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lust

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  1. Si come paragonare una cucina Ikea con una cucina Schiffini o chi per lei, logico che l'Ikea fa bene il suo lavoro, ma nessuno può dirmi che sia meglio solo perchè costa meno!!!
  2. io oltre ad aspettare l'anno nuovo, così non perdo la svalutazione e l'immatricolo al 2006 (anche se GPuntone non mi interessa perchè troppo grossa), aspetto le semestrale o le aziendali.
  3. Piccola lezione di economia: "Purtroppo questi non sono i numeri di Fiat auto ma di Fiat s.p.a. (la holding)" I debiti complessivi della Fiat Holding (anche se derivati in gran parte dal settore auto) sono alti. Il problema non sono i debiti...ci sono società piu' piccole gravati da alti debiti...ma la possiblità di generare utile e attraverso questi ridurre l'indebitamento. Se noi guardiamo la Telecom, se pur gravata da molti debiti genera forti utili (in parte derivati dalla Tim) e di conseguenza essi debiti tra qualche anno rientreranno nella normalità. Ma mentre Telecom ha utili di fatto sicuri, grazie alla telefonia che tutti usano, alla Fiat devono recuperare utile per quanto riguarda il settore auto (gli altri settori in genere vanno bene) e creare prodotti che il consumatore acquisti. Quindi in sintesi i problemi sono piu' seri perchè a differenza ad es. della Telecom la Fiat non ha il monopolio delle vendite nel suo settore e deve programmare automobili che dovranno passare al giudizio degli automobilisti e attraverso gli acquisti di questi ultimi generare quell'utile che sta arrivando e che dovrà servire a ridurre la situazione debitoria. Sembra ad esempio che la Gm ( se non mi sbaglio) abbia 400 miliardi di dollari di debito complessivo....credo cosi' con un conteggio a memoria circa 600-700.000 miliardi di lire di debiti....non parliamo della Ford o di altre case del settore!!!
  4. Ok anche il Suv Sedici Fiat è già bocciato.
  5. lust

    Povera Italia

    Ha bella presenza, istruzione medio-alta, spesso famiglia, in parecchi casi lavoro. È il nuovo povero "in giacca e cravatta" come lo definisce il rapporto Eurispes 2005. Il 22% della popolazione italiana si barcamena tra contratti temporanei e lavori atipici, vedendo annullate tutte le conquiste sociali, dalla maternità al congedo per malattia. E non riesce più ad arrivare a fine mese. Un'urgenza che richiede nuove forme di politica e di solidarietà. di Gianluca Iazzolino e Lorenza Fontana Una persona "normale", il borghese di una volta. È il "povero in giacca e cravatta", come lo definisce il rapporto 2005 dell'Eurispes. L'identikit del nuovo povero italiano, pubblicato nel mese di gennaio, è lo specchio di un'Italia che da tempo mostra i segni di un malessere diffuso. In autunno le cronache hanno offerto storie di pensionati colti a rubare nei supermercati, spesso colpiti da malori per non aver retto alla vergogna. Tra Veneto e Piemonte ha fatto la sua comparsa, in spontanee attualizzazioni dell'esproprio proletario, San Precario: il protettore dei lavoratori a tempo determinato, di quelle che sindacalisti definiscono "Nuove identità del lavoro", i soggetti poco attivi di un mercato del lavoro flessibile, sospesi in una zona grigia sociale, economica, generazionale. Miseria "occasionale" Corrado Augias, rispondendo dalle pagine di Repubblica del 25 febbraio alla lettera di un lettore dal titolo "Noi figli senza la speranza dei nostri padri" (vedi box), ha evocato un clima da dopoguerra. Ma siamo nel 2005, la guerra è finita da oltre 60 anni e non s'intravedono miracoli italiani all'orizzonte. Associazioni storicamente impegnate con i poveri, come la Caritas, hanno visto affacciarsi ai loro sportelli d'ascolto una nuova tipologia di bisognosi: molti rientrano in quel 32,1% delle famiglie italiane (6.933.000 nuclei) che ha un reddito inferiore ai 17.500 euro l'anno, secondo le cifre del rapporto Eurispes. In tutto sarebbero 4 milioni e 700 mila le famiglie (il 22% del totale) povere o quasi povere. I dati, com'era prevedibile, hanno scatenato accuse di strumentalizzazione politica. I partigiani dell'ottimismo più sfrenato si sono appigliati ai numeri forniti dall'Istat, che non negano la povertà presente in Italia, ma l'addolciscono. Si parla di povertà relativa: è "relativamente povera", secondo l'Istat, una famiglia di due componenti la cui spesa media mensile pro-capite sia di 869,50 euro; 2 milioni 360 mila nuclei familiari, il 10,6% delle famiglie residenti, l'11,8% della popolazione italiana. Ma l'Eurispes mette in luce anche un nuovo concetto di povertà: "una precaria condizione socio-esistenziale ed economica non relativa o assoluta, estrema o immateriale ma "oscillante", temporanea, instabile, talvolta occasionale, spesso ricorrente, che può comprimere e schiacciare le persone o i nuclei familiari secondo una traiettoria di più accentuata deriva/esclusione sociale verso il basso; ma che - secondo gli studiosi - potrebbe anche registrare possibili "escursioni" verso l'alto della piramide sociale; e perfino prefigurare apprezzabili e decorose fuoriuscite dal tunnel della povertà o del disagio". I "nomadi" del lavoro Figure di primo piano nella schiera dei nuovi poveri sono gli atipici, i parasubordinati, i precari: forme contrattuali che finiscono per diventare stili di vita. La vita di chi ha un contratto di tre mesi alla volta e non può permettersi di pensare a metter su famiglia. "Nomadi multiattivi", li chiama il sociologo Luciano Gallino: giovani che, se dispongono di una qualifica professionale alta, possono sommare diversi tipi di contratto e quindi raggiungere un lavoro a tempo pieno, sia per durata sia per remunerazione. «Anche se, per la maggior parte - dice - il lavoro atipico significa marcata discontinuità dell'occupazione, quindi anche del reddito e dei versamenti pensionistici». Altra cosa è la povertà estrema, calcolata sulla base di un paniere di beni di prima necessità. L'allarme arriva da una constatazione: i confini tra le due categorie sono sfumati. E anche la classe media si sta assottigliando. L'Ires-Cgil parla dei "lavoratori poveri": tre milioni, con un salario netto tra i 600 e gli 800 euro mensili, più altri tre milioni che in busta paga si ritrovano a malapena un migliaio di euro. Si parla sempre più spesso della "quarta settimana": lo stipendio basta per le prime tre. Anche con uno stipendio fisso si fatica ad arrivare a fine mese. Carolina, assistente sociale di Pontestorto, una borgata alle porte di Roma, escrescenza capitolina delle speculazioni edilizie degli anni Settanta, da un paio d'anni si occupa di famiglie cosiddette normali. «Come quella di Giovanni e Paola: lui laureato in ingegneria e consulente dei comuni della zona, lei fisioterapista. Tre figli, di cui uno con la distrofia muscolare. La palestra costa. Hanno venduto un'auto perché anche l'assicurazione costa. Come quella di Federica, due figli, un aborto recente: lei e suo marito, entrambi impiegati statali, non possono permettersi un terzo figlio». Politica latitante "Tutto costa di più da quando c'è l'euro", è il ritornello di fondo che si afferra ai mercati generali di tutta Italia, dove al mattino presto vanno a frotte pensionati e lavoratori, perché il risparmio su frutta e verdura può essere anche del 50%. La perdita del potere d'acquisto dei salari italiani è uno di quei dati che balza all'occhio e fa male: sempre secondo l'Ires-Cgil, a partire da dati Istat, nel 2003, per la prima volta dopo vent'anni, le retribuzioni sono cresciute meno dell'inflazione. Gli italiani hanno chiuso il 2003 più poveri dello 0,5% rispetto al '91. Una famiglia di tre persone con due redditi medi da lavoro dipendente ha perso potere d'acquisto per 720 euro. Tra i paesi dell'Ocse, l'Italia spicca per la forbice tra produttività e salari: nel decennio '91-2000, in termini reali, cioè depurati dall'inflazione, la produttività per addetto è cresciuta del 18,7% mentre le retribuzioni lorde sono aumentate del 3,3%. In Germania la prima è aumentata del 21,1% e i secondi del 9,1%; in Francia del 33,6% e dell'8%. Se n'è accorta anche la Caritas Ambrosiana di Milano, che nelle province della sua Diocesi (Milano, Lodi e Varese) ha notato un crescente numero di italiani che riportano bisogni riferiti all'occupazione, al reddito e ai problemi abitativi. Per i sindacati manca in Italia una reale politica dell'occupazione. Chiara Saraceno, docente di Sociologia della famiglia all'Università di Torino, in un intervento su la Voce.info, mette in guardia contro la tendenza a "fare della via fiscale lo strumento principale sia di politica della famiglia sia di sostegno ai redditi più modesti". Quella che è invocata da più parti, a cominciare da don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, è dunque "un'assunzione generale di responsabilità". Tabella tratta da dati Eurispes del 2004 che segnala in percentuale il calo del potere d'acquisto nell'arco degli ultimi anni. Dal 2000 al 2001Dal 2000 al 2003Dirigenti- 2,8%- 7,7%Quadri- 2,7%- 5.5%Impiegati- 4,0%- 13,2%Operai- 3,7%- 9,2% L'Eurispes ha calcolato, in un'indagine del novembre 2004, che le spese di una famiglia italiana di quattro persone per i beni necessari ammontano mediamente a 3.044,12 euro al mese. Confrontando questo dato con le entrate di un nucleo familiare appartenete a diverse tipologie professionali emerge un deficit netto per cui in nessuno dei casi considerati la famiglia è in grado di coprire interamente le uscite. AttivitàSpese necessarie mensiliReddito mensile disponibileDifferenzaV.A.%Muratore e Cassiera3.044,122.482-562-18Professore e Maestra3.044,122.545-499-16Bancario e Commerciante3.044,122.765-279-9Dirigente e Universitaria3.044,122.610-434-14 (Paniere Eurispes Due paesi due misure) Rapporti Eurispes La precarietà nei rapporti di lavoro Il filo rosso della povertà Come spesso accade, sono le grandi città a risentire maggiormente dell'impoverimento generalizzato. Tre casi esemplari: Torino, Milano e Roma. Un unico filo che si srotola lungo la penisola, unendo tante storie diverse e numerose associazioni che cercano di tamponare una situazione in caduta libera. La Bartolomeo & C. opera soprattutto con i senza fissa dimora che orbitano attorno alla stazione torinese di Porta Nuova. Offre una mensa, corsi di formazione, sussidi, sanità, alloggi, vestiti, biglietti ferroviari, documenti e buoni doccia. Lo scorso anno ha registrato 5.220 passaggi, la maggior parte uomini disoccupati tra i 50 e i 60 anni. Ma sono in aumento le persone occupate (5,4%) e i pensionati (7,7%). Lia Varesio, coordinatrice dell'associazione, sottolinea il cambiamento: «Insieme ai senza fissa dimora, cui ci rivolgiamo da sempre, registriamo un crescente numero di pensionati, che ci contattano perché non hanno abbastanza soldi per comprare neanche l'olio. Da un paio d'anni, con la chiusura di molte ditte, è cresciuto il numero di quelli che finiscono oltre la soglia di povertà estrema e di conseguenza, spesso, iniziano a bere». Il trend delle richieste è in aumento anche nei centri d'ascolto della Caritas milanese. Da 12 mila utenti nel 2002 si è saliti ai 16 mila del 2004. Mary Salati, sociologa dell'Osservatorio Diocesano della povertà e delle risorse, nota che gli italiani sono paradossalmente diminuiti (1/3 del totale) «perché le code sono più lunghe e spesso si tratta di anziani; e perché non vogliono essere assimilati agli immigrati». Una caratteristica che accomuna i "nuovi poveri" è proprio la vergogna, il pudore, il tentativo di non omologarsi alle fasce tradizionalmente in difficoltà, come immigrati o senza fissa dimora. Paolo Ciani, della comunità di Sant'Egidio di Roma, racconta storie di padri e madri che chiedono di tenere nascosta la loro situazione ai figli, di persone che fingono di chiedere per conto di amici o conoscenti. Anche nel contesto romano alcune categorie sono in crescita: «Sono sempre più frequenti i nuclei familiari a basso reddito dove c'è un solo adulto che lavora, e gli anziani a cui la pensione non dà da vivere». L'utopia del reddito minimo Di tutti gli strumenti volti a combattere l'esclusione sociale e la povertà, il reddito minimo garantito, o "di cittadinanza", è quello che tuttora accende i maggiori entusiasmi. Nella sua accezione più ampia è inteso come "l'erogazione di una certa somma a scadenze regolari e perpetua in grado di garantire una vita dignitosa, indipendentemente dalla prestazione di vita effettuata", secondo la definizione di Andrea Fumagalli, docente di economia all'Università di Pavia e curatore del saggio Tute bianche: disoccupazione di massa e reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è insomma un diritto umano; che nel tempo si è ammantato di un'aura mitica. Ma in realtà altre varianti del concetto hanno goduto di un'analisi più approfondita: il reddito sociale minimo e il salario sociale.Rispetto all'universalismo del reddito di cittadinanza, entrambi i concetti pongono come discriminante la condizione professionale. Gli aventi diritto devono infatti essere iscritti alle liste di collocamento o essere disoccupati e/o precari. Nel caso del reddito sociale minimo si prende in considerazione anche il numero dei componenti del nucleo familiare. Negli altri paesi dell'Unione europea, a eccezione di Grecia e Spagna, questi strumenti operano già a un grado avanzato. In Olanda, dove il reddito minimo è stato istituito nel 1963, a ogni cittadino della fascia più bassa di reddito, oltre i 18 anni e alla comprovata ricerca di un lavoro, viene erogato un sussidio, più bonus per le spese sanitarie e le vacanze. L'esperienza italiana La variante francese, il reddito minimo d'inserimento (Rmi), attiva dall'88, offre un sussidio di disoccupazione e rimborsi per la sanità e la casa a tutti coloro che, superati i 25 anni, siano disposti a frequentare corsi di formazione e accettino qualunque lavoro sia loro offerto. Proprio all'esperienza d'oltralpe attingono i riformisti di casa nostra che, già nel '95, cominciano a vagliarne l'attuabilità in Italia. Nel '98 mettono a punto il disegno di legge approvato in Parlamento come Decreto legislativo 237, che definisce l'Rmi "una misura di contrasto della povertà e dell'esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della marginalità". Il Decreto fissa la soglia di povertà a 500 mila lire mensili per una persona che vive sola, escludendo la proprietà dell'abitazione principale.Così come concepito dal legislatore, l'Rmi non prevede solo un sussidio, ma una serie di programmi di formazione con lo scopo di garantire ai destinatari l'autonomia economica. Sotto l'egida del Ministero delle politiche sociali presieduto da Livia Turco, l'Rmi viene sperimentato in 39 comuni d'Italia. Il primo rapporto, nel 2001, ne mette in luce il sostanziale successo. A fine dicembre 2000, 25.591 nuclei familiari ricevono assistenza e oltre 37.000 individui rientrano in programmi di formazione. Nel Piano nazionale per l'inclusione sociale presentato a Bruxelles a giugno 2001, l'Rmi è indicato come buona pratica per contrastare la povertà e si sostiene la diffusione dell'esperienza pilota ad altre realtà nazionali. Le difficoltà tecniche sono individuate negli aspetti amministrativi e organizzativi, e nei canali di passaggio tra momento formativo e mercato del lavoro. Ci sono però aspetti incoraggianti: il recupero dell'autostima e la disponibilità a rimettersi in gioco. Un nuovo inizio in Campania ? Il 5 luglio 2002, la firma del Patto per l'Italia da parte del governo Berlusconi e Parti sociali accantona l'istituto dell'Rmi. Si delinea un nuovo strumento: il reddito di ultima istanza (Rui). Mentre la Finanziaria 2003 dà il colpo di grazia all'Rmi e il nuovo istituto sparisce dal progetto di legge finanziaria per il 2005, la regione Campania lavora sull'utopia: il reddito di cittadinanza. Dopo aver stanziato un fondo di 77 milioni di euro solo per il contributo finanziario, la Regione ha raccolto, tra novembre e dicembre 2004, ben 25.000 domande a Napoli e oltre 20.000 a Salerno. Lo scopo è garantire ad almeno 20.000 nuclei familiari residenti in Campania (cittadini immigrati compresi) un assegno di 350 euro mensili per 3 anni, più vari servizi pubblici gratuiti. A marzo saranno pubblicate le graduatorie. E allora, probabilmente, si riaprirà il dibattito italiano sul diritto universale al reddito.
  6. è già arrivato al secondo posto in classifica di immatricolazioni, con la vecchia yaris, figurati con la nuova.
  7. e da anni che la ragalano, ma il mercato non la vuole, cioè per chi lavora va più che bene.
  8. mamma mia, ragazzi come siete messi male!!!!
  9. le stesse storie che sento nei cantieri edili, muoiono sempre perchè cadono dall'impalcatura!!!
  10. Pazienza, l'importante che piaccia ame.
  11. io aaspetto le semestrali, che costano molto meno ed hanno un prezzo reale
  12. meglio la yaris, che è rimasta ancora una utilitaria
  13. si, chissà quanto costerà un 1.6 mj, già il 1.3mj da 90 cv costa uno sproposito!!
  14. vabbè, quando l'elettronica impazzisce, aspetti e basta
  15. dai forum, pagano gli amministratori e gli sganciano gli IP, basta denunciare i vari forum con la polizi postale, perchè la IP è come un documento personale
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