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loric

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  1. Dal puro e semplice cambio della ragione sociale dell'azienda non deriva l'applicazione del contratto a tutele crescenti e, quindi, della disciplina dei licenziamenti da Jobs Act.
  2. I miei dati sono solo miei e quindi non valgono nulla ai fini statistici. Pochissimi licenziamenti disciplinari, in gran parte per assenze ingiustificate, ma nel complesso una percentuale non superiore a quella degli anni scorsi. Non mi è ancora capitato un singolo licenziamento *disciplinare* di lavoratore a cui si applica la disciplina del Jobs Act. Neanche uno. Licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo, invece sì.
  3. Carissimo nonché illustrissimo, la disciplina sui licenziamenti individuali del Jobs Act si applica ai lavoratori assunti successivamente al 7/3/2015. Ripeto: SETTE MARZO DUEMILAQUINDICI. I lavoratori intervistati sono Domenico Rossi, che dichiara un'anzianità aziendale di 35 anni (ripeto: TRENTACINQUE ANNI) e Ettore Ambrosini, che invece dichiara un'anzianità aziendale di 28 anni (ripeto: VENTOTTO ANNI). Attraverso una complessissima formula matematica, risolta coi potenti mezzi informatici della NASA, è possibile concludere che entrambi i lavoratori sono stati assunti prima del 7/3/2015, quindi i loro licenziamenti sono stati gestiti con le vecchie regole. Detto questo, e per ricollegarmi alle statistiche più generali riportate nell'articolo, post Jobs Act, se dovessi inventarmi una ragione per licenziare un dipendente che mi sta sulle palle, punterei alla motivazione economica, perché quella disciplinare (giusta causa o giustificato motivo soggettivo), a differenza dell'altra, prevede ancora la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di insussistenza del fatto contestato. Quindi sì, è spazzatura. E sì, sapere queste cose è il mio lavoro. Cordiali saluti.
  4. No. Per dimetterti non basta più la classica lettera, quella con cui potevi anche toglierti qualche sassolino dalle scarpe sul tuo (ex) datore di lavoro. Devi passare attraverso il portale ClicLavoro. Questo richiede il rilascio di un PIN da parte dell'INPS. L'istituto ti rilascia metà del PIN al momento della registrazione, l'altra metà te la spedisce a casa per posta. Una volta ottenuto il PIN dall'INPS, ti colleghi alo portale ClicLavoro, ti registri anche lì e poi compili un modello che verrà mandato all'indirizzo di PEC o e-mail del datore di lavoro. Siccome la cosa richiedere tempo e sbattimento, molti se ne fregano. Sfanculano il datore di lavoro e non si presentano più in azienda. A quel punto il datore di lavoro, anche se sa che i lavoratore vuole dimettersi, deve considerarlo comunque in forza, stare buono qualche giorno, poi esperire la procedura di contestazione disciplinare prevista dall'art. 7 della L. 300/70 (Statuto dei lavoratori). Passati 15 o 20 giorni (i tempi tecnici per "accumulare" un certo numeri di giorni di assenza, contestarli per iscritto con raccomandata AR, attendere i 5 giorni in cui il lavoratore può astrattamente presentare difese), il datore di lavoro può finalmente far partire la lettera di licenziamento per giusta causa. Però, visto che è licenziamento e non dimissioni, deve pagare il ticket NASPI di licenziamento (che può arrivare a circa 1500 euro). Dopo tutto questo, il lavoratore prende anche la disoccupazione (sempre perché, formalmente, il rapporto di lavoro non si è concluso per dimissioni ma per licenziamento). E tutto questo casino per contrastare un fenomeno (dimissioni in bianco) già risolto dalla legge Fornero
  5. Allora, quell'articolo è praticamente spazzatura. A gran parte dei casi citati, il Jobs Act, nella parte sui licenziamenti, (ancora) non si applica. L'esplosione dei licenziamenti per ragioni disciplinari è causata *anche* dalla nuova meravigliosa procedura per le dimissioni partorita a fine 2015. Nata per contrastare un fenomeno ormai azzerato (dal 2012 esisteva già una legge contro le dimissioni in bianco, quella Fornero, con peso burocratico trascurabile), ha introdotto adempimenti demenziali a carico dei lavoratori dimissionari. I lavoratori, ovviamente, non sono interessati a sopportarne il peso. Il risultato è che il lavoratore molla l'azienda, non segue le procedure, il datore di lavoro non può considerarlo dimissionario, lo deve licenziare per abbandono del posto di lavoro e assenza ingiustificata (giusta causa). Come bonus, il lavoratore così licenziato percepisce la disoccupazione (NASPI) a cui invece non avrebbe avuto diritto in caso di dimissioni presentate secondo le nuove procedure. Geniale.
  6. Il fatto che ci siano paesi membri senza Euro, perché non sono mai (o ancora) entrati nella moneta unica non certo perché ne sono usciti, dimostra solo che noi e loro siamo in una posizione completamente diversa, indi per cui mi ripeto. Affinché l'Italia possa uscire dall'euro occorre: 1) convincere gli altri Stati membri a modificare il trattato istitutivo della UE oppure 2) attivare il famoso articolo 50 del trattato di Lisbona che consente ad uno Stato membro di liberarsi dagli obblighi derivanti dai trattati europei (compresi quelli relativi alla moneta unica), ma ciò presuppone l'uscita dalla UE.
  7. Oh, mi era sfuggita questa brillantissima obiezione. Il Regno Unito è uno Stato membro, ma non ha mai adottato l'euro. E non solo il Regno Unito, visto che nell'unione europea ci sono 28 Stati, ma solo 19 hanno la moneta unica. Regno Unito e Danimarca hanno ottenuto, in sede di negoziazione dei trattati, un'esplicita clausola di deroga che consente loro di non entrare nell'Eurozona. Per quanto riguarda gli altri Stati, i trattati prevedono l'ingresso nell'Eurozona una volta soddisfatti i parametri (SME-2 et similia). Poi è chiaro, uno Stato che non intenda entrare nell'Euro può decidere di non soddisfare quei parametri ed è formalmente tutto a posto. Ma tutti questi sono discorsi del menga, perché il punto è un altro: la strada dell'ingresso nell'Euro è a senso unico. Non è prevista alcuna procedura di uscita. Quindi esistono solo due strade: 1) convincere gli altri Stati membri a modificare il trattato istitutivo della UE 2) attivare il famoso articolo 50 del trattato di Lisbona che consente allo Stato membro di liberarsi dagli obblighi derivanti dai trattati europei, uscendo dalla UE.
  8. La correlazione coi film di Nicolas Cage è un evergreen e la mia preferita di quel sito. ?
  9. Quelle di Lapo? L'ultima volta che mi sono informato, andavano molto male.
  10. Io no, sono totalmente ignorante di calcio
  11. Cazzo, i grafici con correlazioni a minchia di scemarieconomici... Aspettiamo i deliri di Bagnai e l'uccello in mano di Paolo Barnard...
  12. Scusate, diamo a Cesare quel che è di Cesare. "Il debito pubblico non è mai il problema".
  13. Premetto che non è la mia materia, io sono un umile giurista, non uno scienziato economico ed esperto di trattati internazionali come voi (aspetto ancora di leggere l'elenco delle vostre pubblicazioni, anyways) Io ho detto che la monetizzazione del debito, attraverso la ridenominazione in lire di quello contratto in euro, sarebbe, in caso di forte svalutazione conseguente (peraltro svalutazione attesa e pure auspicata da quelli che "riprendiamoci la sovranità monetaria così possiamo stampare secondo necessità") equivalente ad un default. E trattata come tale a livello internazionale. Si parla, ovviamente, del debito oggi denominato in euro e non soggetto a legislazione estera. Quello contratto secondo legislazione estera risulta, ovviamente, intoccabile (salvo poi vedersi arrivare siluri a forma di paduro da tutte le parti). Ed il costo della svalutazione sarebbe scaricato interamente su di noi. Relativamente a questo specifico aspetto, se ricordo bene le statistiche, ci verrebbe incontro il fatto che si tratta di una percentuale quasi trascurabile sulla massa totale. Ritornando al discorso della denominazione del debito contratto in euro, giova ricordare che la situazione non è quello di uno Stato che si limita a cambiare la propria valuta interna con un'altra, sempre interna. L'euro continuerebbe ad esistere (plausibilmente) anche dopo la nostra uscita dalla moneta unica, per cui non è rilevante il caso dell'Inghilterra (erano sterline prima del referendum, restano sterline anche dopo il referendum e tali resteranno perfino dopo la conclusione della procedura dell'art. 50; ma se anche le ridenominassero stocazzo-coin non cambierebbe nulla). Il caso che prospettate voi sarebbe, per chi si trova all'esterno dell'Italia, equivalente a quello dello Stato che contrae debiti in dollari e un bel giorno decide di liquidarli in pizze di fango del Camerun. Limitatamente, ovviamente, a quelli regolati dalla propria legge nazionale. Ora è vero che tradizionalmente si dice che i default dei debiti sovrani non possono essere oggetto di azione di rivalsa. Ad uno Stato che fallisce non gli puoi pignorare la casa, il conto corrente, etc., ma la tendenza sta cambiando radicalmente e ciò fin dagli anni 70. Basti vedere il caso del default argentino del 2001, che è sfociato in un contenzioso enorme che ha fatto la storia. Proprio per questa ragione, dal 2013 i bond sovrani degli stati dell'Eurozona di durata superiore ai 12 mesi contengono delle collective action clauses (CACs) volte a limitare i potenziali rischi derivanti da tale contenzioso. Ora che ho nominato l'Argentina, l'obiezione che mi aspetto è "cazzi loro, avevano scelto come legislazione applicabile quella dello Stato di New York, la clausola di pari passu gli è esplosa in faccia per quello, a noi la cosa non ci tocca se non in misura estremamente marginale". La prima parte è vera. La seconda è formalmente vera, ma tutt'altro che scontata. Facciamo invece un caso diverso, quello della Grecia del 2012. Lì è mancato l'abracadabra della ridenominazione del debito che voi considerate il colpo di genio finalizzato a metterla in culo ai bondholders a loro insaputa. Nel 2012 la Grecia ha annunciato un haircut pari a poco più della metà del proprio debito pubblico, da spalmare fra tutti i creditori (principalmente banche europee) possessori di bond regolati dalla legge nazionale (i.e. della legge greca). Poiché quei bond erano stati emessi senza alcuna CACs, c'era il problema che qualsiasi singolo creditore dissenziente poteva agire nelle sedi opportune per pretendere il pagamento pieno del proprio credito, facendo saltare tutta l'operazione. Proprio perché si trattava di bond soggetti a legislazione greca, fu fatta una legge che, con effetti retroattivi, blindava il cetriolo per il 100% dei creditori qualora l'haircut fosse stato accettato dai soggetti rappresentanti più di due terzi della massa debitoria globale. Praticamente una CAC retroattiva. Il quorum fu raggiunto, e quel debito, così come rinegoziato, fu ridotto per tutti. Il debito emesso sotto legislazione estera (se ricordo bene Inglese) non fu toccato dall'haircut. Poi la vicenda greca ha visto il pesante intervento dell'IMF e della Troika che ha aiutato a mantenere la vicenda sotto controllo, a prezzo di un pesantissimo piano di ristrutturazione della spesa pubblica che poi è sfociato nella nota vicenda del referendum del 2015 che tutti conosciamo. La sostanza è che, da allora, il debito della Grecia ha un rating a livello di "nammerda" e si tiene in piedi con lo sputo (a prezzo di sacrifici pesanti della popolazione) grazie alla UE e all'IMF. Ma la morale è un'altra: la Grecia è uno Stato fallito. È formalmente vero che, legalmente, col debito regolato da legge nazionale puoi fare quello che ti pare (nel caso della Grecia, introdurre, nel senso anche di anal probe, una CAC retroattiva, nel caso da voi delineato di ridenominare il debito in lirette), ma il giochetto lo paghi caro e, soprattutto, ti riesce solo una volta. Perché la volta dopo il debito che emetti sotto legislazione nazionale non te lo compra neanche tua madre. Poi c'è un altro discorso: la Grecia, nonostante il debito pubblico alle stelle, ha potuto finanziarsi fino all'ultimo in modo abbastanza agevole grazie al fatto che è un membro della UE e dell'Eurozona. Chi comprava il suo debito pubblico, lo faceva anche perché riteneva (a torto, come evidente ex post) il quadro complessivo abbastanza sicuro. Ma qui si sostiene di voler uscire dall'Eurozona. Già solo questo avrà effetti dirompenti. E non solo sulla moneta. Poi oh, magari ho scritto cazzate, gli scienziati economici siete voi.
  14. Scusa, la sterlina ha ridenominato il debito emesso in valuta estera? No no l'ha fatto? Allora esempio inconferente.
  15. Ma infatti io non parlavo certo dei debiti emessi sotto legislazione estera, eh.
  16. Ecco, invece sul punto 1) qualcosa da dire ce l'avrei. E cioè che è una cazzata. Tu puoi anche ridenominare il debito, ma in base alle convenzioni internazionali, quando lo fai, se danneggi i creditori, sei di fatto uno Stato in default. E l'unico modo per uscire unilateralmente dall'Euro è uscire dalla UE. Auguri. Prima di darti ragione, vorrei vedere il tuo CV. Sei un economista? Quali sono le tue pubblicazioni?
  17. Scusatemi, io ho come abitudine quella di non emettere sentenze in materie che non padroneggio. E la macroeconomia è una di quelle. Però, quando leggo cose tipo "il debito pubblico non è mai un problema" o "ecco quello che i giornali non vi dicono" o documenti estratti da siti non proprio di specchiata trasparenza, mi si accende la spia rossa. That's it.
  18. Thread su economia e finanza o su teorie ggentiste?
  19. Il debito pubblico non è mai un problema? Vabbe', mi eclisso.
  20. Abbiamo iniziato col discuotere la minchiata fatta da Lapo e fra un po' arriviamo ad invocare la reintroduzione della pena di morte. Mi sembra un tantinello esagerato. Resta il fatto che, da umile maniscalco del diritto, non posso condividere neanche una parola. Lasciamo perdere l'obiezione che la funzione rieducativa della pena (i.e. la pena deve essere principalmente funzionale al reinserimento in società del reo) è sancita dalla nostra Costituzione, ma le "pene esemplari" semplicemente non funzionano. Poi, ogni volta che leggo che bisogna inculcare i valori civili e morali a colpi di codice penale, mi vengono i brividi, è il classico argomento che giustifica regimi repressivi e dittature.
  21. Credo che Lapo abbia tanto bisogno che qualcuno (famiglia, amici...) lo aiuti. Seriamente.
  22. In parole povere, il certificato è richiesto solo tramite connessione via https. Che non è supportata da Autopareri che è rimasto al buon vecchio http. C'è da dire che, di recente, la maggior parte dei browser privilegia la connessione via https (perché è sicura, la comunicazione è validata e criptata).
  23. Be', così è un po' difficile da dire. Come ti avevo segnalato tempo fa, autopareri.com ha un DNS secondario configurato male, restituisce SERVFAIL sul dominio di Autopareri.com. Ma quello non dovrebbe darti un errore di timeout. Dovresti provare a fare qualche test con tracert per escludere eventuali problemi di routing. Il forum non è accessibile via https ma solo via http.
  24. Impossibile che sia una Giulietta. Non risulta che vi siano restyling in previsione, tantomeno a breve
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