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Xenophon

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  1. ll problema è che oggi l'italia ha perso e continua a perdere competitività con tutto ciò che ne è connesso. Redditi reali in diminuizione, meno opportunità per chi entra nel mondo del lavoro di trovare un impiego adeguato, aumento del rischio di perdere il posto. Che piaccia o no questo è il futuro che dobbiamo affrontare. I lavoratori sono senza dubbio l'anello debole della catena, perchè se un azienda perde si sposta dove costa meno produrre. Ma l'unico modo per tutelarli è quello di trovare insieme il sitema per incrementare la produttività. Tu impresa vuoi essere più competitiva? Io sindacato sono disposto a venirti incontro, discutiamo. Se aumentiamo la competitività delle aziende rendiamo più sicuro il lavori di chi già lo ha, consentiamo a chi lo cerca la possibilità di trovarlo e possiamo pensare ad aumentare i salari. Il mondo di relazioni sindacali che conoscevamo è morto sotto i colpi della globalizzazione già venti anni fà. Lo abbiamo voluto no, ma certo non possiamo fermarci a guardarci l'ombelico e a ricordare quanto erano belli gli anni passati, di treni ne abbiamo persi fin troppi.
  2. Aggiungo il commento di un economista preso dal sito di informazione economica "la Voce.info" Mi sembra illustri piuttosto chiaramente i motivi di fondo dei nuovi accordi Relazioni Industriali LE COSE NON DETTE SUL CASO FIAT di Fabiano Schivardi 11.01.2011 L'obiettivo principale degli accordi di Pomigliano e Mirafiori è la governabilità degli impianti. La Fiat vuole garanzie prima di effettuare gli investimenti, nella convinzione che il sistema di relazioni industriali italiano non sia adeguato alla gestione di grandi impianti. Ma la sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte proprio sulla capacità di aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti insieme la flessibilità interna ed esterna. La stile ruvido, diretto e spigoloso di Sergio Marchionne ha spinto all'estremo i tic tipici del dibattito pubblico italiano. Il governo non fa niente, ma, invece di negarlo come accade sempre, rivendica con orgoglio l'inerzia. Il Pd si divide, ma stavolta lo fa anche l'Idv. I sindacati litigano, ma oltre che fra confederazioni anche all'interno delle stesse. Anche la Confindustria ne esce con l'immagine ammaccata e appare oggi un po' più demodé. LA QUESTIONE DELLA GOVERNABILITÀ DEGLI IMPIANTI Cosa c'è di così dirompente negli accordi di Pomigliano e Mirafiori? Francamente, la lettura degli accordi non suggerisce niente di epocale, come spiega Marco Esposito su noiseFromAmerika. Un operaio Fiat appare comunque più garantito e meglio pagato della stragrande maggioranza dei colleghi che lavorano in imprese medio-piccole. In particolare, l'innovazione contrattuale è modesta a Mirafiori, probabilmente perché quell'impianto ha bisogno di interventi organizzativi meno radicali di quello di Pomigliano. Gli aspetti che hanno maggiormente alimentato la polemica hanno per lo più un forte carattere simbolico. L'obiettivo principale di questi accordi è quella enunciata da Marchionne alla trasmissione di Fabio Fazio: la governabilità degli impianti. L'espressione può suonare fastidiosa, ma è un obiettivo imprenditoriale del tutto legittimo, per non dire obbligatorio. L'amministratore delegato di Fiat vuole garantirsi la capacità modificare il grado di utilizzo degli impianti secondo le necessità della domanda. Gli accordi prevedono un ampio spettro di possibilità di turnazione e fino a 120 ore di straordinario a discrezione dell'impresa. In questo modo, cambi nel grado di utilizzo non richiederanno estenuanti trattative sindacali. L'altro aspetto importante è il divieto di scioperi che rendano inesigibili le clausole contrattuali. In pratica, se l'azienda richiede una giornata di lavoro straordinario un sabato, i sindacati non possono proclamare uno sciopero proprio in quel sabato. La norma è il logico complemento della flessibilità di utilizzo: se i sindacati potessero proclamare scioperi in turni o giornate di lavoro non gradite, nei fatti si tornerebbe a un sistema in cui la flessibilità si ottiene solo con l'approvazione caso per caso dei sindacati stessi. Il punto cruciale è che la Fiat vuole garanzie contrattuali prima di effettuare gli investimenti. Come già argomentato su questo sito, una volta fatto l'investimento la forza contrattuale dell'azienda diminuisce e quella dei sindacati aumenta. Il problema è che il contratto nazionale non fornisce queste garanzie a meno che tutti i sindacati non siano d'accordo: un'organizzazione non firmataria può comunque proclamare scioperi a cui qualunque lavoratore può aderire. Ecco il perché dell'utilizzo dello stratagemma giuridico di uscire da Confindustria, e quindi dal contratto nazionale, e di garantire la rappresentanza solo ai sindacati firmatari, che sono automaticamente vincolati alle clausole del contratto. L'esclusione della Fiom dalle fabbriche è chiaramente una brutta pagina nella storia delle relazioni industriali. D'altra parte, un sistema di rappresentanza che garantisce a chiunque il diritto di veto mette a rischio la governabilità. Da qui l'esigenza di riformarlo, chiesta a gran voce da più parti, in modo da garantire esigenze di rappresentanza da una parte e di governabilità dall'altra. PICCOLA ITALIA L'Italia soffre di bassa crescita della produttività. È opinione diffusa che parte del problema sia riconducibile alla scarsa presenza di grandi imprese nel nostro paese. La dimensione media delle aziende italiane è meno della metà di quelle tedesche, che in effetti stanno intercettando la ripresa e la domanda estera molto meglio delle nostre. Da tempo ci si interroga sulle ragioni del nanismo delle imprese italiane, senza che si sia arrivati a risposte conclusive. Marchionne offre una possibile spiegazione: il sistema di relazioni industriali non è adeguato alla gestione di grandi impianti. L'idea si estende quindi al di là del caso Fiat e riguarda tutto il sistema industriale. Nelle piccole e medie imprese a controllo famigliare si sopperisce all'inefficacia del contesto giuridico col rapporto diretto fra "padrone" e dipendenti. Ma questo meccanismo non funziona in grandi imprese, per le quali le norme contrattuali sono l'unico strumento per gestire i rapporti di lavoro e che quindi soffrono di uno svantaggio competitivo se le norme sono inefficienti. Anche se è presto per dire se questa ipotesi sia corretta, e quanto conti nello spiegare le difficoltà delle grandi imprese in Italia, vale la pena prenderla seriamente in considerazione. La sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte sulla sua capacità di mantenere e possibilmente aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Non si vive solo di piccole e medie imprese a controllo familiare.Negli ultimi dieci anni il dibattito sia di policy sia accademico si è concentrato sulla flessibilità "esterna", cioè sulla possibilità o meno di licenziare. Battaglie feroci sono state fatte pro e contro l'articolo 18. Il risultato è stato un mercato del lavoro duale in cui la flessibilità esterna viene scaricata interamente sui giovani, attraverso l'utilizzo massiccio dei contratti a termine. Del tutto trascurato è stato invece il tema della flessibilità "interna", che riguarda l'utilizzo della forza lavoro da parte dell'impresa. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori, nelle quali il tema dei licenziamenti è stato completamente assente e tutto il dibattito si è concentrato sulla flessibilità interna, ha colto molti impreparati. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti congiuntamente la flessibilità interna ed esterna. Si potrebbero creare spazi di "scambi" fra le due tipologie per trovare accordi che aumentino l'efficienza complessiva del sistema, magari aumentando il grado di tutela complessivo dei lavoratori. Personalmente, ritengo il problema del precariato e dei bassi salari (dovuti a bassa produttività) molto più seri della diminuzione delle pause da quaranta a trenta minuti o di clausole che vietano scioperi che rendano gli accordi negoziali inesigibili. Il senatore Pietro Ichino da tempo porta avanti questo progetto. Sarebbe una riforma importante per rilanciare la competitività del paese. Purtroppo, sia la debolezza del governo che le posizioni del ministro Sacconi rendono facile prevedere che questa riforma non si farà.
  3. La vendita degli elicotteri l'hanno stoppata perchè costava troppo. Dopo anni spesi in selezione dei requisiti e valutazione delle diverse proposte e dopo aver scelto il vincitore si sono accorti che la spesa era eccessiva manco fossero il comune di Roccacannuccia. Bah:pz
  4. Hleb in Germania ha fatto faville, con l'Arsenal ha giocato bene, con il Barça non ha avuto molte occasioni per mettersi in luce. Comunque si disimpegna bene sia come centrocampista destro che come trequartista, secondo me in Italia può fare bene visto che ha già esperienza in campionati molto impegnativi.
  5. Ieri davano Hamsik all'Inter in cambio di Obinna più conguaglio da definire
  6. All'inizio l'estetica mi aveva lasciato interdetto ma guardando tutte le foto devo dire che inizia a piacermi. Per le luci posteriori concordo con chi ha detto che la fanno sembrare una Citroen. Forse è una strizzatina d'occhio al mercato statunitense dove qualcosa di simile avevano le Lincoln e le Buick di fine anni 90 se non mi sbaglio.
  7. riporto un commento da carscoop Anonymous // July 04, 2009 Not as impressive as the MiTo. The main problem is that from the middle and back the car looks TOO similar to the new Astra. Particularly the window line, rear pillar, 5th door, lights and top part of the bumper. I doubt it happened by chance so i think that s pretty desperate.
  8. Mi sa che stò giornalista mette insieme mele e pere. Per la Spagna ha riportato il dato del debito, per la serie A quello delle perdite complessive che sono tutt'altra cosa. E' come confrontare quadrilateri e portabicchieri:D
  9. MA il Real come quasi tutti i club spagnoli non ha un azionariato "popolare" ossia estremamente diffuso? In queste condizioni quanto è credibile l'eventuale enorme aumento di capitale necessario? L'unico esempio confrontabile è il precedente Real Galactico di Perez ma economicamente e finanziariamente è stato un flop, coperto dai soldi della iperspeculazione permessa dal comune di Madrid. Hai voglia a vendere i gadgets:-((
  10. IL Real dopo 70 milioni per Kakà ne può tirare fuori altri 80-90 per C.RONALDO:roll: L'altra volta Perez e il suo Real sono stati salvati dalla decisione del comune di Madrid di trasformare il terreno degli impianti sportivi del Real in edificabili facendogli fare un plusvalenza di circa 500 milioni e stavolta che fanno gli danno in conto vendita mezza città: :b26:b26
  11. Mi sono accorto solo adesso che in un grafico che accompagna l'articolo si cita il venti per cento di Magna come uno degli asset che ha dovuto cedere ai creditori. Non è strano che il ministro dell'economia tedesco citi il piano Magna finanziato da Deripaska come "il più solido"? De che? Queste sono informazioni di dominio pubblico, sono certo che a Berlino conoscano la situazione finanziaria dei vari pretendenti
  12. Interessante articolo sul Wall Street Journal edizione europea on-line, a proposito del proprietario della Gaz Oleg Deripaska In sotanza il vice amministratore delegato ha dichiarato che stanno per concludere un accordo con i creditori per riscadenzare gli oltre 20 miliardi di dollari di debito dopo aver già usufuito di un prestito statale di 4,5 miliardi e aver ceduto diversi attivi ai propri creditori MOSCOW -- Embattled Russian tycoon Oleg Deripaska is close to agreements to restructure his companies' multibillion-dollar debts that should allow his empire to survive without losing control of its major assets, a top lieutenant said in an interview. "We're now in the position where, except for a few difficult situations, we think the businesses will make it," Olga Zinovieva, first deputy chief executive of Mr. Deripaska's Basic Element holding company said. "The acute phase is past, and if we sign binding documents with creditors, the situation will be normalized and the businesses will get through it calmly." Mr. Deripaska, once one of Russia's wealthiest men, was also one of its most aggressive businessmen. He borrowed heavily over the past few years from Russian and foreign banks to expand his empire, which ranges from metals to manufacturing, construction and finance. When the financial crisis hit last fall, he was among the first Russian tycoons to be forced to cede assets to creditors and sought a $4.5 billion bailout loan from the Kremlin. Many bankers and businessmen expected him to lose control of large swathes of his empire, whose companies had debts exceeding $20 billion. For the Kremlin and many of his Western creditors, Mr. Deripaska has turned out to be too big to fail, according to people close to his debt-restructuring discussions. His companies account for just under 2% of Russia's gross domestic product and employ hundreds of thousands inside Russia, where unemployment is surging. Government officials so far have been reluctant to nationalize major companies, fearing that state bureaucrats will run them more poorly than their former private-sector owners. Foreign banks, meanwhile, lent billions to Mr. Deripaska's companies and now are loath to write off the debts or push him into bankruptcy, because recovering money in Russian courts is notoriously difficult. "No one wants to go in and aggressively immediately take the hit on these things," said a Western banker. To be sure, a sharp drop in metals prices or a dramatic worsening of the global economy could send the group back into trouble and force more drastic measures, officials said. A failure to reach debt deals also could force it into messy litigation. "I think they're mistaken about how easy it's going to be to restructure," said a Russian banker. But Ms. Zinovieva said United Co. Rusal, the aluminum giant that is the centerpiece of Mr. Deripaska's empire, expects to reach a restructuring deal over the next month stretching out repayment of $7.3 billion in loans from foreign banks. Rusal also is hoping for a deal to restructure the $4.5 billion bailout loan it got from a Russian state bank last fall. That loan comes due in November, and Rusal officials have said they don't expect to be able to repay it. Ms. Zinovieva said restructuring that debt is "not an easy question," but talks are under way with the government. The bailout loan was granted to keep Rusal from losing to foreign creditors a 25% stake in Russia's OAO Norilsk Nickel that it had pledged as security on a loan. The state bank now holds that stake, as well as other Rusal assets as collateral for the bailout loan. The idea of swapping that debt for equity in Rusal was met "without enthusiasm" by the government, Ms. Zinovieva said. Instead, people close to Rusal said the company could be forced to cede the Norilsk stake to the government or to sell it to pay off the loan. Rusal had bought the stake as a first step to a merger with Norilsk, but Mr. Deripaska dropped that idea as the crisis worsened in the fall. Ms. Zinovieva said Basic Element opposes the idea proposed by other Russian metals groups to merge their holdings into a partly state-owned national giant. "We think we should put our own businesses in order and then talk about merging," she said. Across Basic Element's other holdings, she said, the group had lost "relatively little" to creditors in the crisis. The main assets taken by lenders were minority stakes in foreign automotive and construction companies that Mr. Deripaska bought before the crisis with loans secured by the shares themselves. Basic Element also gave up control of its bank, which was rescued by regulators. Ms. Zinovieva said the group's property unit also might see some real-estate projects turned over to lenders to repay debts. But in the core assets, she said, the group will retain its stakes and doesn't expect to seek new investors for Basic Element itself. At Rusal, an aggressive cost-cutting program has brought production costs below world-market prices, Ms. Zinovieva said. "In some areas, things are actually improving, and we think that in many businesses the third and fourth quarters will be better than the first and the second," she said, citing Rusal, as well as forestry and insurance. At automaker OAO Gaz, Ms. Zinovieva said, the outlook isn't so upbeat. About half the company's bank creditors have agreed to a restructuring, as have most bondholders, she said. The company has slashed its bloated work force amid plunging demand for its vehicles since the crisis hit in the fall. Write to Gregory L. White at greg.white@wsj.com
  13. Beh che vuoi ora come ora è intento ad organizzare una cordata di imprenditori emiliani per l'acquisto8-)8-) Poi sarà Kaizen per tutti
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