Da "Il foglio"
Milano. Sono otto le banche più esposte con Fiat Auto: Intesa (650 milioni di euro),
Unicredit (625), Capitalia (425), SanPaolo Imi (400), Bnl (300) e 400 milioni tra Abn
Amro e Bnp Parisbas. Questo finanziamento è oggi garantito dalla conversione dei
crediti in azioni. Sergio Marchionne ha fatto intendere che non sarà in grado di pagare
i debiti con le banche nel 2005, e dunque il 26 settembre scatterà il convertendo. In
questo quadro, molti osservatori colgono qualche sconcerto negli ambienti dei maggiori
istituti di credito: Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Fiat, pare poco
concentrato sulla crisi del Lingotto: non ha visitato, come avrebbe fatto Gianni
Agnelli, Palazzo Chigi per illustrare le trattative con General Motors; non incalza i
principali interlocutori per discutere piani d’emergenza, al massimo s’incontra con
Luigi Abete, impegnato nella battaglia ormai perduta per difendere la presidenza di
Bnl. Uno dei suoi vice in Confindustria, Ettore Artioli, rimanda il caso Fiat alla
situazione generale dell’industria italiana. Ma se l’industria italiana ha problemi, talvolta
seri, la Fiat non ha problemi: è il problema. Al momento la linea di condotta dei banchieri
è espressa da Alessandro Profumo: fiducia nel management e nelle ragioni che
sull’applicazione del put alla Gm sostiene il Lingotto. Un atteggiamento obbligato per
reggere la trattativa con gli americani e per sostenere il titolo in Borsa. Questa
impostazione comunque richiederebbe un contorno di iniziative sociali perché anche se
per un caso straordinario la Gm accettasse il put, da quel momento in poi si porrebbero
serissimi problemi sociali che colpirebbero pure l’immagine di istituti di credito che
hanno fiancheggiato prima Paolo Fresco, poi Giuseppe Morchio e infine Marchionne.
Dietro le scelte obbligate si delineano le possibili strategie dei banchieri. Profumo da
tempo canta fuori dal coro. Potrebbe assumersi il ruolo di punto di riferimento (magari
con San Paolo Imi) in una situazione d’improvvisa emergenza. La sua banca ha le
spalle larghe, aveva indicato un manager industriale capace come Morchio, ha messo
tra le poste di bilancio il costo di tutta la conversione in azioni dei crediti Fiat, è la più
dinamica nel finanziare l’industria: lo show down di Fiat Auto avrebbe aspetti
drammatici ma offrirebbe occasioni per gestire cessioni, concentrazioni, nuove
iniziative. E dunque non può non interessare un banchiere che ha l’urgente necessità di
far vedere a tutti quel che vale. Capitalia e Intesa paiono giocare la partita insieme (con
San Paolo Imi al traino). I romani sembrano aspettare lo show down per intervenire sulla
periferia dell’impero: innanzi tutto su Mediobanca (e Rcs) dove un improvviso
affondamento del peso politico (e finanziario) di Fiat, lascerebbe ampi spazi di manovra.
Intesa ha l’aria di voler spostare i propri interessi dal cuore della Fiat all’energia:
accelerare – come hanno fatto gli uomini di Giovanni Bazoli (portandosi dietro Capitalia
e San Paolo Imi) – il put di Edf su Edison significa anche incalzare I vari protagonisti.
L’idea dei bazoliani è di ritagliarsi spazio in un’Aem che se dovesse muoversi in fretta
(spinta dal governo),
avrebbe bisogno di alleati: e tra questi Intesa e la filobazoliana Asm di Brescia. A San
Paolo Imi, banca torinese per eccellenza, toccherà comunque concentrarsi negli
inevitabili interventi sul territorio. Sono questi i movimenti che i banchieri fanno
intravedere. E da cui risalta l’apatia del presidente di Fiat, lo stesso che parla di classe
dirigente italiana inadeguata.