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ilario

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  1. ciao, solo perché con questa, che stavo vedendo per mio cugggino milanese, ti potresti divertire assai a ricostruirla come e meglio di quando era nuova, avendo una quasi storica interessante abbordabile e anche abbastanza usabile Auto usate: BMW, 318 AutoScout24 pagina di dettaglio Oppure questa, che forse avrà solo bisogno di una controllata, magari vedere le sospensioni. Mira: http://www.autoscout24.it/Details.aspx?id=210987428
  2. Minchia, capooo! M'hai risposto-lampo!? Ci provo, ed è anche il mio primo, se ci riesco, multiquote a un singolo commento. Allora, il reparto corse attuale: teniamo conto che prima parlavo, e parlo mò, di progettazione che sappiamo mica iniziare in fretta e furia quattro volte a ripensare tutta la moto tranne, forse, spero, il motore nella sua base già evoluta per un terzo circa. Si tratta, magari, di fare una scelta principale per il telaio e di capire se il tutto, dovendola guidare soprattutto Valentino e Nicky, poi alcuni altri (dopo o subito), ha un senso e un equilibrio. Se parliamo di Rossi, sappiamo pure come vuole di recente le moto, Honda a parte, che erano perfetta di loro, la 2t e le prime 4t, no? Non vuole una moto stabile perché lunga ma stabile perché la forcella non deve stare troppo in piedi. Ancora: di conseguenza, o in più, come vogliamo, gli va bene una moto più alta, sia perché ha le leve lunghe lui, sia ancora perché non la violenta come fa Stoner, che perché riesce a fare le sue staccate, con la forcella che, pur sotto trasferimento di masse, segue e trasmette bene la pista e le tue intenzionii: il momento dello stacca i freni buttati giù dentro. Fuori dalle curve è questione di masse: abbiamo tutti presente come guida Pedrosa e come esce, soprattutto, mica è uno staccatore, come non sono staccatori tanti altri. Raddrizza la moto, tu stai ancora più dentro, allunghi entrambe le braccia verso manubrio/serbatoio, la forza centrifuga dice che va bene e tu puoi aprire come ti pare. Detto così sembra facile. Vero? Dove sono i pistaioli-pastaroli .... Dannatio, Trucido, che altri non mi ricordo ? Poi magari diciamo come guidiamo noi pareristi o ex pilotini ... . Davvero, mi piacciono i Take That (!) e la loro filosofia organizzativa, non scherzavo (mi sa che lo devo specificare, ogni tanto ). In particolare potrete capire che (che palle ) ho apprezzato l'impostazione di base: in un gruppo selezionato dopo anni, lustri di gare ad alto livello, si è stabili, sostanzialmente a tempo indeterminato tutti, da anni, e questo, a detta del sig. Ronald o del fratello, non ricordo, porta a non disperdere risorse e conoscenze, a focalizzare bene la propria missione singola e comune, and so on ... Tutto ovvio, ma è sempre stato il solo team della Sbk a fare così. Faccio volentieri l'esempio, oltre che per le ovvie malattie ideologiche, perché ho visto tante squadre vincenti fare così, in tutti i campi, mica solo le corse. Così come ho visto tante altre squadre fare colà e magari funzionare. Se ci pensiamo anche Valentino e Burgess (come si scrive?) sono un bel gruppo vacanze Piemonte, abbastanza stabile da anni. Hanno vinto qualcosa, no? Tutti e parecchio. So che ora la Cbr-rona nordica non va e mi dispiace, senza essere Hondista ma riconoscendo sempre a Honda quello che è stata e che è. Kawasaki: certo, mi riferisco a quella di ora, finalmente. Credete, ho sofferto quando hanno lasciato la Gp, più che per la Suzuki. Il riferimento alla gestione telaistica e ciclistica svizzera, è il riferimento ai troppi anni senza impegno diretto, nei mondiali, nella sua interezza, essendosi affidata all'esterno per tutto tranne che i motori e l'elettronica. Questo a periodi ci ricordiamo essere stato un problemone: motori vecchi potenti e pesanti, grossi, difficili da posizionare e ciclistiche teoricamente spinte, ma senza soldi per le verifiche sperimentali. L'ultima volta dal vivo, una Misano di parecchi anni fa, le 750, in coppia per tutta la gara, poi le analoghe Gsxr e già c'erano le Vtr, con Haga e Edwards ad aggiudicarsi le frazioni. C'era pure l'Aprilia Rsv? Non mi ricordo. Brivio: scusami, parlo del Brivio Yamaha, che avrà avuto vita facile, con quel Valentino Rossi, ma l'ha saputo fare per diversi anni, il cavolo di direttore. Attualmente non so come va, forse proprio come dici tu, boss. Attitudini e allusioni: non l'ho messa in giro io la voce, al tempo. Però alcuni st...zi amici stretti del canguro sì, e pare che il malessere potesse essere anche quello. Mi rendo conto che ciò sia indelicato e soprattutto lo fu sulla stampa maligna (e questo fece incazzare ancora di più il rotolatore, che in pratica c'aveva colite e gastrite spastiche!, a quel punto). A parte questo, che oggettivamente non sappiamo se e come abbia influito, ho sempre pensato che il bel tenebroso (scherzo, eh ) fosse un grande comunicatore e uno che aveva conquistato la fiducia di Stoner, decisamente. Non ho davvero idea in merito alle altre competenze richieste per quel ruolo. Peraltro, se ne è andato prima di Stoner, chiamandolo poco dopo. Tutto liscio. Chiudo l'i.t. (iper-topic?) e mi scuso. Forse per un presuntuoso, ancora giovane - mica arzillo (manco Vittorio Gassman nelle migliori interpretazioni parodistiche e parossistiche), è difficile ammetterlo a se stessi o parlarne al microfono. Comunque, visto che non stava mica sclerando, era quasi sereno nel giudizio, c'avrà pensato. Grande questa sul koala pulitzer, me la presti?. Kevin Schvantz non si tocca! perché un mio coetaneo, anzi c'ha un anno e mezzo di più. Ha davvero ragione, praticamente in tutto. Quindi io direi che siamo d'accordo quasi su tutto, caro. O non ho capito niente. (mo devo una risposta a Nucarote da un altra parte, da oggi pomeriggio ...) Edit.: m'è riuscito il single-multi-quote, evviva! Scusate la lunghità
  3. Che sia il caso di suggerire all'Audi/Vw/bla, da qui, altrove o direttamente per chi può (io pocquievo troppo tempo fa), che un reparto corse è un reparto corse se gestito come i tempi (biblici di riprogettazione, biblici sul giro e in gara) comandano e raccomandano? Nel caso: - citofonare a Ken Take per le strategie organizzative, in generale; - citofonare a Kawasaki e non agli svizzeri precedenti, per la Sbk; - citofonare a Davide Brivio per evitare di sparare cazzate a vanvera o alla bel tenebroso, occhio blu, barba incolta, voce da doppiatore di Rex/Tex, mi ti fotto la mogliettina ...; - citofonare, semplicemente, perché se citofonando, io potessi dirti addio, io chiamereeeeiiiiiiiiii, se ..... (cit. adatt. music. non indov.)
  4. Modo ilare on/off: capisci Trucido, ci pensi se non dovessimo più sentire la catena di trasmissione finale perché la distribuzione è cannata, la carburazione l'ha fatta uno che pensa al profilo e alle basette, la frizione a secco, col coperchio, fa quel bel suono, e senza coperchio e con l'antisaltellamento sembra sbiellata, capisci? E poi, al solito, col pompone, diminuzione dei cavalli, aumento dell'ottimismo (!), alla Battle of Twins certe cose non succedono, perché al massimo sono 200 miglia, ma se spruzzi olio sul cordolo, pelando la quarta mentre dietro c'hai una Laverda e una Ghezzi, ché Rodorigo non ci viene o non ci viene più .... insomma, mica stiamo qui a raccontare desmocazzate nei palindromi. Ma comunque, potrebbe anche piacerci, in fondo, quel tintinnio non tanto diverso dal pompone-iniettorone. Modo boh on/off: per me ne riparliamo a frappè, a strategie eventualmente dichiarate e poi a strategie applicate, colle varie operatività. Delle corse è sufficiente quello che si sa già, con nonno Carletto e nipotino Formaggesco a farci ululare il sabato e la domenica.
  5. Avendo letto a suo tempo il libro-intervista di Pansa a Romiti, mi ha incuriosito quest'articolo da il corriere.it : NELL'INTERVISTA CON PAOLO MADRON LE MEMORIE DI UN PROTAGONISTA DELL'INDUSTRIA Romiti: il giorno in cui Berlusconi mi chiese di guidare il suo gruppo Lo scontro su Elkann tra gli Agnelli, quel colloquio Andreotti-Cuccia I libri-intervista spesso raccontano le vite degli altri, più che del protagonista. E anche in questo caso Cesare Romiti, rispondendo alle domande di Paolo Madron, narra, svela, cuce, ammicca, irride, critica e talvolta elogia, costruisce un ritratto individuale e collettivo della élite che con lui ha rappresentato e rappresenta la finanza e l'industria del nostro Paese. Personaggi e interpreti della Storia segreta del capitalismo italiano (Longanesi, pagine 288, 14,90, prefazione di Ferruccio de Bortoli) sono 210, fra imprenditori, banchieri, politici, giornalisti e anche qualche star dello spettacolo. Ma le figure chiave sono Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli. Non poteva essere altrimenti, così come ritrovare ai primi posti del cast Carlo De Benedetti, al quale lo stesso Romiti ha chiesto un testo introduttivo al libro, cogliendolo di sorpresa: poi però fra i «due nemici necessari», definizione dell'ex top manager della Fiat, l'accordo alla fine non si trova e lo scritto (pubblicato qui sotto) viene rifiutato. Del resto, come conclude l'Ingegnere, «la storia la si racconta, non la si cambia». Ventiquattro anni dopo il suo primo libro-intervista ( Questi anni alla Fiat, con Giampaolo Pansa), Romiti riserva questa volta tanto spazio alle storie degli altri, viste da così vicino che il binocolo della memoria e della interpretazione riesce a riservare non pochi inediti. Lui sa di avere l'esperienza e l'età per concedersi talune «rivelazioni», tanto è vero che nel suo testo conclusivo, nel quale invita «coloro che oggi hanno 20, 30, 40 anni» a «fare una rivoluzione pacifica» e a «creare una nuova classe dirigente», dice di essersi ispirato per l'intervista a Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo: «Sono le memorie fantastiche di ottantenne immaginario. Io invece, veramente ottuagenario, posso scrivere un libro frutto di alcune mie reali memorie». Così rispondendo a Madron, fondatore e direttore del quotidiano online «Lettera43», Romiti coglie diverse occasioni per affidargli episodi che prima non ha «mai raccontato». Uno dei quali riguarda Silvio Berlusconi, in politica secondo lui sottovalutato da Agnelli («era convinto che avrebbe avuto una vita effimera, che non sarebbe durato molto»), ma imprenditore il cui fiuto lo porta a fare un'offerta a Romiti mentre è ancora in Fiat: «Voleva che andassi a dirigere il suo gruppo». Romiti rifiuta. Ha «in mente di fare altro» e poi aggiunge: «Non credo che con un padrone accentratore come Berlusconi avrei avuto grandi margini di manovra». Agnelli invece «voleva occuparsi solo delle strategie». Verso Giovanni Agnelli Romiti descrive una «fedeltà assoluta». Che si manifesta in particolare anche ai tempi di Tangentopoli: «Io volevo innanzitutto difendere l'azienda e naturalmente l'Avvocato». Rivela quindi che sono stati i magistrati del pool di Mani Pulite a «suggerirgli» di scrivere la lettera-articolo sul «Corriere della Sera» nella quale il 24 aprile 1993 si rivolge agli industriali invitandoli a collaborare con i giudici. Lealtà che ritorna fra l'altro nella occasione della nomina di John Elkann a «erede» dell'Avvocato in Fiat. Umberto Agnelli, racconta, voleva per la designazione suo figlio Andrea e nel corso del consiglio dell'Accomandita, la «cassaforte» della famiglia, dice: «Gianni, tu ci hai convocato oggi per decidere la designazione di John. Voglio venga messo agli atti che è esclusivamente una tua decisione». Romiti ribatte: «Io dissi che era una convinzione di tutti i presenti. Umberto replicò: "No, caro Romiti, è una decisione dell'Avvocato"». Una sola cosa di Giovanni Agnelli, confessa Romiti, «un po'» lo aveva infastidito: l'attrazione che su di lui aveva esercitato De Benedetti per il suo carisma. Ed è Cuccia, con il suo carisma «che resta il migliore esempio della differenza fra autorevolezza e autoritarismo», ad attrarre Romiti dal loro primo incontro, «intorno al 1968». Ne descrive «la superiorità intellettuale e morale», ma lo definisce anche «machiavellico» e con una «proverbiale abilità nell'usare le persone senza guardare in faccia a nessuno». Tanto è vero per esempio che a Salvatore Ligresti non l'unisce amicizia ma «solo opportunismo. Che venne fuori ai tempi della privatizzazione di Mediobanca: l'operazione passò solo grazie ai buoni uffici di Ligresti, che aveva ottimi rapporti con Bettino Craxi». «Tutto per il bene della sua banca che considerava perno e strumento della ricostruzione del capitalismo italiano: voglio ricordare che Cuccia è morto povero». Romiti difende il banchiere anche sull'episodio che gli è costato più critiche, il mancato avviso a Giorgio Ambrosoli che Michele Sindona lo voleva uccidere. Romiti ripete che il banchiere «disse al suo avvocato di avvertire i magistrati». Ma su queste vicende tragiche un'altra è la rivelazione. Il manager racconta che Cuccia gli ha descritto un suo incontro con Giulio Andreotti: «Parlarono del più e del meno, poi a bruciapelo Andreotti gli chiese: "Ma lei crede veramente che io sia corresponsabile dell'uccisione di Ambrosoli?" Diciamo che dopo la risposta di Cuccia il colloquio terminò». Però non il fondatore di Mediobanca è stato, per Romiti, il miglior banchiere italiano, bensì Raffaele Mattioli, presidente di Comit. E a Madron che gli cita Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi, risponde così: «Bazoli è un avvocato che ha il grandissimo merito di aver salvato il Banco Ambrosiano. Ma non ha mai gestito la banca operativamente. E Geronzi nemmeno». Qui torna la «lente» di Cuccia, che «fu molto amareggiato quando vide che il marchio storico» della Comit «era scomparso dalla scena finanziaria». E che, sulla proposta di fondere Comit e Banca di Roma, poi non andata in porto «mi disse che non sapeva cosa ci fosse veramente dentro la Banca di Roma, e che temeva le conseguenze di quel matrimonio». Sergio Bocconi Romiti: il giorno in cui Berlusconi mi chiese di guidare il suo gruppo - Corriere.it Per la cronaca, nel libro di Pansa, Romiti narra che, a fine 1993, appena esternate dall'attuale ultimo ex premier alcune intenzioni di politica attiva, l'Avvocato rispose, più o meno: se vince vinciamo tutti, se perde perde lui.
  6. Grazie capo. Interessante quel Car Tycoon. Per la seconda, appena ho dieci minuti, ti mando il m.p.
  7. Più che spiegare, provo a proporre un paio di possibilità di gioco: 1) Ogni partecipante impersona un personaggio, di fantasia o esistente, del mondo dell'auto. Ad esempio le classiche funzioni apicali. Ma l'ambiente potrebbe essere benissimo una concessionaria del marchio vero o tarocco che vogliamo, e noi, per singoli o per gruppi, a ricoprire i diversi ruoli: imprenditore, capofficina, responsabile commerciale, magazziniere ricambi, etc. .. compresi clienti, fornitori, casa madre, bisarchisti, etc... Insomma giocoso, tipo i casi concreti o simulati in un corso presso una business-school. Meno pesante e con tempi più laschi, altrimenti diventiamo subito pazzi e non è il caso, stando qua soprattutto per svago e passione. 2) Siamo un'associazione di cittadini che si preoccupano per l'inquinamento cittadino da traffico motorizzato. Abbiamo un importante convegno da organizzare entro una certa data. Cerchiamo fondi, autorizzazioni e visibilità. Vogliamo coinvolgere studiosi ed esperti vari: urbanisti, ecologisti, addetti politici, funzionari pubblici. Tutto da sviluppare, individuando alcuni ruoli-chiave e interpretandoli. L'idea generale è forse proprio cretina: se me lo fate sapere non mi offendo. Oppure andiamo avanti con ogni altra proposta ...
  8. (Vogliamo fare qualche nuova app per l'm-phone? ) In topic: frustrazioni personali a parte, quella di cui stiamo parlando, nel settore specifico, non è che l'ultima follia, purtroppo. Anche Loric, come vedo, ne ha contezza, e forse non solo per questioni geografico-localistiche. Non vi tedio con alcune pazzie di qualche anno fa, tipo quella intorno alla questione borsa nazionale del lavoro, enti strumentali delle Regioni, CPI e loro ruolo ipotetico e di fatto agibile. @ Loric: posso permettermi di mandarti un m.p.? (perché forse conosciamo direttamente, professionalmente, diverse persone esperte di questo macro-ambiente.)
  9. In questo periodo, per quelle percorrenze e quell'uso, prenderei una 207 1.4 vti, pagandola 3.000 euro di meno di quanto l'ho pagata io con scontone per professionisti con partita iva (veniva 15.600, l'ho pagata 12.800 a novembre 2007). E' valida, sicura, robusta e si guida bene. Per 1.500 euro in più, dopo, puoi montare un ottimo impianto a gpl (come quello che voglio far montare io, il Lowato specifico). Comunque, a benzina, si riesce a farci i 13-14 km/l. in media (molta città). In viaggio è comoda, in montagna sale bene. Il minestroneeeee ......
  10. Buongiorno a tutti. Chiedo scusa se il precedente commento era già mio. Visto che si tratta di tutt'altra cosa, non Vertemati o aziende, spero di non commettere scorrettezze. Nel caso, invece, sposto altrove. Forse avevo aperto una discussione "Lavoro - legalità", ma non la trovo adesso. Mi hanno segnalato l'articolo che riporto, preso da "Il fatto quotidiano", se ho capito bene. Qualcuno ricorderà che ho lavorato per 9 anni, fino a settembre 2010, nel servizio pubblico dell'impiego, a livello locale. Capirete che sto ancora cercando di capacitarmi di quanto descritto in quest'articolo. Ci penso meglio e poi commento pure io, ovviamente. Ecco: La Fornero chiude un sito. Il delirio e la censura di Guido ScorzaE' un provvedimento di una gravità inaudita e senza precedenti quello con il quale il Ministro del Lavoro ha ordinato alla Direzione Provinciale del lavoro di Modena l'immediata chiusura del proprio sito internet."Al fine di garantire una rappresentazione uniforme delle informazioni istituzionali e con riferimento agli obblighi di trasparenza ed ai profili di comunicazione e pubblicazione delle informazioni di interesse collettivo anche per quanto attiene agli Uffici territoriali, si chiede alle SS.LL. di provvedere alla immediata chiusura del sito internet www.dplmodena.it".E' questo il contenuto della nota che il Segretario generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha indirizzato lo scorso 5 aprile all'ufficio territoriale del proprio Ministero.Un'iniziativa, quella del Ministro Fornero, politicamente inaccettabile e giuridicamente illegittima, sbagliata del metodo e nel merito.Cominciamo dal metodo.Quale che fosse il contenuto di talune delle pagine web – evidentemente invise al Ministro del lavoro – è evidente che nulla giustifica la chiusura di un intero sito internet per ottenerne la rimozione dallo spazio pubblico telematico. E' esattamente come chiudere un giornale a seguito della pubblicazione di un articolo che si ritiene – a torto o a ragione – diffamatorio. Anzi, peggio. E' come chiudere un ufficio pubblico perché uno dei dipendenti, funzionari o utenti che lo frequentano si è lasciato andare a qualche considerazione ritenuta inopportuna dal Ministro.Il sito internet della Direzione provinciale del lavoro di Modena, rendeva accessibili al pubblico – un pubblico di oltre 18 milioni di utenti – migliaia di informazioni e documenti preziosi per i cittadini che ne visitavano le pagine.Per convincersene è sufficiente visitare alcune delle pagine del sito ancora accessibili nonostante la censura ministeriale: notizie relative ai diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, informazioni e commenti relativi alla riforma del sistema pensionistico, pagine dedicate alle opportunità di lavoro per gli extra-comunitari o al rinnovo del permesso di soggiorno, solo per fare qualche esempio.Centinaia di migliaia di contenuti sui quali si è abbattuta la mannaia censorea del Ministro Fornero.Se la pubblicazione di taluni dei contenuti pubblicati sul sito era, davvero, illegittima – circostanza della quale è almeno lecito dubitare – il Ministero avrebbe potuto – a tutto voler concedere – dare al proprio ufficio indicazioni per la modifica o, a tutto voler concedere, per la rimozione.Ordinare la chiusura di un sito internet è un gesto dettato o da un delirio di onnipotenza di un Ministro – e/o di un suo dirigente – che ritiene, evidentemente, di essere padrone dell'informazione o da una tanto profonda ignoranza delle dinamiche di circolazione dell'informazione online da risultare grave almeno tanto l'ipotesi del delirio di onnipotenza.E veniamo al merito."Al fine di garantire una rappresentazione uniforme delle informazioni istituzionali e con riferimento agli obblighi di trasparenza ed ai profili di comunicazione e pubblicazione delle informazioni di interesse collettivo".E' questa la motivazione con la quale il Ministro del Lavoro ha disposto la chiusura del sito. E' uno scherzo? Un pesce d'aprile arrivato in ritardo?Se così non fosse saremmo dinanzi ad uno dei più gravi attentati alla libertà di informazione ad opera di un Governo dal ventennio fascista ad oggi. Un provvedimento che ben avrebbe potuto portare la firma del Ministro per la propaganda di Mussolini o di quello dell'informazione di Saddam Hussein."Rappresentazione uniforme delle informazioni istituzionali" è, infatti, solo una parafrasi per dire che il Ministro non gradisce la diffusione e pubblicazione di notizie ed informazioni difformi dalle proprie. Fuori dal linguaggio istituzionale, il Ministro sta dicendo che non ammette che sulle pagine di un sito ricollegabile – in senso lato – al proprio Ministero siano pubblicate critiche ed opinioni contrarie alla propria azione di governo ed al modo di presentarla unilateralmente prescelto dal Ministro e dal suo staff.E' un modo di guardare alla politica, al governo ed alla democrazia degno di un tiranno di altri tempi o del leader militare di una qualche dittatura anti-democratica: ci si sottrare al confronto, alla critica ed al dialogo a colpi di censura ed ordini di cancellazione di informazioni e contenuti sgraditi.E' questa l'idea di sviluppo sociale e democratico che guida l'azione del Ministro Fornero? E' urgente che il Premier chiarisca la sua posizione al riguardo, prenda le distanze dal gesto del suo Ministro e la inviti, senza ritardo, a rassegnare le sue dimissioni. Non c'è miracolo economico né riforma del sistema del lavoro – ammesso anche che il Governo dei professori stia lavorando bene per perseguire tali obiettivi – che abbia un senso, se il prezzo da pagare è quello di accettare di risvegliarci in un Paese meno democratico e meno libero di quello nel quale abbiamo vissuto sino qui.da Ilfattoquotidiano.it Mercoledì 11 Aprile 2012
  11. Della notte scorsa, tra i vari incubi (peperoni, cipolla, salsiccia, sarde, bruschette), l'unico flash piacevole è che l'Autobianchi stava comprando la divisione moto della Bayerische ... O era pure quello un incubo? Dannatiooooo
  12. Il posto adatto per divertirsi () a fare sorpassi a oltre 300 all'ora in moto. Avete mai letto un servizo accurato di qualche prova nell'anellone? Tipo quella di Motociclismo con la MV Agusta 1000 F312? Vi dico solo che per prendere gli ultimi 100-150 giri nell'ultimo rapporto e per vedere i 311 km/h effettivi, hanno seguito i consigli di esperti, come, ad esempio, scendere seccamente di corsia, guadagnando quei giri e fare aerodinamicamente di tutto per mantenerli, i giri motore.
  13. Sempre pronto, come dicevo, anche a disquisire di tecnica , chiarisco ulteriormente quanto già scritto ieri sera: ne gioverebbe anche lo spettacolo, perché, opinione personale, era sì bello e stupefacente, tecnicamente, che la Ducati partisse a razzo a un terzo del rettilineo e sverniciasse le altre moto, ma non bello a livello di spettacolo sportivo, visto che ricordo quanto fosse insensato, guarda caso per un Valentino Rossi o altri, dover rimontare ogni giro quanto facilmente perso nel rettilineo principale. Se il concetto non è chiaro o espresso chiaramente, prego di farmelo notare sonoramente! Magari mi riposo e ci riprovo. L'aerodinamica: conta come il resto. Ad esempio Max Biaggi, a parità di moto e carena e confrontandosi con piloti di altezza e peso simili, riesce ad essere più veloce di 5-10 km/h, perché sa come spalmarsi bene sulla moto, cosa appresa soprattutto in 125.
  14. Forse, credo, non c'è bisogno nemmeno di specificare, visto che ci si è già capiti, se si vuole. Comunque non l'avrò scritto bene, ma ovviamente conosco la "questione" giri, rapporti, velocità, se la /coppia-potenza regge, etc ..... E pure la "questione" Cx*S, conta, ma non c'entra, almeno qui, altrimenti c'entra tutto, sempre. Se poi vogliamo fare dell'accademia, piace anche a me e mi ci butto a bomba. Ripeto che l'elettronica potrebbe tranquillamente servire per limitare gli eccessi indesiderati di velocità, anche curva per curva, oltre che in rettilineo, sui singoli tracciati e anche in funzione della specifica aderenza del momento, come sappiamo. Quindi è facile in realtà capire a cosa stessi pensando. La prossima volta cercherò di spiegarmi meglio. E comunque conta solo Valentino Rossi!
  15. Già . (Non mi provocare colle Rotax, posso pure mordere . E pure le costose KTM, tranne forse ancora le classiche 450 da sparenduro o, come detto nei consigli a Brother, la 690, molto gustosa in tutte le versioni. Ieri ho visto un ragazzino colla 125 4t, carina ma insomma, una 125 4t). A casa ho parecchi mobili Ikea di 12 anni fa, nella zona studio. Componibilissimi, robusti anche dopo un trasloco, ottimi materiali e finiture superficiali, davvero. Alcuni, che mi avanzavano, li ho riciclati pure in camera di mia figlia, scaffali e scrivania angolare grande. Buone pure le poltrone in legno curvato coi poggiapiedi, come si chiamano, Poeng? Invecchiano bene. D'accordo quindi: la qualità è andata giù. Sono curioso di vedere il prossimo punto vendita qui da noi, se riescono a fare le selezioni!
  16. Dici che camuffare un impianto a metano e rovinarle la testa non è il caso, eh!? Come una 39enne coi capelli di Kelis?
  17. Per pura curiosità economica personale: da quando è cambiata radicalmente la qualità Ikea, o il rapporto qualità/prezzo? Ultimissimi anni o di piu?
  18. ilario

    fotografia digitale

    Scusate, dov'è la discussione sulla fotografia digitale? Intanto metto qua, ma credo vada spostato. Grazie Fotografia digitale: volevo condividere quest'articolo, del quale riporto introduzione e link al blog. Si può, vero? [h=1]FOTOCRAZIA[/h][h=2]EVOLUZIONI E RIVOLUZIONI NEL FUTURO, NEL PRESENTE E NEL PASSATO DEL FOTOGRAFICO[/h] di Michele Smargiassi 10 APR 2012 [h=1]L’entropia delle immagini[/h] Mail Stampa Pubblico qui il testo del mio intervento introduttivo alla tavola rotonda su “La condivisione delle fotografie ai tempi dei social network”, all’interno del secondo convegno sullo stato della fotografia in Italia tenutosi alla Fondazione Forma di Milano dal 23 al 25 marzo 2012. I podcast audio delle tavole rotonde sono già disponibili qui, mentre gli atti dell’intero convegno saranno presto disponibili in forma di e-book a cura di Forma e Contrasto editore. Devo fare un’ammissione che mi costa qualcosa: la rivoluzione digitale in fotografia esiste davvero. Mi costa perché in quel che da anni, nel mio piccolo, vado dicendo e scrivendo, ho sempre sostenuto che fra la fotografia analogica e quella numerica non c’è stato un cambio radicale di paradigma culturale, di “regime scopico” come dicono gli intellettuali, e da tempo cerco di smontare le interpretazioni “discontinuiste”, soprattutto quelle che vorrebbero dimostrare che, avendo sostituito i granulini coi numerini, la fotografia non è più capace di aiutarci a comprendere la realtà. Ma fatta l’ammissione, la correggo per metà. Il nome vero e completo di questa rivoluzione dovrebbe essere un altro: “rivoluzionedella condivisione e della disseminazione delle fotografie in Rete”. La tecnologia che sta alla base delle nuove modalità di captazione e di conservazione delle immagini, la possibilità di tradurle in una stringa numerica capace di viaggiare sulle autostrade telematiche, è solo la condizione tecnica necessaria ma non sufficiente di quel che sta accadendo alla fotografia e ne sta cambiando velocemente e profondamente la funzione nella società, nelle relazioni umane, nei meccanismi economici e culturali. Un cambiamento radicale che non è attribuibile alla tecnologia numerica più di quanto la bomba atomica non sia intestabile alla matematica. Senza matematica certamente non si poteva progettare la bomba atomica, ma nessuno storico sosterrebbe che sul cielo di Hiroshima sono esplosi logaritmi e radici quadrate. Quel che sta esplodendo nel cielo della fotografia è qualcosa che dipende essenzialmente dalla diffusione, disseminazione e condivisione immediata e ubiquitaria delle fotografie pubbliche e private resa possibile da Internet. Se qualcuno avesse inventato la fotografia digitale ma nessuno avesse inventato Internet, non avremmo proprio nessuna rivoluzione in corso. La fotografia è un sistema di produzione di segni, unico per le sue qualità nella storia dell’umanità; esiste ed ha senso solo in un sistema di relazioni e di scambi fra uomini. Robinson Crusoe non ha nessun interesse a fotografare. Quando il sistema di scambi e relazioni cambia, allora anche la fotografia diventa un’altra cosa, ed è quello che sta accadendo. Il primo è più evidente cambiamento sta nelle dimensioni della produzione e della condivisione di fotografie. Le cifre sono impressionanti. Le prime foto furono ammesse su Facebook nel 2005, erano già 5 miliardi l’anno dopo, erano 100 miliardi nel 2011, 170 all’ultima rilevazione che ho potuto consultare, e che sicuramente è già ampiamente superata. Del resto, sono in circolazione nel mondo 2,5 miliardi di fotocellulari, e se ciascuno di essi prende 150 foto all’anno (ma mia figlia è in grado di scattarne il doppio nel corso di una sola sera di festa con gli amici) fanno in totale più di un miliardo al giorno. La maggioranza delle quali è destinata a essere riversata in qualche modo in Rete. Ma i numeri non dicono tutto. Anche in era analogica in fondo si producevano miliardi di fotografie, e da mezzo secolo almeno si parla legittimamente di “fotografia di massa”. Era effettivamente di massa, la fotografia, perché milioni di persone nel mondo facevano fotografie. Ma se la pratica era di massa, i suoiprodotti non lo erano, giacché la maggioranza delle foto esisteva in una sola copia che veniva vista, prima di scomparire in qualche cassetto e di smarrire anche il negativo, da poche persone, poche decine se non poche unità. Solo ora anche le singole fotografie sono di massa. Almeno in potenza. Ora ogni singola immagine riversata nei social network della Rete può essere potenzialmente vista da milioni di persone. Che questo in realtà non accada per tutte non vuol dire molto, anche perché non siamo in grado di sapere, come utenti normali dei social network, quante persone davvero vedranno la nostra foto, e quale. Ma anche qui alcuni piccoli conteggi chiariscono la novità della condizione delle fotografie una volta immesse nel circuito della condivisione elettronica: se ogni utente di Facebook, come dicono le statistiche dei gestori, ha una media di 345 amici e ogni amico mette sul suo profilo una media di 282 fotografie, ciascuno di noi ha accesso immediato a oltre 97 mila foto, senza fare altro sfozzo che un clic dimouse. Retweet, rilanci, ricondivisioni, catene di passaggi fanno il resto, e sono in grado di portare le immagini che credevo di voler condividere solo con pochi amici a distanze per me impensabili, di sotto gli occhi di persone che non conosco e che non immagino neppure. Del resto, che anche la politica si sia accorta (vedi le foto di incontri politici riservati recentemente condivise via Twitter da Pierferdinando Casini e da un funzionario Cgil) di quanto sia facile avviare il meccanismo di diffusione virale, la dice lunga. La vera domanda che dobbiamo farci a questo punto, però, non riguarda più la meraviglia per queste dimensioni colossali e per la velocità della condivisione. Riguarda gli effetti quel che queste condizioni producono sullo statuto della fotografia come oggetto sociale. Di chi sono questi miliardi di fotografie? A chi appartengono, a chi servono, a cosa servono? Pensare che appartengano solo a chi le ha scattate è un’ingenuità. In qualche caso non appartengono più a loro neppure legalmente, ma al social network, anche se quasi nessuno lo sa. Ma gli stessi fotografanti sembrano rinunciare in partenza a rivendicare questa loro titolarità. Le fotografie versate a centinaia per volta nei siti delle comunità più generaliste spesso vi finiscono direttamente dal cellulare, senza lasciare un deposito in qualche memoria locale (pc, cd, hard disk), e vengono poi cancellate anche dalla memoria del dipsositivo di origine. Anzi, la pratica abituale è ormai quella di riversare tutto in Rete senza neppure selezionare, per poi guardare la prima volta le proprie immagini direttamente sul proprio profilo online, cioè quando sono già state irrevocabilmente proiettate “nella nuvola”. Del resto alcuni social network di ultimissima generazione, primo fra tutti Instagram, appenaacquisito a colpi di milioni di dollari da Facebook, si basano proprio sul principio del flusso diretto dal cellulare alla Rete. Certo, i social network non sono tutti uguali. Rispetto al “grado zero” della condivisione, rappresentato da Facebook, alcune comunità come Flickr si basano su un interesse più maturo verso la fotografia come strumento espressivo, e quindi attribuiscono più peso e valore alla singola immagine e al concetto di autore. Ma il meccanismo della condivisione e della disseminazione in assenza di relazione personale vale anche per loro. Ma se le immagini vegnono disseminate senza relazione, allora il vero potere sulle immagini, oggi, non sta più in chi le conserva come un deposito, ma in chi è in grado di mostrarle. Forse è proprio nei meccanismi di condivisione delle immagini che trova la sua verità il passaggio epocale descritto da Jeremy Rifkin, dall’era del possesso all’era dell’accesso. Quando diventa gigantesco lo scarto fra centinaia di miliardi di fotografie potenzialmente visibili ad ogni utente connesso a Internet e la possibilità concreta di questo utente di trovare le immagini che preferirebbe vedere, allora è evidente che il potere sulle immagini non è più in mano a chi le possiede, ma a chi ne governa il reperimento e l’accesso. Per questo motivo il modello “proprietario” immaginato da Bill Gates (monopolio tramite la tesaurizzazione) negli anni Novanta con Corbis è stato surclassato dal modello “gestionario” di Google (monopolio tramite la gestione). Per portare il ragionamento all’estremo, mi sento di affermare che la vera titolarità dei miliardi di fotografie condivise appartiene ormai sostanzialmente all’ “utilizzatore finale”, al quale vengono messe a disposizione dai canali di condivisione; le fotografie oggi appartengono veramente solo a chi le può vedere, scaricare, rielaborare, senza alcuna efficace restrizione. È questa dimensione che sfugge a chi continua a pensare che le regole del diritto d’autore, le restrizioni del copyright pensate per tutto un altro mondo di scambi, possano ancora essere operative nella dimensione del nuovo sharing. A dispetto di qualsiasi regola o legge vigente, le immagini condivise non sono solo crowd-produced ma soprattuttocrowd-owned. Allo stesso modo dobbiamo smettere di immaginare i repertori di immagini disponibili in Rete come una versione ipertrofica del modello del museo o dell’archivio tradizionali. Museo e archivio sono forme di deposito razionali e selettive, governate da gatekeeper consapevoli, che esercitano sul materiale loro affidato un potente lavoro di scelta: si sa che il mestiere vero dell’archivista è decidere cosa scartare (sempre molto di più di quel che si sceglie di conservare). I repertori in Rete sono tutt’altro. Sono serbatoi vulcanici privi di filtro da cui può eruttare un magma in grado di prendere ogni possibile forma e direzione, anche spontaneamente. L’esperimento condotto dal Cifa di Bibbiena con la mostra The Family of Flickr lo prova: applicando un celebre schema fotografico dell’era analogica, quello su cui fu costruita la mostra del secolo The Family of Man, al grande serbatoio di Flickr si sono ottenuti risultati opposti,semplicemente cambiando modalità di accesso. Quando la scelta è stata rigorosamente condotta “curatorialmente”, ovvero cercando le foto una per una con in mente criteri e modelli ben chiari, ne è uscita una riedizione aggiornata di TFoM, leggibile e coerente; quando invece ci si è affidati ai meccanismi automatici di ricerca di Flickr, buttandovi dentro come parole chiave i titoli delle sezioni della mostra di Steichen (nascita, amore, famiglia, lavoro…) e prendendo i primi cento risultati che uscivano, si è ottenuto un risultato completamente anarchico e caotico che è lo specchio fedele della condizione “selvaggia” della fotografia in Rete. Di fronte a tutto questo, è evidente che continuare a pensare alla singola fotografia come a un oggetto semantico autonomo, compiuto in sé, dotato di un senso individuale, è un errore che rischia di non farci più capire nulla di quel che sono le fotografie oggi. La perdita di peso e spessore di senso della singola immagine, la migrazione da deposito di memoria a flusso continuo ed effimero di proiezioni del sé, da opera a performance, da contenuto a veicolo, la rinuncia alla selezione all’origine, la riduzione del tempo di visione, la fungibilità, la ri-mediabilità, l’intercambiabilità quasi assoluta di ogni immagine con infinite altre: ecco l’esperienza che facciamo ogni giorno delle fotografie che produciamo e scambiamo in Rete. Ma se queste sono per noi le fotografie che riempiono gran parte della nostra vita, è difficile pensare che lo stesso atteggiamento non si trasferisca anche alle fotografie che consumiamo come spettatori passivi, alle fotografie più “pesanti” e intenzionate che che ci vengono sottoposte da soggetti pesanti, dai media, dalle istituzioni, dai poteri. Cioè le fotografie sulle quali continuiamo nonostante tutto a basare i nostri giudizi e a formarci le nostre opinioni e a prendere le nostre decisioni sul mondo, sulle persone, sulla politica, sulla vita. Costruire le nostre visioni del mondo su fotografie leggere, impermanenti, sottili, prive di contesto, ma alla cui “veridicitrà”, con schiozofrenica disponibilità, continuiamo a credere, è un rischio reale, molto forte, per la convivenza, per la cultura, vorrei dire per la democrazia. Come tutte le vere rivoluzioni tecniche, queola della condivisione è anche una rivoluzione nei rapporti sociali. Come tutte, anche questa è assieme opportunità, sfida e rischio. Vedo le opportunità, mi appassiona la sfida ma sottolineo i rischi perché preferisco la cautela critica alla tecno-euforia. Quel che è certo è che siamo a un cambio di paradigma paragonabile a quello descritto da McLuhan cinquant’nni fa esatti nella sua Galassia Gutenberg (che vi consiglio di rileggere: vi troverete alcune osservazioni profetiche sulle cose che stiamo dicendo). Credo che sia davvero il caso di parlare di un ecosistema delle immagini in mutazione velocissima, che come tutti gli ecosistemi si espande fino a un punto critico oltre il quale rischia di implodere, se non ci sono regolatori. Ma quali saranno i regolatori nell’ecosistema dell’immagine? Come fronteggiamo i rieschi, non inevitabili ma reali, dell’entropia del vedere? L’entropia delle immagini – Fotocrazia - Blog - Repubblica.it
  19. ilario

    L'evoluzione della guerra

    Infatti non ero sicuro, c'era questa discussione, grossa, ferma da un po'. Vedo, o chiedo, di spostare. Pure l'altro commento con l'articolo sulla Corea Del Nord. Che intendi con appena successo?
  20. E' mai stato fatto un gioco, per singoli o a squadre, qui sul forum, magari un gioco che sia una divertente parodia di quello che viviamo in generale e in particolare nel mondo dei nostri amati motori? "L'auto è il simbolo di tutte le aspettative di mobilità, velocità, individualismo, seduzione ..."Ugo Volli, docente di semiotica, da Quattroruote 04/12. Inizio io: E' possibile, per ognuno di noi o per la nostra squadra, scegliere il ruolo da interpretare. Camusso, Montezemolo, Marchionne, Ghosn, il signor General Motor, Alonso, insomma basta la fantasia. Poi simuliamo, aggiungiamo regole. Intanto vediamo: - gioco 1: faccio il concessionario o addirittura l'importatore o, meglio, io sono Mazda Italia spa. E provo a muovermi. - gioco 2: più complesso: quello dei tanti ruoli, delle tante situazioni.
  21. Non sono contento Gimmo. E' grave. Comunque si faccia una ricerca per te, ad esempio sul solito autoscout, viene fuori la cavolo di Fiat Coupé. Mi ha quasi stufato e convinto. Da guidare è bella Gimmo, pure la 1.8, davvero, e tira sempre, anche sui tornati in montagna. Però la linea, pur azzeccata e originale, non mi convince. Però io cerco una certa eleganza, secondo me. Cos'è per te l'eleganza? http://www.autoscout24.it/Details.aspx?id=212723328 Pure questa è bella che elegante.
  22. Complimenti. La Vertemati è roba da intenditori, da puristi. Azienda piccola che può faticare a trovare la quadra tra qualità e prezzi praticati, come è stato per anni per quelle belle mono 4t. Dev'essere anche un bell'ambiente, ho letto. Quanto è grande ora?
  23. Ricordo solo la 4 porte e qualche coupé. La 5 porte no, era per altri mercati, credo. Forse si poteva ordinare. Signora macchina, all'epoca, non da urlo, col v6 mi piacerebbe pure mò.
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