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Buondì. Ho fatto una roba. Alcuni si chiederanno il perché di questo topic, visto che la vettura che ne è protagonista ha avuto un'importanza piuttosto marginale sul nostro mercato, ed anche oggi non è esattamente fra le più ricordate (non per mancanza di motivi validi, ma perché... vabbè non serve spiegarlo). La ragione è questa: tempo fa siamo tornati a parlare della somiglianza fra 605 e 164, e sul momento io stesso mi sono soffermato a mettere alcuni puntini sulle i, dicendo però che la storia meritava di essere studiata meglio, anche perché fortunatamente, rispetto ad altre vetture, le notizie sulla gestazione di quest'ammiraglia Peugeot, se uno sa dove andare a cercarle, non mancano mica. Partendo quindi dal punto 0 che era la somiglianza fra le ammiraglie Alfa e Peugeot di fine anni '80, ed avendo in passato ampiamente illustrato la storia progettuale di quella italiana, ci ritroviamo oggi a dare un'occhiata a quella della rivale francese. Una cosa in comune le due ammiraglie sicuramente l'hanno: una gestazione piuttosto complicata. Anche in questo caso, infatti, è praticamente necessario andare “a prenderla da Adamo ed Eva”, per arrivare poi al punto. Altrimenti non è possibile fare la necessaria chiarezza. Sono riuscito a rimettere insieme parecchi pezzi del puzzle, e ne è uscito un racconto più esteso di quanto immaginassi in principio. Sarò quindi logorroico, e vado subito a citare la fonte principale da cui ho tratto le memorie, nonché alcune immagini, nella speranza di non offendere nessuno e di non creare problemi al forum. D'altra parte, quando si scrive di fatti d'epoca non si può far altro che ispirarsi a chi li ha messi su carta in precedenza. Il testo che leggerete, quindi, per quanto condensato e rimaneggiato, non si basa assolutamente su mie memorie o documentazioni personali, bensì sul volume “Peugeot 605” di Jan P. Norbye, edito da Automobilia nel giugno del 1990 che fa parte di una splendida collana di volumi anni 80-90 dedicati alle vetture se vogliamo più “normali” e alle loro fasi di progettazione. Ripeto, spero di non creare malumori o fare danni nei confronti di nessuno, citando questo scritto e le sue immagini. In caso contrario, rimuoverò prontamente il tutto con l'aiuto dei moderatori. Non ho alcun merito riguardo ciò che vado a raccontare, semplicemente trarre spunto da un libro è l'unica maniera per riscrivere oggi una storia vecchia di oltre 25 anni. Dunque dunque: 605 faceva parte di un programma di cooperazione fra le due Case francesi Peugeot e Citroen. In tale programma, il modello Peugeot era contraddistinto dalla sigla Z.6 e quello Citroen (che sarebbe poi diventato la XM) aveva la sigla Y.30. Il tempo per sviluppare tali modelli, dal tavolo da disegno alla linea di assemblaggio, fu di cinque anni. Però... però però però. Come nel caso dell'Alfona, c'è anche qui un “prima”. E ci tocca andare proprio a quel 1981 in cui anche ad Arese, coincidenza, stavano succedendo alcune cose che avrebbero avuto parecchia influenza su ciò che avremmo visto su strada nel 1987. La situazione finanziaria e di gamma che aveva infatti Peugeot nel 1981, sono parte integrante degli accadimenti che faranno poi da sfondo alla nascita della 605. Peugeot-Talbot aveva non una ma ben due auto sul mercato, nella fascia alta: la 604, che era stata presentata nell'estate del 1975, e l'indimenticabile Tagora, che era nata da pochi mesi, nel settembre del 1980. Appena sotto di esse, la terza vettura importante come dimensioni, la 505 che era nata nella primavera del 1979. Con la 604, Peugeot aveva commesso un errore: quello di proporre una vettura grande e potente, dal prezzo medio, che probabilmente usciva da quello che era il suo contesto di mercato. Col V6 da 2.7 litri si aggiungeva ad una gamma in cui la berlina più cara (al lancio del 1975) era la 504, modello che aveva visto nelle sue varianti coupè e cabriolet le uniche concessioni della Casa del Leone al mercato delle vetture di prestigio, valorizzate dal V6 e da disegno e costruzione Pininfarina. 604 era la più grossa vettura mai prodotta dalla Peugeot sin dagli anni Venti: costruita su un passo di 2.80 metri e con una lunghezza di 4.72, pesava 1455 kg. Le caratteristiche tecniche erano piuttosto avanzate, ma il design (frutto di un progetto a più mani con Pininfarina) le dava un'aria piuttosto datata. Aggiungiamoci poi la sempre presente, quando si parla di vetture sfigate, crisi petrolifera, e la frittata è fatta. Quando gli arabi chiusero i rubinetti, verso la fine del 1973, la progettazione della 604 era terminata e non si potevano apportare modifiche importanti se non attraverso quello che spesso si definisce un “bagno di sangue”. Andò quindi a finire che la 604 arrivò sul mercato nel momento peggiore, totalizzando (per fare un esempio) circa 95.000 esemplari prodotti nel periodo 1975-78, che pochi potrebbero non sembrare al primo impatto, ma vanno confrontati con i 300.000 esemplari di 504 prodotti nello stesso periodo. I risultati furono deludenti e di conseguenza anche il motore V8 da 3.2 litri che Peugeot teneva in serbo per una versione performante della 604 fu messo in soffitta. Nacque invece una 604TI con maggior potenza, che fu affiancata nella primavera del 1979 da una turbodiesel alimentata dal quattro cilindri 2.3 litri siglato XD2S, ma tutto ciò non fu sufficiente ad incrementare le vendite. L'Europa attraversava in quel periodo una seconda crisi energetica ed il mercato delle ammiraglie era in una fase di serio declino, che sarebbe durata per altri cinque anni. Invecchiando mese dopo mese, la 604 continuò a perdere quota, con la produzione che scese a 5.700 unità nel 1982 per crollare poi a 3.500 l'anno successivo. Nel 1979 però c'era in Peugeot un giovane e coraggioso presidente, tale Jean-Paul Parayre, che pensava di sostituire la 604 con la Tagora (per la serie “dalla padella alla brace”). Tagora era figlia di un progetto siglato C-9 che era stato avviato nel lontano 1970 (quando fai le cose con calma, vengon sempre fuori bene) al Centro Tecnico Europeo della Chrysler (vicino a Coventry) e che era finito in mano a Peugeot quando essa aveva rilevato la Chrysler francese, inglese e spagnola nel 1978. Tagora dalla progettazione divisa in due: design e progetto della scocca vennero effettuati in Inghilterra, mentre telaio e propulsore nacquero a Poissy nell'impianto che un tempo era stato Simca. Quando Peugeot decise di utilizzare la vettura C-9 per rientrare nella fascia alta del mercato, essa venne riprogettata in modo da poter utilizzare il retrotreno della 505 al posto di quello progettato dagli ingegneri Chrysler, e le sospensioni anteriori McPherson della 604 invece dei doppi bracci ad “A” preparati in precedenza, ma fu mantenuto il motore Chrysler, solo aumentato di cubatura fino a raggiungere i 2.2 litri. Tagora venne proposta anche con motori V6 e turbodiesel, ma ricevette come sappiamo un'accoglienza fredda dal pubblico, per non dire gelida. Inoltre, spulciando i dati relativi all'assistenza tecnica dei tempi, si notava che la vettura era affetta da problemi di affidabilità di non facile risoluzione. Parayre a quel punto si rese conto che sarebbe stato meglio accantonarla e proseguire con l'aggiornamento della 604, ma la verità era che lui stesso, oltre a tutti coloro che stavano al suo fianco, sapeva bene che la cosa migliore era accantonarle entrambe e ripartire da zero. Peugeot in quel momento aveva in casa il progetto di una vettura di classe superiore, codice H.9, che veniva definita in gergo una “anti-Mercedes” e che prevedeva come optional il motore V8 da 3.2 litri che tornava a farsi vivo, ma la Casa aveva iniziato a registrare cospicue perdite di bilancio. La situazione era quindi rischiosa e la scelta di sviluppare la H.9 fu accantonata sperando in giorni migliori. Nel 1983 la Peugeot SA dichiarò una perdita netta di 8 miliardi di franchi. Roland Peugeot ed i suoi consiglieri si resero conto di aver lasciato troppa libertà a Parayre, che secondo loro aveva gestito la fabbrica in modo piuttosto personale, e per questo gli misero accanto Jacques Calvet, per tenerlo a bada. Calvet era un ex-funzionario di Stato nonché ex-banchiere (il Partito Socialista lo aveva appena estromesso dalla carica di Presidente della Banque Nationale di Paris), e fu inserito nell'organigramma aziendale in maniera piuttosto anomala e decentrata rispetto alle normali gerarchie. Dopo alcuni mesi fu messo a capo della Peugeot Divisione Automobili, occupando lo stesso ruolo che aveva Jean Baratte nella gestione Citroen. Non tutta la gestione Parayre fu però avventata e criticabile: occorre dargli onore e credito per aver spinto con tutte le sue forze il programma 205 che sappiamo bene cosa significò per la Casa francese. Tuttavia, egli fu incolpato di essere il responsabile delle gravi perdite finanziarie che gravavano sugli ex-stabilimenti Chrysler, e da lì in poi non ebbe vita facile anche a causa della personalità di Calvet che ne minava l'autorità. Il tutto si concluse con le sue dimissioni, nel settembre del 1984. Calvet divenne amministratore delegato del Gruppo e nel 1985 la casa del Leone tornò in attivo. La produzione delle due vetture d'alta gamma venne interrotta (prima quella della Tagora, poi quella della 604). Nel frattempo la 205 era diventata il modello più venduto, ma i guadagni maggiori si facevano con la vendita delle 505. La 505 era in pratica una 504 rivisitata sotto il profilo stilistico: una mossa azzeccata perché con il contributo di Pininfarina, Peugeot si era dotata di una vettura di prezzo medio con un look completamente diverso, il tutto con investimenti tutto sommato contenuti. Di proporzioni classiche, aveva comunque un aspetto elegante e moderno. Rispetto alla 504 era stata perfezionata nell'aerodinamica, nell'insonorizzazione e nella tenuta di strada. Alla sua nascita le rivali più serie erano la Renault 20 TS, la Ford Granada, l'Opel Rekord, l'Audi 100, la Volvo 244 e.... la Fiat Argenta (capirai che paura....). Inserita tra 504 e 604 nel 1979, non sostituì immediatamente la prima delle due, che rimase in produzione nella sola versione con motore 1.8 e assale posteriore rigido. Le sue vendite tuttavia furono lente a decollare, forse perché la 504 si vendeva ancora parecchio. Col tempo, comunque, la 505 dimostrò di avere una buona tenuta sul mercato. Nel 1985 lo stabilimento di Sochaux ne sfornava ancora oltre 530 esemplari al giorno, e tra l'aprile del 1979 ed il giugno del 1985 ne furono costruite ben 845.000. In quella prima metà degli anni '80, comunque era evidente che sarebbe stato necessario trovarle un'erede. Le sue vendite erano minacciate da quella che si chiamava Renault 25, ed i vertici Peugeot avevano già deciso che la parte medio-alta della gamma sarebbe stata presidiata da due modelli. Al livello inferiore si sarebbe posizionata la D.60 (che abbiamo poi conosciuto come 405) e in quella superiore il progetto H.2, che avrebbe sostituito la 505 oltre a coprire il vuoto lasciato dalla 604 (non distante da quanto fece Alfa con 164 che coprì il vuoto di 90 e quello della 6). La progettazione della piccola, la D.60, ebbe inizio il 15 ottobre del 1982, ed il disegno della carrozzeria, definito dalla Casa stessa “con forti connotazioni Pininfarina” terminò nel maggio del 1984. E qui interrompo il racconto, per arrivare al punto che avevo sottolineato tempo fa. E' la 405 la Peugeot a nascere in tempi “più o meno” allineati a quelli della 164, e se il carrozziere torinese deve essere “incolpato” di aver disegnato due vetture simili, il confronto va fatto tra l'Alfa e la media Peugeot, non con la grande. In questo momento la 605 non è affatto una realtà. Tanto che alla fine, l'onore di aver mostrato al pubblico un certo design andrebbe alla Peugeot, che arriva sul mercato prima dell'Alfa, ma sappiamo che dietro le quinte questi discorsi valgono poco. Ma torniamo alla storia: 405 disegnata e congelata nel 1984, su pianale di derivazione Citroen BX. Con l'obbiettivo di entrare nella fascia di mercato della 305 giocando un poco al rialzo, ebbe una buona accoglienza sia in Francia che in Europa, mentre le cose le andarono parecchio male in America (eh si, non tutti ricordano che la 405 fu proposta anche “di là”), essenzialmente per due motivi: il primo fu che la Casa non ebbe le capacità di presentare la vettura al pubblico americano nel modo adeguato, ed il secondo, il più importante, fu che la media Peugeot si trovò nel bel mezzo di un mercato in cui la guerra fra le cinque più importanti Case giapponesi era già iniziata. Passando alla sorella maggiore, la H.2, essa nell'immaginario degli uomini Peugeot era in pratica un ridimensionamento di quella grande H.9 che era stata accantonata anni prima, nel periodo difficile. L'idea rimaneva quella di attaccare Mercedes dal basso, ma a quel punto c'era di mezzo anche la Citroen perché la sua CX (datata 1974) era ormai anzianotta. Ottimo si rivelava in quel frangente il progetto del pianale di H.2, impostato con l'idea di una grande versatilità che avrebbe permesso di avere due modelli con due differenti tipi di trazione, anteriore e posteriore. Se era impensabile infatti che Citroen realizzasse una nuova ammiraglia mettendo da parte la trazione anteriore, era altrettanto certo per gli uomini Peugeot che la nuova “grande”, spaziosa e ben dimensionata, dotata anche di motore 3 litri, avrebbe dovuto spingere con le ruote posteriori. Vedere, col senno di poi, che la 605 arrivò sul mercato con la trazione anteriore, ci fa pensare che le idee degli uomini Peugeot non siano sopravvissute a quella lotta rappresentata dalle mille discussioni che si fanno all'interno di un'azienda prima di decidere come impostare un nuovo modello. Fu in questa fase di processo dialettico che la H.2 si trasformò nel progetto Z.6, che poi noi abbiamo conosciuto come Peugeot 605. Da H.2 a Z.6, quindi: fatti alcuni cenni riguardo la gestazione di 405, ritorniamo al 1983 ora per vedere le prime mosse dell'evoluzione progettuale della “grande”. A quei tempi, nessuno sarebbe stato in grado di prevedere cosa sarebbe stato il mercato nella fascia più alta, nel 1990. Per Peugeot era quindi una scommessa puntare, come si pensava, molto più in alto della 505. La variazione prevista, per quanto riguardava peso e dimensioni, non doveva superare il 12 per cento, ma per quanto riguarda le prestazioni, si voleva che la H.2 avesse in dote potenze superiori anche del 200 per cento rispetto alla 505. Una vettura importante, quindi, il cui prezzo avrebbe subito una decisa impennata rispetto a quello della vettura in listino a quei tempi. Così ricordava Michel Forichon, responsabile dell'Ingegneria di Progettazione del gruppo Peugeot: “Volevamo un'automobile che avesse una base di tecnologie avanzate e fosse percepita dal pubblico come un modello di classe superiore, invece di partire da una vettura di classe media e perfezionarla successivamente fino al punto che potesse reggere il confronto con le altre vetture di classe superiore.” Quando l'auto prese forma, le ambizioni in Peugeot crebbero ancora: fu abbandonata l'idea di preparare una vettura che consentisse alla Peugeot di riconquistare la sua posizione nella fascia delle ammiraglie e si decise di puntare senza se e senza ma ai vertici del mercato. “La migliore soluzione è a malapena sufficiente” divenne lo slogan per le persone a capo dei vari settori del progetto, e l'ossessione per l'eccellenza qualitativa divenne un chiodo fisso per tutti coloro che erano impegnati nella creazione e nello sviluppo della vettura. Gli avvenimenti successivi dimostrarono che avevano ragione a puntare in alto: la 605 arrivò in un momento in cui il suo segmento di mercato era effervescente. Era la fine del 1989 e due anni prima tale fascia di mercato aveva fatto registrare un boom delle vendite. A lato di questa considerazione, è necessario farne una seconda che guarda ciò che stava accadendo all'interno di Peugeot, riguardo le tipologie di prodotto e le loro comunanze. Facendo un passo indietro, ai tempi in cui s'era iniziato a disegnare la 205, l'idea industriale era stata quella di dare la massima priorità al rinnovamento dei modelli prodotti in grandi volumi, mentre si era preferito sospendere la produzione di quelli marginali. Le versioni “speciali”, infatti, erano state affidate a Heuliez (ambulanze), Chausson (furgoni) e Dangel (4 ruote motrici). Questo perché... nel 1980 il gruppo Peugeot produceva 10 linee completamente diverse di auto, senza componenti standardizzati, e aveva otto motori completamente diversi fra loro (alcuni dei quali forniti a loro volta con diverse dimensioni e comprendenti, in alcuni casi, anche il diesel). Al lancio di 605 le linee di auto erano nove ed i motori sette. Sul piano dei numeri non sembrava un grosso passo avanti nella standardizzazione, ma quello che i numeri non dicevano era che l'impiego dei componenti comuni si era imposto a tal punto da stravolgere completamente la struttura industriale del Gruppo. Avendo quindi in casa lo sviluppo delle nuove “grandi” Peugeot e Citroen, la tentazione di abbinare l'erede di CX (ricordiamo, Y.30-XM) alla H.2 era irresistibile per i vertici aziendali. Entrambe le case avevano ovviamente nel cassetto delle idee per le nuove vetture, ed assieme a loro dovevano risolvere i problemi di sviluppo dati dalla voglia di arricchire i nuovi modelli incrociata con l'inadeguatezza delle basi su cui erano costruiti quelli a listino in quel periodo. Per dirne un paio, Peugeot voleva mettere da parte lo chassis della 505, ormai inadeguato, e Citroen desiderava fare altrettanto con la struttura della CX, inadatta ad ospitare il V6 che sicuramente la nuova ammiraglia del double chevron avrebbe dovuto avere per giocarsela ad armi pari sul mercato europeo. L'attività di progettazione comune ebbe quindi inizio, e nel settembre del 1984 i Centri Stile Peugeot e Citroen (insieme ai loro consulenti ITALIANI) ricevettero l'ok per andare avanti con le proposte stilistiche. I disegni in scala 1:1 furono completati per entrambe le marche in quattro mesi, tenendo conto anche di possibili versioni a quattro ruote motrici. Facciamo un altro punto della situazione. Settembre 1984, iniziano i lavori. Riassumendo, 164 esiste già, 405 pure, 605 inizia il suo cammino progettuale in questo momento. Fine prima parte.
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Aloha! Probabilmente molti non si ricorderanno di me causa luuuuunga latitanza... Latitanza in realtà solo parziale, essendomi sempre riservato, tra i pochi ritagli di tempo libero degli ultimi, frenetici anni, dei momenti per ravanare tra i threads e leggiucchiare/rvi qua e là, e continuando di conseguenza a mantenere un legame, sia pur personalissimo ed univoco, con tutti voi, in particolare con i più assidui frequentatori di questa sezione di fanatici nostalgici (Duetto, Paolino, Abarth, Stev, Roberto ed altra gentaccia da par vostro ). Ora, per autocelebrare il mio ritorno sulle scene (me le canto e me le suono ), vi delizio con alcune foto (non recentissime, roba di 4/5 anni, qualche tatuaggio e qualche kg fa ) di uno dei gioiellini di casa, che proprio quest'anno festeggia i suoi primi 50 anni Per la cronaca, una delle ultime con ancora le "suicide doors", immatricolata nel maggio '64 ma da numero di telaio dovrebbe essere una nov/dic '63... ora, pregando le Vs. Signorie di ignorare la tamarromobile di mio padre sullo sfondo (per la serie: vorrei una Fulvia HF ma non posso ), e sottolineando che si, lo so, la pompa della benzina elettrica non è conforme, ma l'originale meccanica esiste, è viva e lotta insieme a noi, ed è solo momentaneamente separata dal resto causa membrana cristallizzata... che ve ne pare? Mi ha insegnato a guidare, cara... Tornando a noi, tremate, perchè potrei tornare ad essere logorroicamente presente!
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Qualche tempo fa, il buon simonepietro mi aveva passato la palla riguardo una recensione su queste due auto-laboratorio Alfa Romeo, però essendo io assente per motivi vari, la palla era finita fuoricampo. Siccome la partita è ricominciata (speriamo senza troppi falli ) ho recuperato la palla e rilancio, visto che strizzando il monte cartaceo dell'archivio, qualcosa era saltato fuori. (le foto non sono marchiate in quanto non vengono da una testata precisa, apparvero un po' ovunque, diramate ufficiali da AR, e onestamente non saprei "di chi" marchiarle, le pubblicarono tutti... in fondo non sono esclusivi spy shot d'oggi o d'epoca, spero vada bene così, altrimenti mods fatemi sapè ) ALFASUD ESVAR-SVAR Parlando di ricerca Alfa Romeo con oggetto Alfasud, la “vettura di sintesi” che Alfa presentò alla conferenza internazionale di Tokyo nasceva da un programma sdoppiato e molto significativo. Nella prima fase tutti gli interventi erano rivolti ad economizzare il combustibile ed il prototipo prese il nome di ESVAR (Energy Saving Vehicle Annessa Ruggine... ehm, Alfa Romeo ). Nella seconda fase divenne SVAR (Sinthesis Vehicle) e, ai pregi energetici, aggiungeva un grado di sicurezza passiva più alto. L'obbiettivo naturalmente era di garantire prestazioni uguali o superiori a quelle delle auto in produzione all'epoca o di migliorarne i livelli di inquinamento. Per far ciò, cercando di realizzare l'idea su un modello che colpisse la maggior parte dell'utenza in quanto diffuso, i tecnici Alfa indirizzarono il loro lavoro sulla Sud. Per la ESVAR, definita di transizione, la ricerca si polarizzò su tecnologie conosciute e quindi di possibile introduzione in tempi brevi nella serie: -motore a più alta efficienza -ottimizzazione dei rapporti di trasmissione -perfezionamento aerodinamico -alleggerimento -riduzione della resistenza al rotolamento La più elevata efficienza fu raggiunta dal boxer di 1490 cc con il sistema CEM; i guadagni più sensibili sui consumi furono ottenuti migliorando il rapporto aria-benzina e la curva di anticipo di accensione, con opportune correzioni in funzione delle temperature. Altri risparmi si aggiunsero con il “cut-off”, l'esclusione dell'erogazione di benzina in rilascio. Il passo successivo fu offerto dal funzionamento modulare, con l'esclusione di due cilindri in determinate condizioni di utilizzo, al minimo e ai bassi carichi. Il funzionamento modulare era molto dolce e rapido, con scambio di coppia dei cilindri di volta in volta staccati e particolari attenzioni per lo spunto in partenza e per le accelerazioni a fondo. Sulla base della stessa potenza di 95 cv a 5400 giri anziché a 6000, si ottenne un lieve miglioramento della coppia massima (da 13,3 a 13,5 kgm) a 3500 giri. I consumi specifici segnalarono ulteriori diminuzioni soprattutto nelle zone di bassa utilizzazione, tipiche dei percorsi urbani. L'aerodinamica fu affinata attraverso svariate ricerche alla Galleria del vento Pininfarina. Senza interventi rivoluzionari, il coefficiente Cx scese da 0,423 a 0,328 (un 22,5 per cento in meno). Avendo la possibilità di riportare dei dati più specifici, è significativo valutare i vari apporti di spoiler, deflettori e carenature con i conseguenti guadagni di Cx: -meno 0,037 per lo spoiler anteriore ottimizzato; -meno 0,013 per l'intubamento della zona frontale; -meno 0,006 per la carenatura delle ruote; -meno 0,005 per i ritocchi nella zona inferiore del pianale. Il processo di alleggerimento portò ad una sottrazione di 77 kg ( un abbondante 8 per cento in meno) senza intaccare la resistenza strutturale della scocca e senza venir meno alle norme di sicurezza. Anche qui c'è qualche dato più preciso da riportare: -meno 35,5 kg dalle parti meccaniche; -meno 27,5 kg dalla scocca; -meno 12 dall'abbigliamento; -meno 6 dal motore. Si utilizzarono pneumatici Pirelli P8 che all'epoca mostrarono una significativa riduzione della resistenza al rotolamento. Risultato finale della vettura ESVAR rispetto alla Sud di base: -velocità di punta passata da 174 ad oltre 185 km orari; -accelerazione 0-100 scesa da 10”7 a 9”8; -accelerazione sui 1000 metri scesa da 32”4 a 31”12; -ripresa quasi invariata, i 1000 metri da 40 km orari in quinta scesi da 40”65 a 40”60. Questo perchè aerodinamica e peso avevano effetti positivi sui primi due parametri, mentre l'allungamento dei rapporti alti (pro consumo) finiva per vanificare in parte i progressi nell'ambito della ripresa. I consumi si abbassavano da 6,2 a 4,9 litri per 100 km a 90 orari costanti, da 8,1 a 6,3 a 120 costanti e da 10,6 a 7,8 nell'urbano (riduzioni comprese da il 20 ed il 26 per cento abbondanti). Nella vettura SVAR, con stessa motorizzazione e medesimi perfezionamenti di caratteristiche aerodinamiche, le prestazioni variavano soltanto in funzione dei pesi, in conseguenza dei rinforzi apportati alle zone anteriore e posteriore del telaio, nelle porte, nel tetto e nel cofano, che portavano ad un aggravio di 54 kg. Il peso di 905 kg della Sud di base, sceso a 828 con l'ESVAR, registrava così una risalita a 882 nella SVAR. Dati specifici anche riguardo il peso aggiunto: -più 25 kg per le traverse di alluminio di rinforzo alle porte (pro urti laterali) -più 8,7 kg per i longheroni posteriori (pro tamponamento a 50 orari) -più 6,3 kg per i longheroni anteriori e l'irrigidimento del pianale (pro urto angolato a 65 orari) -più 2 kg per la fascia sopra parabrezza e rollbar sul tetto (pro roll-over a 50 orari) Mancano 12 kg circa all'appello, nell'ambito dei 54 indicati come aggravio di peso; le tabelle dichiarate da Alfa li addebitavano a “spoiler e deflettori”, ma questo secondo me è corretto solo in parte in quanto la SVAR aveva un abbigliamento esterno più complesso, fatto ad esempio di abbondanti fascioni sulle porte... ...di un deflettore posizionato davanti ai tergi, alla fine del cofano motore... ...ma come possiamo vedere confrontando le foto delle due vetture, gli spoiler "essenziali" li possedevano entrambe. Comunque, tra i due prototipi di ricerca, il confronto delle prestazioni era così articolato: -la velocità restava di oltre 185 orari anche nella SVAR; -l'accelerazione 0-100 passava da 9”8 a 10”1; -quella sui 1000 metri passava da 31”12 a 31”5; -la ripresa sui 1000 metri da 40 km orari in quinta passava da 40”6 a 42”65. Peggioramento dei consumi: -invariato il dato dell'urbano, sempre 7,8 per 100 km; -a 90 costanti si saliva da 4,9 a 5,1; -a 120 si passava da 6,3 a 6,4. La vettura SVAR fu sottoposta quindi a tutte le prove d'urto per la quale era stata preparata: -impatto frontale a 65 km/h contro una barriera a 30°, rivelando accelerazioni massime dei manichini comprese tra 30 e 61g/3ms (3 metri sopra il cielo? ), senza apertura delle porte o perdita di carburante; -urto posteriore a 50 km/h (carro di 1800 kg) con accelerazione alla testa e al torace degli occupanti fra 13 e 51g; -urto laterale a 50 km/h fra due vetture, con accelerazione di tre manichini Hybrid II entro valori di 19 e 67g; -cappottamento a 50 km/h con perfetto trattenimento dei manichini, porte che mantenevano la chiusura, nessuna perdita di carburante, spazi interni di sopravvivenza adeguati, perfetto ancoraggio dei sedili ed apertura di almeno una porta dopo il crash. Da notare che anche gli interni erano stati rivisti, sempre in nome della sicurezza. L'esame fu completato da una serie di test di sicurezza a Balocco, e ne uscirono risultati positivi, soprattutto per la tenuta di strada e per gli assetti dell'autotelaio, dimostratisi incredibilmente neutri. Si poteva quindi parlare di risultati più che soddisfacenti, specie se rapportati ai costi e all'immediatezza di trasferimento nella produzione di serie di ogni soluzione che era stata adottata. Questo è ciò che sono riuscito a racimolare su questi due prototipi Alfa Romeo, incrociando notizie da varie fonti, tra cui una buona recensione da parte di Auto & Design dei tempi. Come sempre, se ci sono precisazioni o il testo presenta info errate che si possono correggere, ben vengano i suggerimenti. GTC
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