tutte le Case la parola d’ordine è “sinergie”. Processo e prodotto sono sempre più standardizzati. Molti componenti vengono condivisi per ragioni di costi. Ai designer si chiede di rispettare vincoli rigidi (come le dimensioni dell’anello porte), che condizionano fortemente la creatività.
Negli anni successivi, queste regole si allentano. I clienti non amano l’eccesso di omologazione, e vanno alla ricerca di auto più riconoscibili. La personalità del Brand torna a pesare nella scelta. È una svolta che cambia la storia della progettazione auto di fine secolo.

 

Guida sportiva, prestazioni, innovazione (e stile)

Per Alfa Romeo, è un ritorno alle origini. Il primo passo per rilanciare le caratteristiche distintive del Marchio è far rinascere Alfa Corse, la gloriosa scuderia dove aveva mosso i primi passi anche il giovane Enzo Ferrari. Nel 1993, la 155 GTA partecipa al DTM, il campionato turismo in Germania, e lo vince con Nicola Larini – che arriva primo in 11 gare su 20, e riporta Alfa Romeo sul gradino più alto del podio del Nürburgring.
Ancora più importante è il contributo del design. La 164 del 1987, prima ammiraglia a trazione anteriore del Marchio, è firmata da Pininfarina – ma da quel momento in avanti si fa sempre più importante il ruolo del Centro Stile Alfa Romeo.
Ad Arese cambiano le tecnologie, cambiano le persone, cambia il processo. Vengono introdotti nuovi sistemi “computer-assisted” per la progettazione e il prototyping.. Il team del Centro Stile viene integrato nelle piattaforme progettuali, e partecipa a tutte le scelte tecnologiche – perché quello che è funzionale deve anche essere bello, e viceversa. Forma e sostanza vanno sempre insieme: è la "bellezza necessaria" Alfa Romeo.

 

Disegnare una nuova gamma

Al Centro Stile non viene commissionato un modello soltanto, ma il progetto di una gamma completa. E in pochi anni il sogno si avvera. Nel 1995 il Marchio porta nel segmento “C” una inedita due volumi (la 145), a cui l’anno successivo affianca la versione due volumi e mezzo (la 146). Seguono le sportive GTV e Spider, realizzate in collaborazione con Pininfarina. Ma la vera svolta è con la 156.
Lo stile della 156 è un sorprendente mix di forza, innovazione e classicità. Lo scudo riprende importanza, e proietta le sue linee sul cofano. In vista frontale, i parafanghi “cadono sulle ruote” a filo carrozzeria, per comunicare robustezza e aderenza a terra. Il rapporto tra superfici vetrate e metallo è più da coupé che da berlina. Scompaiono le maniglie posteriori, integrate in modo quasi invisibile nella cornice dei finestrini, e la fiancata pulita evidenzia il profilo slanciato e dinamico della vettura. “Sembra che si muova anche quando sta ferma” commenta de’ Silva.
La 156 riprende la ricerca cromatica che già era stata caratteristica di Carabo e Montreal. I designer Alfa Romeo trovano ispirazione nella collezione del Museo, conservata nello stesso edificio di oggi: osservando il colore della 8C 2900 B del 1938 inventano l’azzurro “Nuvola”, ottenuto con una vernice micalizzata a più strati che dà alla vettura riflessi iridescenti.

 

Sportività evoluta

156 è un’auto straordinaria anche dal punto di vista tecnico. Ai progettisti viene chiesto di sviluppare il concetto di “sportività evoluta” combinando potenza, leggerezza e controllo. È da sempre la formula della guida Alfa Romeo.
Per raggiungere questo obiettivo, vengono introdotti nuovi materiali (come il magnesio e gli acciai “tailored blank”), vengono progettati sistemi di sospensioni molto raffinati (come il quadrilatero alto anteriore), viene soprattutto dedicata una cura particolare alla messa a punto meccanica, per esaltare lo handling e la precisione delle traiettorie.
La 156 mette d’accordo tutti: è la berlina più divertente da guidare della sua generazione. E la sua versione sportiva vince ben 13 titoli in 10 anni nei campionati Turismo.

 

La nascita del “common rail”

Al lancio i propulsori sono sei. Il V6 Busso viene affiancato da tre motori “Twin Spark” che per la prima volta combinano la doppia accensione (una tecnologia già utilizzata da Giuseppe Merosi nel 1914) con quattro valvole per cilindro.
Secondo le regole del mercato europeo di allora, l’offerta a benzina prevale; ma queste regole stanno per cambiare. Sarà proprio Alfa Romeo a dare inizio alla rivoluzione: la 156 è la prima auto del mondo a lanciare il “common rail”.
I giornalisti che provano le versioni 1.9 e 2.4 JTD a Lisbona rimangono a bocca aperta: per la prima volta i motori diesel offrono prestazioni, silenziosità e comfort “da benzina”.

 

“Auto dell’Anno”

La 156 convince pubblico e critica, e nel 1998 porta per la prima volta in casa Alfa Romeo il riconoscimento internazionale “Auto dell’Anno”. La sorella minore 147 (che condivide non solo il “family feeling” stilistico, ma anche pianale, sospensioni e motori) la seguirà pochi anni dopo, vincendo lo stesso premio nel 2001.

 

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"Qualche emiro che compra una Ferrari lo troverò sempre. Ma se il ceto medio finisce in miseria, chi mi comprerà le Panda?"

Sergio Marchionne

 

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  • 4 settimane fa...

Pubblico le ultime due puntate di "Storie Alfa Romeo" che il brand ha rilasciato:

 

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Cita

“Storie Alfa Romeo”, nona puntata – 8C Competizione: una supercar che omaggia la tradizione e guarda al futuro

  • Per il Marchio la 8C è un ritorno alle radici e un laboratorio per il futuro, che definisce identità, valori e riferimenti stilistici e tecnici: rapporto peso/potenza ottimale, perfetto bilanciamento, precisione di guida.
  • Il mondo dell’automobile che si appresta ad affrontare il nuovo millennio si ferma ad ammirare la nuova creazione Alfa Romeo: “Si chiama 8C, e credo sia semplicemente la più bella macchina mai costruita” è il parere eloquente di Jeremy Clarkson, sulla BBC.
  • Sintetizza quindi l’essenza di Alfa Romeo a partire dal nome che rievoca le “otto cilindri” degli anni Trenta e le “Competizione” dei Cinquanta, che trionfavano a Le Mans e alla Mille Miglia.
  • La storia del Brand diventa anche ispirazione stilistica: 8C celebra la ricchezza dei volumi, la pulizia delle linee e tutti i tratti distintivi del Marchio, arricchendosi di citazioni affascinanti.
  • Diventa poi un naturale riferimento anche per tutti i modelli a venire, anche per quelli di grande serie come MiTo e Giulietta, e ha una parente molto stretta nella 4C, una piccola supercar tecnologica e sensuale.
  • In sintesi, un successo e una pietra miliare: la 8C raccoglie 1.400 ordini da tutto il mondo in poche settimane, e i 500 esemplari numerati previsti sono già venduti prima di essere prodotti.

 

Tra passato e futuro

8C Competizione: un ritorno alle radici e un laboratorio per il futuro. Arriva durante un profondo processo di revisione del mondo automotive, che si appresta ad affrontare il nuovo millennio, ed è la bandiera intorno a cui Alfa Romeo ridefinisce la propria identità e i propri valori – un riferimento stilistico e tecnico per la pianificazione prodotto del futuro.
All’inizio del 2006, Sergio Marchionne dà il via all’industrializzazione e alla produzione di serie del “concept” che tanto entusiasmo aveva suscitato al Salone di Francoforte del 2003. Il Centro Stile Alfa Romeo di Wolfgang Egger e le strutture di progettazione riescono a ridefinire il progetto in soli otto mesi. Presentata nella sua versione definitiva al Motor Show di Parigi, la 8C raccoglie 1.400 ordini da tutto il mondo in poche settimane: i 500 esemplari (numerati) previsti sono già venduti prima di essere prodotti.

 

L’essenza Alfa Romeo

La 8C Competizione si racconta a partire dal nome. “8C” erano le otto cilindri progettate da Vittorio Jano, che negli anni trenta vincevano sulle piste di tutto il mondo (quattro primi posti di seguito a Le Mans, e tre alla Mille Miglia). “Competizione” era il nome della 6C 2500 che Juan Manuel Fangio aveva guidato alla Mille Miglia del 1950.
Nata per sintetizzare e rilanciare l’essenza Alfa Romeo, la 8C riprende temi tecnici cari al Marchio da sempre. Come la leggerezza, esaltata dal telaio “dual frame” e dall’utilizzo di alluminio, titanio, carbonio e materiali compositi. Come il bilanciamento dei pesi tra anteriore e posteriore, ottenuto con lo schema “transaxle” (motore anteriore longitudinale e cambio al retrotreno). Come la precisione di guida, affinata con l’adozione di sospensioni a doppi bracci trasversali su entrambi gli assi.
La 8C adotta un propulsore generoso (un V8 da 4.7 litri che eroga ben 450 cavalli) – ma soprattutto segna il ritorno alla trazione posteriore, che mancava sui modelli stradali dai primi anni novanta. Il risultato è un’auto con rapporto peso/potenza ottimale, che raggiunge i 100 km/h da fermo in 4”2.

 

Un omaggio alla storia del car design

E poi lo stile. “Si chiama 8C, e credo sia semplicemente la più bella macchina mai costruita”: così la presenta sulla BBC il conduttore di “Top Gear”. L’ampio cofano sembra mordere l'asfalto. Il profilo è morbido e sinuoso. Un taglio orizzontale unisce i passaruota, congiungendosi con il "muscolo" del parafango posteriore. Il lunotto si lascia avvolgere dai montanti, che si estendono sul retro fino a rastremarsi nella coda.
Molti i riferimenti alla storia del Marchio. Gli “occhi” sono quelli della 33 Stradale, leggermente più alti rispetto alla linea del cofano; il retro ricorda quello della Giulietta SZ del ‘61, la prima “coda tronca” della storia dell’auto; i fari posteriori rotondi sono un omaggio alla Giulia TZ, un’altra regina delle piste. La 8C è ricca di citazioni affascinanti, e rappresenta il tributo del Centro Stile Alfa Romeo a un’intera fase storica del car design.

 

Tra creatività e scienza

A partire dagli anni trenta, designer e carrozzieri iniziano a migliorare la penetrazione aerodinamica, cercando così di rendere le loro vetture più competitive in gara. Prima incorporano nel profilo della carrozzeria gli elementi esterni, come parafanghi e fari; a partire da qui, sviluppano linee sempre più morbide, raccordate e filanti.
È una sfida che stimola la fantasia dei grandi stilisti – convinti, come sono, che tutto quanto è bello abbia anche il dovere di essere efficiente. Liberando la loro creatività, realizzano in questo arco di tempo alcune delle più belle (e vincenti) macchine di sempre. E molte sono Alfa Romeo.
La 8C Competizione prende le auto di questo periodo come riferimento, e le celebra con la ricchezza dei volumi, la pulizia delle linee e la particolare evidenza data ai tratti distintivi del Marchio.

 

Il trilobo Alfa Romeo

Un’Alfa Romeo in vista frontale è inconfondibile: tutti riconoscono immediatamente lo scudo centrale con due prese d’aria orizzontali ai lati. Questa combinazione (forse il “volto” più famoso nel mondo dell’auto) si chiama “trilobo”, e nasce negli anni trenta.
Prima di allora, c’era poco spazio per lo stile: il “muso” delle auto era costituito dal radiatore affiancato dai gruppi ottici, e (talvolta) protetto con una grata dalla ghiaia delle strade. Ma non appena le forme iniziano a ingentilirsi, compare lo scudo Alfa Romeo – e quando diventa troppo piccolo per raffreddare motori sempre più potenti, compaiono le due prese d'aria laterali, che fin da subito gli appassionati ribattezzano “baffi”.
Il trilobo, prima semplicemente abbozzato, viene adottato ufficialmente come simbolo del Marchio a partire dalla 6C 2500 Freccia d’Oro. Come tutti i simboli, si evolve con il tempo, i gusti e le mode – ma resta unico e inconfondibile. È sinuoso e imponente sulla 1900, più sottile su Giulietta. È aerodinamico e teso su Giulia, spigoloso e quasi perfettamente equilatero negli anni settanta e ottanta. È minimalista e stilizzato negli anni novanta, ma torna con la 156 e la 8C al suo naturale ruolo da protagonista, che mantiene in tutti i modelli successivi.

 

L’eredità della 8C Competizione

La 8C Competizione sintetizza i canoni di stile più classici di Alfa Romeo, e diventa naturale riferimento per tutti i modelli a venire, anche per quelli di grande serie come MiTo e Giulietta. Ma ha anche una parente molto stretta: la “sorella minore” 4C, una piccola supercar tecnologica e sensuale – ispirata chiaramente dalla 8C, ma senza la barriera dell’edizione limitata.
Con la 4C Alfa Romeo torna nel mercato delle sportive compatte offrendo materiali e soluzioni tecnologiche all’avanguardia, unite alla massima leggerezza e a straordinarie qualità dinamiche.

 

La 4C

I progettisti Alfa Romeo scelgono di non estremizzare la potenza, ma di contenere il peso: appena sopra i 1.000 chili in assetto di marcia, per un rapporto peso/potenza inferiore a 4 kg/CV. Due valori che garantiscono massima agilità e prestazioni da brivido.
Per arrivare alla leggerezza desiderata, vengono utilizzati anche elementi in poliestere e fibra di vetro. Ma il componente più innovativo è la culla del telaio, monoscocca, completamente in fibra di carbonio e realizzata con tecnologia derivata dalla Formula 1. Il materiale, composto di fibre unidirezionali, viene pre-impregnato con una resina speciale prima di essere sottoposto a una lavorazione detta “cocura”: con questo trattamento, la culla può essere realizzata in pezzo unico, senza assemblaggi, ed è in grado di svolgere perfettamente il suo compito strutturale con un peso di soli 65 chili.
Anche il motore della 4C è ultraleggero: un 1750 cc a quattro cilindri in linea, interamente in alluminio, che eroga 240 cavalli di potenza massima. Per garantire una distribuzione ottimale dei pesi è collocato in posizione trasversale posteriore. Il cambio è a doppia frizione a secco.
Gli schemi delle sospensioni sono di tipo sportivo: doppio triangolo sovrapposto anteriore, con gruppo molla-ammortizzatore fissato direttamente alla monoscocca, e una evoluzione del classico sistema McPherson sull’asse posteriore. La 4C raggiunge oltre 255 km/h di velocità massima con una accelerazione sorprendente: da 0 a 100 km/h in 4,5”

 

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Cita

“Storie Alfa Romeo”, decima puntata – Giulia e Stelvio racchiudono 110 anni di eccellenza italiana

  • Nella settimana del centodecimo anniversario si chiude la serie “Storie Alfa Romeo”, con le vetture che oggi rappresentano 110 anni di eccellenza stilistica e tecnologica Made in Italy.
  • Giulia e Stelvio sono la massima espressione de “La meccanica delle emozioni”: un progetto che ha posto il guidatore sempre al centro, per un’esperienza di guida esaltante.
  • L’approccio top-down ha consentito di sviluppare la gamma di Giulia e quella di Stelvio a partire dalle straordinarie versioni Quadrifoglio.
  • Le prestazioni d’eccellenza fanno parte del DNA di entrambi i modelli che nelle versioni Quadrifoglio hanno conquistato i rispettivi record di categoria al Nürburgring.
  • Il primo SUV che è anche Alfa Romeo, del resto, non poteva che fregiarsi al suo esordio del titolo di SUV più veloce di sempre.
  • Non solo record in pista: Giulia e Stelvio sono le Alfa Romeo più premiate di sempre.

 

Alfa Romeo torna al Nürburgring

È una di quelle giornate in cui il cielo sopra il Nordschleife sembra un fondale dipinto. Nuvole maestose si stagliano sopra la corona verde del circuito. L’aria è fresca e asciutta, ideale per mettersi al volante. A due mesi dalla presentazione, Giulia Quadrifoglio è chiamata a dimostrare le sue qualità su una pista che tante volte ha visto Alfa Romeo vincere: il “Grüne Hölle”, l’“inferno verde” del Nürburgring. 
Pare che il soprannome sia stato inventato da Sir Jackie Stewart negli anni sessanta, e non potrebbe essere più appropriato. il circuito sembra disegnato dal diavolo in persona: oltre 70 curve che si avvicendano a rettilinei e saliscendi, con 300 metri di dislivelli.
Nell’area di partenza, Giulia Quadrifoglio è pronta. Non è preparata in modo speciale, non monta gomme “slick”, non ha un roll bar di sicurezza: è esattamente l’auto che chiunque potrà acquistare. Non fosse per il casco, anche il pilota – in jeans e polo – sembrerebbe un guidatore qualunque. Non ci sono luci verdi per dargli il via, né lo aspetta una bandiera a scacchi al termine del giro, ma l’adrenalina è la stessa di una gara: c’è un record da battere.
Il pilota mette l’Alfa DNA in modalità “Race” e inizia a spingere. Si rilassa 7 minuti e 32 secondi dopo. Il tempo è incredibile: ben sette secondi sotto il precedente primato del 2015.
Poco più di un anno dopo, Stelvio fa ancora meglio: al termine del giro il cronometro si ferma 8 secondi sotto il precedente primato di categoria.
Giulia e Stelvio sono la berlina e il SUV più veloci di sempre, su uno dei tracciati più difficili del mondo. Un primato difficilmente eguagliabile.

 

Chi è Giorgio?

Siamo nel 2013 quando il nome Giorgio compare per la prima volta sulla stampa di settore: sta per nascere la nuova generazione Alfa Romeo, si legge, e Giorgio è la piattaforma su cui verrà costruita. Il tam-tam sui social è immediato. In tanti si chiedono come nasca il nome. I più romantici ipotizzano un omaggio a Tazio Giorgio Nuvolari. Altri immaginano una scelta personale di Marchionne. Nessuno comunicherà mai il vero motivo. Quel che è certo è che Giorgio sarà a trazione posteriore e integrale, e che avrà obiettivi molto ambiziosi.
L’Azienda pianifica grandi investimenti sulla piattaforma e sullo stabilimento di Cassino, destinato a ospitare la produzione dei nuovi modelli. Soprattutto, organizza le sue migliori risorse tecniche in “think thank” dedicati. Ai progettisti coinvolti chiede di lasciare da parte vecchie regole e abitudini, di pensare fuori dagli schemi, di “credere, sognare e creare”.

 

Chi sono gli Skunks

I team Giorgio si isolano dal resto dell’azienda per concentrarsi esclusivamente sulla nuova piattaforma. Il gergo aziendale dà loro un soprannome, che adottano con orgoglio. Per conoscere questo nome, e la sua origine, dobbiamo fare un passo indietro di settant’anni.
Clarence Leonard "Kelly" Johnson non è un progettista Alfa Romeo, ma la sua storia ci interessa lo stesso. Kelly è un ingegnere aeronautico della Lockheed Martin, e nel 1943 viene messo a capo di un progetto speciale: sviluppare da zero, in sei mesi, un caccia in grado di fare la differenza nei cieli della seconda guerra mondiale. La sfida è impossibile: ma lui accetta, con la condizione di avere carta bianca sul processo da seguire. Al termine del periodo stabilito – anzi, con una settimana di anticipo – consegna lo “XP-80 Shooting Star”, il primo caccia a reazione americano. Il suo team si chiama “Skunk Works”.
Per sé e per il resto dell’azienda, i gruppi di lavoro Giorgio diventano “gli skunks”. Anche loro partono “da foglio bianco”, hanno tempi strettissimi e un compito molto ambizioso: rimettere il guidatore al centro, offrendo un’esperienza di guida degna dei valori e della tradizione Alfa Romeo. Sul loro lavoro si fonda una nuova generazione di prodotti del Marchio.

 

Il lancio della Giulia al nuovo Museo Alfa Romeo

La versione che esprime al massimo le qualità della piattaforma Giorgio è la più sportiva in assoluto, la Giulia Quadrifoglio. L’azienda decide di adottare un approccio top-down, e presentarla per prima.
È un lancio molto atteso, ed è avvolto nel segreto più assoluto: non vengono mai anticipate alla stampa foto o caratteristiche tecniche. E neppure il nome.
La nuova Giulia viene rivelata al mondo il 24 giugno 2015: un giorno speciale per tanti motivi. Perché è il compleanno del Marchio, il 105esimo. Perché nasce un’auto che gli appassionati aspettavano con trepidazione. E perché Alfa Romeo torna ad avere una casa: sulle note del “Nessun dorma” di Puccini, il maestro Andrea Bocelli saluta Giulia nelle sale del rinnovato Museo Storico di Arese. Passato e futuro si incontrano.

 

La nuova Giulia

Gli obiettivi di prodotto sono scritti nella storia del Marchio: motori all’avanguardia e innovativi, una perfetta distribuzione dei pesi, soluzioni tecniche uniche, il miglior rapporto peso/potenza della categoria – e naturalmente un design straordinario, dall’inconfondibile impronta italiana.
I propulsori di Giulia sono tutti nuovi, e tutti interamente in alluminio. Il 6 cilindri bi-turbo benzina della Quadrifoglio eroga 510 cavalli per 600 newton/metro, valori sensazionali per una berlina media quattro porte. Masse e materiali sono progettati per garantire una perfetta distribuzione dei pesi: 50/50 tra i due assi.
Le soluzioni tecniche innovative sono moltissime: tutta la vettura è di nuovo progetto. La sospensione anteriore è a doppio quadrilatero con asse di sterzo semi-virtuale, per rendere più controllabile l'angolo di sospensione e ottenere un’aderenza a terra ottimale: i due bracci inferiori creano un movimento “a forbice” che genera un feeling lineare in tutte le condizioni con un rapporto di sterzo record (meno di 12:1). Sul retrotreno viene introdotto il nuovo schema Alfalink™, un sistema multilink a quattro bracci e mezzo: molto rigido in curva, e al tempo stesso flessibile longitudinalmente. Entrambe sono soluzioni “made in Alfa Romeo”.

 

Leggera e sempre sotto controllo

Per assicurare a Giulia il miglior rapporto peso/potenza, vengono utilizzati materiali ultra-leggeri in tutte le parti del veicolo: alluminio (per basamento e testa motore, componenti di carrozzeria e sospensioni); un composito di alluminio e materiale plastico (per la traversa posteriore); fibra di carbonio (per l’albero di trasmissione, il cofano, il tetto, ma anche per la struttura dei sedili anteriori). Il “body-in-white” pesa solo 322 kg. All’elettronica si chiede di aumentare sicurezza e piacere di guida, ma senza sostituirsi a chi è al volante. Per questo, il team Giorgio sviluppa sistemi specifici con una chiara connotazione Alfa Romeo: dalla trazione integrale Q4 (che interviene autonomamente solo quando serve), all’Integrated Brake System (che gestisce i dispositivi di frenata e il controllo di stabilità), dal Differenziale a Slittamento Lineare (che migliora la risposta in curva), fino al Torque Vectoring (che distribuisce in modo programmato la potenza alle ruote posteriori, migliorando la trazione e la prontezza di sterzo). A coordinare tutte le funzioni, un “supercervello” rappresentato dall’esclusivo Chassis Domain Control.
Le straordinarie doti dinamiche della vettura sono esaltate da un design teso ed essenziale – che rivela la sua italianità nell’armonia elegante dei volumi, e la sua eccellenza tecnica negli straordinari risultati aerodinamici (0,25 di Cx).

 

Che cosa hanno in comune Giulia e la Quadrifoglio

Per creare le loro versioni ultrasportive, quasi tutte le Case arricchiscono il modello base, spesso cambiando elementi strutturali per migliorare i pesi e le prestazioni. Queste macchine sono prodotte su linee separate, e in molti casi da fornitori terzi. Al contrario, Giulia deriva dalla Quadrifoglio – e non solo esteticamente: le due vetture condividono l’architettura, l’utilizzo di materiali leggeri, la maggior parte della meccanica, perfino la linea di montaggio di Cassino. Il risultato è unico sul mercato: ogni Giulia, a partire dalle motorizzazioni di ingresso, ha la stessa ripartizione dei pesi tra anteriore e posteriore, la stessa rigidezza torsionale, gli stessi schemi di sterzo e sospensioni del “top di gamma” sportivo.

 

Stelvio: la prima Alfa Romeo che è anche un SUV

La piattaforma Giorgio non nasce solo per Giulia. È venuto il momento anche per Alfa Romeo di cimentarsi nel segmento degli Utility Vehicles, il più dinamico e aperto alle novità. E nel febbraio 2017 nasce Stelvio, il primo SUV della storia del Brand. La sfida non è semplice: fare un veicolo capace di muoversi con agilità sulla neve e sugli sterrati, senza perdere nulla in termini di prestazioni, handling e controllo della strada. In altre parole: un SUV che si guida come una berlina sportiva. Rispetto a Giulia, il pavimento è più alto, con una posizione di guida più elevata. Aumenta lo spazio a disposizione di passeggeri e bagagli. È maggiore la corsa delle sospensioni, per garantire la giusta altezza da terra nei percorsi fuori asfalto. Anche la carreggiata è leggermente più ampia, per accrescere la stabilità. Ma architettura e meccanica rimangono le stesse, così come la gamma motori e i sistemi elettronici. Il risultato è una vettura che ha “un’anima Alfa Romeo in un corpo da SUV”. Una combinazione che sorprende tutti, e regala emozioni di guida uniche.

 

La sportività elegante

Giulia e Stelvio rappresentano l’eccellenza nei loro segmenti in termini di prestazioni e risposta dinamica. L’impianto tecnico di base è – e rimane – all’avanguardia. Perciò per il Model Year delle due vetture i progettisti Alfa Romeo spostano la loro attenzione sull’esperienza di bordo, che deve essere sempre più piacevole, sicura e connessa. Il Marchio va alla riconquista del suo tradizionale territorio: la “sportività elegante”. Un concetto che abbiamo visto ricorrere nelle storie Alfa Romeo di ogni epoca: non la “premiumness” di chi ostenta una ricchezza senz’anima – piuttosto il perfetto equilibrio tra forma, funzione e divertimento di guida. Il lancio di Giulia e Stelvio MY20 segna un altro passo in questa direzione.

 

Giulia e Stelvio Model Year 2020

Sulle nuove Giulia e Stelvio, le soluzioni più avanzate vengono messe al servizio del comfort e di un piacere di vivere tipicamente italiano. Gli interni delle due vetture sono ridisegnati per migliorare ancora qualità ed eleganza. La connettività diventa protagonista, grazie al sistema di infotainment con touch-screen da 8,8 pollici e una facilità d’uso da smartphone. L’offerta telematica è completata da una suite di servizi Mopar per la gestione dell’auto in remoto.  Ancora più importanti sono le novità nel campo della tecnologia di guida. I nuovi ADAS (Advanced Driving Assistance Systems) segnano il passaggio dal primo al secondo livello di autonomia: i sistemi non si limitano a informare chi è al volante, ma diventano attivi in caso di necessità, esaltando la sicurezza delle vetture.

 

Le Alfa Romeo più premiate di sempre

Nell’arco di cinque anni, Giulia e Stelvio diventano le Alfa Romeo più premiate di sempre: 170 riconoscimenti internazionali – assegnati da testate specializzate e media generalisti, votati da giurie di esperti o direttamente dai clienti, dedicati all’innovazione o allo stile. A partire da “Eurocarbody of the Year” 2016, dedicato al miglior progetto di architettura veicolo, per continuare con i numerosi premi per lo stile e il design. La bacheca è piena, e i premi continuano ad arrivare: come il “Performance Car of the Year 2020”, che la giuria di esperti di “What Car?” ha assegnato a Giulia Quadrifoglio per il terzo anno consecutivo, dopo averla confrontata con sportive di tutte le fasce del mercato. La motivazione è giusto motivo d’orgoglio per i progettisti Alfa Romeo: “una vettura ad alte prestazioni che si può guidare tutti i giorni”.

 

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