Il codice registrato e acquistato dalla Red Bull e dalla Deutsche Telekom
L'operazione rischia di essere invalidata da una disposizione europea
Magenta, il colore che ha due padroni e non dovrebbe averne nessuno
E anche sul web si chiede la sua "liberazione"
di SARA FICOCELLI
TEMPI duri per il magenta. Il colore, che negli anni novanta è stato protagonista di un film con Rutger Hauer, Sotto massima sorveglianza, oggi lo è di un dibattito che coinvolge la Comunità europea e due aziende multinazionali.
Il suo codice (CTM 002534774) è stato infatti registrato e acquistato dalla Red Bull e dalla Deutsche Telekom e se in Germania un utente vuole utilizzarlo sul proprio computer non può farlo. Compare una finestra che dice: "Attenzione, questo colore non è tuo". Sia la "T" della Telecom tedesca che i torelli della bibita ultra-energentica sono di color magenta e le due aziende considerano la tonalità parte integrante del marchio.
Un po' come nel film, insomma, il colore continua ad essere "sotto massima sorveglianza". Anche perché la Comunità europea di recente ha fatto notare alle due aziende che ciò che hanno fatto è illegale. Registrare un sito, un nome, si può. Ma, come recita l'art. 4 del Regolamento Ue sui marchi registrati questo è possibile "solo per i simboli rappresentabili graficamente". I colori, insomma, no. E ciò, a scanso di equivoci, è ribadito dall'art. 7 dello stesso regolamento: "Non si possono registrare simboli non conformi a quanto previsto dall'art. 4". Una preclusione chiarissima, che sta creando non pochi problemi alle due multinazionali.
Sul web intanto si moltiplicano i siti e i blog di protesta. Al grido di "Liberate il magenta", i navigatori chiedono che il colore torni di pubblico utilizzo.
E' lecito chiedersi come le due aziende abbiano potuto commettere un errore simile e perché, visto che la legge è così nitida in proposito. In realtà, la registrazione del colore da parte di entrambe è avvenuta sulla base di una sentenza della Corte di Giustizia europea del 2004, che dice: "Colori o combinazioni di colori che siano oggetto di registrazione, devono essere sistematicamente definiti associando le tonalità in modo uniforme". I proprietari di marchi registrati si sono più volte chiesti come interpretare questa disposizione. E gli avversari del mercato, approfittando del vuoto normativo, si sono immediatamente scatenati appellandosi all'art. 7, nella speranza di danneggiare Red Bull e Telecom e riappropriarsi di una parte della tavolozza pittorica.
I legali delle due multinazionali, da parte loro, non si sono fatti trovare impreparati e hanno replicato che il Regolamento Ue sui marchi registrati risale al 1993 e che in dieci anni l'interpretazione giuridica della norma è cambiata. L'art. 7, nel frattempo, sarebbe stato modificato dalla consuetudine e soprattutto dal progresso tecnologico. Non si può, insomma, applicare al mondo virtuale una legge entrata in vigore quando Internet era solo una realtà di pochi.
La questione tocca le corde più delicate della dottrina giuridica, e la domanda da porsi è questa: può la registrazione - legale - di un marchio diventare illegale con l'evoluzione dell'interpretazione giuridica? No, almeno secondo uno dei principi cardine del diritto di tutte le costituzioni dei Paesi europei. In base al quale gli effetti negativi di una legge non sono retroattivi.
La questione è ancora aperta e rappresenta una delle tante zone d'ombra del diritto applicato alla nuova realtà del web. Resta però da riconoscere l'immenso sforzo compiuto finora da Red Bull e soprattutto D-Telecom per tenersi stretto il magenta.
La compagnia telefonica, a differenza della multinazionale delle lattine energizzanti, fa i conti ogni giorno con la perdita dei clienti: un epilogo negativo della questione rappresenterebbe per D-Telecom un disastro economico. Mentre la cancellazione del marchio per Red Bull, i cui affari vanno a gonfie vele, sarebbe un danno superabile. Entrambe, comunque, hanno tutto l'interesse a tenere il loro magenta sotto massima sorveglianza.
(14 novembre 2007)