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I raid di Gente Motori - N.9 - Fiat Ritmo "TransAmazzonica '80"
nella discussione ha aggiunto PaoloGTC in Auto Epoca
TRANSAMAZZONICA '80 Di Gianni Marin Hanno collaborato Carlo Massagrande (rilevazioni tecniche) Bruna Marin (parte turistico-illustrativa) Vanni Belli (servizi fotografici) Un'ora qualsiasi, di un giorno qualsiasi, di una settimana qualsiasi. Anche per me è l'ora del passeggio; quello che al sud si chiama “struscio” e qui, a Milano, si dice “andar per compere”. È il solito cabotaggio del sabato: i dischi, i dolci della domenica, la ricerca di qualche buon film. La zona è la stessa: corso Venezia, piazza San Babila, corso Vittorio Emanuele, via Montenapoleone. E tutte le viuzze interne della “Milano-bene”, fra cui via della Spiga che sfocia in corso Venezia. All'angolo una importante agenzia di viaggi. In una delle vetrine uno stupendo manifesto pubblicitario. È un invito a visitare il Brasile attraverso una fotografia aerea d'effetto. Una specie di serpente di terra rossa che si snoda senza testa e senza coda all'infinito, in una verde distesa di foresta. Sembra quasi che un colpo di spada abbia squarciato, mettendole a nudo, le viscere rosseggianti della natura. I miei viaggi nascono tutti da stati emotivi ed era quindi logico che una fotografia del genere scatenasse la mia fantasia. Con i raid di Gente Motori abbiamo percorso un po' tutte le strade d'America, ma erano state avventure abbastanza semplici, faticose fin che si vuole, ma tutte condotte a termine in ambienti sufficientemente progrediti e civilizzati. Ma l'Amazzonia, proprio a questa regione del Brasile si riferiva la fotografia che ho descritto più sopra, era una cosa nuova, già psicologicamente carica di avventure, piena di leggende e di fantasie, “vista” solo sui libri dei grandi viaggi, ancora misteriosa benché l'uomo sia ormai giunto quasi alla boa del ventesimo secolo. Dovevo andarci con la mia solita équipe; pochissime persone affiatate, addestrate, pronte a sacrificarsi in ore e ore estenuanti di guida, pronte a reprimere gli inevitabili momenti di ira e di scoramento, quando cala la sera e si fa sentire il sonno ma non ci si può fermare, quando lo stomaco reclama il cibo ma bisogna continuare, quando si ha sete ma l'acqua pulita è finita e non ci si può fidare di quella che l'ambiente offre. L'Amazzonia si, ma quale strada scegliere? Con quali automobili andarci? In quale periodo? Cerco notizie sulla Transamazzonica, la “BR 406”, la prima grande arteria i cui lavori hanno avuto inizio nel settembre del 1970. Essa “avrebbe” dovuto collegare l'oceano Atlantico al Pacifico, unire Joao Pessoa e Recife a Rio Branco e Cruzeiro do Sul (poste ai confini con il Perù e la Bolivia) per poi proseguire in territorio peruviano. Cinquemilacinquecento chilometri complessivamente, di cui 3300 nella foresta amazzonica. Un'opera che ha richiesto la costruzione di oltre duecento ponti e che è costata qualche cosa come trecento miliardi di lire italiane. Della Transamazzonica in Europa si è favoleggiato. Si è parlato come di un'impresa titanica, di zone nuove aperte allo sfruttamento minerario, agricolo e industriale, di popolazioni tolte da un millenario abbandono. Ebbene: di quei 3300 chilometri di lavoro sovrumano, dove il lavoro nel periodo secco (da ottobre a febbraio) avveniva senza soste, ventiquattro ore su ventiquattro, dove in più punti è stato necessario stendere chilometri e chilometri di fogli in plastica per proteggere il fondo dall'erosione delle piogge, dove gli uomini addetti ai lavori hanno dovuto affrontare (e molti ci hanno rimesso la pelle) il pericolo delle malattie tropicali, il tormento degli insetti, gli attacchi degli animali feroci, l'ostilità degli “indios”: ebbene dicevo, di questi 3300 chilometri ormai terminati oggi ne “sopravvivono” soltanto duecento. È stata la grande rivincita della natura. L'uomo l'ha violentata, l'ha mutilata, ha tentato di cambiarne il ciclo e il corso, ma la natura è più forte dell'uomo: ha fortificato le radici dei grandi alberi che sprofondate nell'humus sono riemerse sul nastro stradale sconvolgendolo mentre i rami, le liane, le “barbe” della foresta tropicale invadevano tutto, cancellavano, riconquistavano quel posto che dal momento della creazione era stato loro. Il sogno del tecnico tedesco Friedrich Hopke (era alle dipendenze del Dipartimento stradale del Parà) che aveva vagheggiato una grande via di comunicazione che unisse gli estremi navigabili dei grandi affluenti di destra al Rio delle Amazzoni è così miseramente naufragato, assieme a quello di unire anche il Nord est arido e sovraffollato all'Amazzonia, ricca di acqua e scarsamente popolata. Scartata la Transamazzonica classica, dovevo cercare un'altra strada nell'ambito di quel programma, in parte molto utopistico, varato dal SUDAM, che prevedeva di costruire complessivamente oltre dodicimila chilometri di strada che avrebbero dovuto tagliare l'Amazzonia in senso longitudinale e verticale. Una di queste, realizzata da reparti dell'esercito “dovrebbe” congiungere Manaus a Santa Elena de Uaren, posto di confine fra Brasile e Venezuela. Ho scritto “dovrebbe”, poi vi spiegherò perché Si tratta insomma di una Transamazzonica nord-sud e viceversa che prosegue poi in territorio venezuelano. Il tratto venezuelano è stato tracciato dal “battaglione di ingegneria” comandato dal generale Joan Kavanang Ilaramendi di origine inglese nei lontani anni '58-'59. Lavori più seri sono stati poi compiuti nel 1972 dall'allora comandante del “battaglione di ingegneria”, tenente colonnello Cajigal, attualmente promosso generale. Ed ecco perché ho scritto “dovrebbe”. In effetti, e scrivendo questo anticipo un po' le notizie successive, ma ciò è necessario per meglio inquadrare il raid di Gente Motori, il tratto brasiliano non esiste come strada vera e propria come la si intende all'europea, mentre quello venezuelano da El Dorado (ultima prigione di Henri Charrière, l'autore di “Papillon”) è un tratturo, interrotto in più punti, quasi cancellato dalle torrenziali acque equatoriali, franato in più punti, regno sovrano di animali, foreste ed eventi naturali. Ma chi vi racconta questa storia sapeva ben poco di tutto questo. In testa avevo soltanto la foto dell'agenzia turistica vista a Milano e il richiamo di un mondo sconosciuto, tutto da scoprire. Forse una reazione naturale al mondo dei motori al quale quotidianamente mi dedico. Ebbene, vista l'impossibilità di percorrere la Transamazzonica in senso longitudinale, ho deciso di puntare su quella nord-sud prendendo come “capolinea” di partenza Caracas capitale del Venezuela, e come stazione di arrivo in Brasile il capoluogo dell'Amazzonia: Manaus. Rimaneva il problema di scegliere le automobili. Caracas Ho preso in esame i modelli delle varie Case e, senza sciovinismo da parte mia e del giornale che dirigo, ho deciso di puntare ancora una volta sulla Fiat Ritmo nella versione “65” con motore di 1300 centimetri cubici di cilindrata, lo stesso modello cioè che avevo utilizzato per il raid “Montreal-Miami” degli inizi del 1979. E ciò avveniva con uno scopo ben preciso. Come i lettori ricorderanno, allora vennero superate condizioni meteorologiche infernali che avevano raggiunto il loro culmine nei trentacinque gradi sotto lo zero e nella bufera di neve (da vent'anni non se ne verificava una di simile) da Washington in giù, nel Nord Carolina, nel Sud Carolina, nella Georgia. Andando in un Paese come l'Amazzonia avevamo la possibilità di sfruttare condizioni ambientali completamente opposte, temperature che già sulla carta si annunciavano di ben quaranta-quarantacinque gradi sopra lo zero, la possibilità di incontrare i famosi acquazzoni violentissimi dell'Equatore e a cui si poteva aggiungere, in contrapposizione alle veloci autostrade canadesi, il tormento rappresentato da strade in terra battuta (e che credevo fossero soltanto tali), quindi tanta polvere e molti sassi. Da tutto questo poteva quindi nascere un confronto estremamente interessante e un giudizio su di una vettura che, nata con i galloni dell''Auto anni '80', ha avuto un avvio difficile, almeno sul mercato italiano. Ho scelto dalla produzione normale due Fiat Ritmo nell'ultima versione, cioè quelle già dotate di servofreno e di ventilatore centrifugo che assicura un maggior silenzio e una maggiore portata d'aria. Vi ho fatto apportare qualche leggera modifica; piccole cose, mentre tante altre che sarebbero state necessarie date le condizioni delle strade sono rimaste soltanto nel regno dei sogni e dei desideri. Ho fatto sostituire le molle anteriori delle sospensioni, facendo montare quelle delle Ritmo 75 con cambio automatico, vettura che essendo più pesante ha richiesto questa modifica. Le due “Ritmo Amazzonia” (così le ho battezzate) erano più alte di circa due centimetri. È stato anche aumentato lo spessore del tampone in gomma degli ammortizzatori (ad anello interno) in modo da guadagnare in altezza circa 25 millimetri. Due sole le protezioni vere e proprie: una anteriore, una specie di slitta in alluminio dello spessore di cinque millimetri che difendeva motore, cambio e parte delle sospensioni (era stata ancorata alla traversa anteriore e alla scocca); una posteriore in lamiera d'acciaio con interposto materiale isolante del tipo Septun. Per le gomme avevamo ancora una volta optato per i Pirelli P3 tubeless ma con camera d'aria aggiunta per evitare l'afflosciamento del pneumatico in caso di buche e quindi urti e ammaccature del cerchione. Misura 165/70 SR 13, cioè più larghi dei 145 SR 13. Il diametro dei due tipi di pneumatici è uguale, ma essendo più larga la superficie d'appoggio, il peso veniva meglio ripartito e si guadagnava naturalmente in tenuta di strada. In conclusione posso dire che per le auto si è trattato più di una messa a punto che di una preparazione tipo “Sahara” o fuoristrada, mentre per le gomme ci si è avvalsi ancora una volta di un modello qualsiasi, montato normalmente in serie, mentre, giudicando con il senno di poi, molto più opportune sarebbero state le gomme del tipo tassellato. La Publimais di Torino ha provveduto come al solito ad “addobbare” con le nostre scritte le due Ritmo 65, che se ne sono partite via mare, per Caracas, punto di partenza della “Transamazzonica '80”, il nuovo raid di Gente Motori. Caracas Venti e più giorni di viaggio e poi lo sbarco a Caracas con il quasi contemporaneo arrivo dei quattro avventurosi, entusiasti, ben preparati fisicamente e psichicamente ma ingenui, perché nessuno di essi conosceva esattamente lo stato delle strade. Una situazione che si sarebbe rinnovata continuamente, perché chiedere informazioni agli abitanti sulle condizioni delle strade è sempre stato perfettamente inutile. Le risposte erano tutte fantasiose, approssimative e il più delle volte, anche per gli abitanti delle zone attraversate, soltanto “per sentito dire”. A Caracas “consiglio di guerra”. Dobbiamo stabilire le tappe, tenendo presenti i pochi centri abitati che dovremo attraversare e le condizioni ambientali con autentici pericoli per la nostra incolumità. Come, ad esempio, l'attraversamento della riserva degli indios Waimiri Abonari, 325 chilometri prima di Manaus, per una lunghezza di 120 chilometri, tuttora selvaggi e il cui ingresso e uscita sono piantonati da reparti dell'esercito che intervengono nel caso in cui questi rischiosi 120 chilometri non vengano percorsi in un tempo ragionevole. Normalmente le auto vengono fatte marciare in colonna e viaggiano a finestrini completamente chiusi. Gli indios Waimiri Abonari hanno già “fatto fuori” non meno di trecento bianchi che si erano azzardati ad attraversare la zona. L'ultimo, mi raccontavano, in un modo piuttosto originale: costringendolo a mangiare una banana dietro l'altra. È morto per ingozzamento e asfissia. Cinque le tappe presumibili: da Caracas a Porto Ordaz, da Porto Ordaz a La Clarita (Les Clarines), da La Clarita (Les Clarines) a Santa Elena de Uaren, punto di confine fra Venezuela e Brasile, da Santa Elena de Uaren a Boa Vista e infine da Boa Vista a Manaus, una tappa lunghissima quest'ultima di oltre ottocento chilometri che ci costringerà a rimanere al volante per quindici ore e cinquantatré minuti primi, su di un tracciato impossibile anche alle capre ma su cui, a parte gli indios già citati, non esiste praticamente alcun villaggio con le caratteristiche per essere definito tale che ci consentisse una sosta con un minimo margine di sicurezza. Caracas: dalla capitale del Venezuela ha avuto inizio l'avventura amazzonica dei nostri quattro inviati sorretti dalla forza più grande, quella dell'incoscienza. È la metropoli che ha visto muovere i nostri primi passi con le due Ritmo 65 che avevamo trovato in ottimo stato dopo circa un mese di traversata atlantica. C'era un solo neo: erano state rubate le radio per le comunicazioni dirette che montiamo sempre per evitare di perderci. Le abbiamo ricomperate: poco male. Tutto il resto è a posto e Carlo Massagrande inizia il suo doppio lavoro: pilota dell'auto color rosso dall'inizio alla fine, nonché rilevatore di dati, di situazioni, di appunti tecnici. Con una meticolosità impressionante. I suoi primi rilievi sono: i pieni di carburante, la pressione delle gomme, il funzionamento delle radio, la temperatura esterna, il grado di umidità atmosferico, ecc. ecc. Proseguirà poi con lo stato delle strade, i tempi di percorrenza, le ore di sosta per foto e altro, le medie, le distanze da... e via dicendo. Con lui viaggerà Vanni Belli, un'habitué paziente e preciso di queste nostre avventure; con me mia moglie, alla quale è affidata la contabilità, la dispensa di bordo, le annotazioni di viaggio su cui poi nasceranno le didascalie delle fotografie e queste mie note. Caracas Dedichiamo due giorni alla parte fotografica di Caracas, capitale di questo immenso paese che compre una superficie di 912.000 chilometri quadrati ma sul quale abitano soltanto dieci milioni e mezzo di persone. Caracas, con i suoi due milioni di abitanti è una città allucinante. Nata dalle rovine di due terremoti, quello del 1755 e quello del 1812, Caracas è diventata una megalopoli. È stato costruito un aeroporto ai bordi del Mar dei Caraibi, che però è stato quasi subito distrutto per lasciar posto ad un altro, fantascientifico. Sono stati abbattuti dei grattacieli per costruirne altri ancora più alti, è stato realizzato nel cuore della città il Centro Bolivar, due grattacieli gemelli uniti da un vastissimo fabbricato adibito a uffici sotto il quale scorre l'Avenida Bolivar. Il centro storico, quello del passeggio, delle boutique, dei negozi denominato Saban Grande, non esiste quasi più: è stato smantellato per lasciar posto ad altre strade e ad altri grattacieli. Le strade sopraelevate che si intersecano, si avviluppano l'una con l'altra non si contano. Dall'Hotel Tamanaco, dove alloggiavamo nei giorni di sosta, giunge un continuo rumore di automobili. Sono migliaia, decine di migliaia di vetture continuamente in movimento a qualsiasi ora del giorno e della notte. D'altronde il problema del prezzo della benzina non esiste: la normale dal bassissimo numero di ottani (60/65) costa 30,26 lire al litro; quella Super 69,30 lire al litro. Il gasolio ha un prezzo medio di 42,75 lire al litro. È la civiltà del petrolio in tutta la sua esplosione, dato che non bisogna dimenticare che la massima ricchezza venezuelana è costituita proprio dal petrolio con 116.820.000 tonnellate estratte (ultimo dato ufficiale) nel 1977, che pongono il Venezuela al quinto posto fra i grandi Paesi petroliferi. Esso viene estratto dai bacini di Maracaibo, Falcòn, Barinas e Maturìn. Ma di fronte a questa esplosione di ricchezza non bisogna rimanere abbagliati. Bisogna vedere anche l'altra faccia di questa città. Caracas - Ai confini della civiltà Quella delle “bidonville”, le stesse che si trovano a Rio de Janeiro e in altri Paesi sudamericani dove vengono chiamate “favelas” e che qui in Venezuela sono battezzate “los barrios”. Quello di Sabana Grande è immenso. Se lo si osserva dal basso sembra un fitto grappolo di case lassù sulla collina: di giorno mostra tanti buchi neri al posto delle finestre, di notte è un luccichio di tanti lumini traballanti. Perché a Sabana Grande come negli altri “barrios” la luce elettrica non esiste, come non esistono l'acqua e i servizi igienici. È questo contrasto tra i grattacieli di Caracas moderna e la povertà dei “barrios” che lascia tutti perplessi. Ma il viaggio sta per cominciare. È ora di iniziare a raccontarvi la nostra avventura e quella delle due Ritmo 65. Fine prima parte- 11 risposte
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Però però... (considerazione profonda della notte del primo dell'anno) ... lo sforzo si poteva fare. Anche perchè l'intenzione era quella di proporre una berlina di classe nel settore delle medie. Lo specchio destro era uno di quegli accessori che si potevano offrire di serie, anzichè lasciarli a richiesta come sulla sorella popolare Tempra che sarebbe arrivata in seguito. Ho ritrovato la cifra di 54.000 Lire anche nell'elenco accessori/optional pubblicato da 4R nella prova su strada (fascicolo di Maggio 1989). Il test riguarda l'allora top di gamma, la 2.0 i.e., ma l'elenco mostra tutte le versioni. Dalla 1.6 alla 2.0, Tds compresa. Lo specchio destro è a richiesta su tutte, e per la 2.0 parliamo di un prezzo di 25.113.000 Lire. So che la sto facendo un po' semplice ad esprimere questo pensiero... ma mi chiedo se su una vettura con prezzi che andavano da 20 a 25 milioni non fosse possibile inserirlo negli accessori di serie questo specchio. Mica intendo gratis eh... il ragionamento è: anche facendolo pagare al cliente tanto come l'optional, caricando cioè 54.000 Lire sul prezzo finale di tutti i modelli.... qualcuno avrebbe per caso rinunciato leggendo (per la 2.0 i.e.) un prezzo di 25.167.000 anzichè 25.113.000? "Ehh.. no, rinuncio, troppo cara a 25 e 160... fosse stata sui 25 e 110...." Ma dai non ci avrebbe fatto caso nessuno. Sarà stata la gran voglia di mettersi sul piano di Mercedes, che del 190 ti faceva pagare anche l'ombra sull'asfalto. Lo dico anche perchè sullo stesso 4R da cui ho estrapolato questa manciata di info c'è un confronto fra tre medie del segmento C. Una "C" vera e propria, e due derivati a 4 porte. La Renault 19 TSE, la belliFFima Ford Orion 1.4 Ghia e la efficientiFFima Opel Kadett 1.3 GL 4 porte (col suo milletrè che era un gioiellino vivace e che mangiava come un passerotto.... le Opel con la "O"). Tutte avevano due specchi di serie. La Orion addirittura metteva sul piatto la regolazione elettrica del destro, compresa nel prezzo. La Renault costava 16.899.000 Lire. La Ford 16.154.000 Lire. La Opel 17.018.000 Lire. Va da sè che era un dettaglio, ma con in giro tre auto come quelle qui sopra (prese giusto come esempio, ce ne saranno state altre), era più pietoso l'effetto di una Dedra con uno specchio solo e fastidiosa per il cliente la scoperta di doverlo pagare a parte, che rischioso l'aumento a tavolino di 50 mila lire sui prezzi di listino. Poi probabilmente non ci avrà mai fatto caso nessuno... in fondo son profondi ragionamenti della notte del primo dell'anno p.s. totalmente OT, ma non riesco a star zitto Oh ma la Ford a quei tempi, con gli assetti.... eh? Stabilità: Kadett 4 stelle, 19 4 stelle, Orion 2 stelle "Problematica. Rilasciando in curva, le variazioni di assetto provocano forti spinte su retrotreno che possono innescare fenomeni di perdita di aderenza poco prevedibili. Reazioni evidenti e impegnative in condizioni di emergenza." Se non sbaglio anche Fiesta, Sierra e Scorpio non erano dei gioielli. Come.... cioè, non riesco a capire... ma le altre auto non le provavano in Ford? Mah... Vabbè, chiudo OT immediatamente e torno alle Dedra in prova. Eh sì, perchè abbiamo "presentato" la versione standard, ma di roba ne girò ancora in seguito, o sbaglio? Vediamo infatti qui una Turbo (o Integrale, chi può dirlo?) in configurazione "zozzona". (con uno specchio solo )
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Ancora un paio da Auto Oggi. La prima immagine faceva coppia con quella di un'interno della Uno restyling, in un piccolo servizio intitolato (più o meno... vado a memoria) "Abbiamo scoperto i posti guida di due importanti novità italiane". La seconda invece... beh ormai era ora di lasciarla andare, quindi la parcheggiavano anche in posti in cui poteva essere vista da chiunque. Bisogna ricordare però che queste foto del posteriore facevano ancora un certo effetto in quel periodo. Il Gruppo infatti aveva presentato ufficialmente la Dedra (e lo stesso fece poi per la Tempra) con UNA sola fotografia, di tre quarti anteriore. Il posteriore non si vedeva. Ovviamente fu cosa di breve durata, perchè molto presto l'intero "book" della Dedra fu su tutte le riviste, ma ci fu un lasso di tempo in cui chi non aveva seguito le anteprime si chiedeva "si ma dietro??" p.s. tre fotine riguardo il rapido cambio di livrea permesso dalla vernice... anti-radar Siamo su Tempra, quindi OT, è solo per fare un esempio. La Dedra ormai ha finito di nascondersi. Con queste pagine che mostrano una vettura di produzione (o pre-produzione) durante un test, Quattroruote (aprile 1989) pone la parola fine a quasi tre anni di caccia. Il mese successivo la Dedra sarà protagonista in copertina e oggetto di prova su strada.
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Passa qualche settimana, e durante l'ultimo inverno di collaudi (1988-1989) la Dedra è nuovamente preda dei fotografi amatoriali/lettori di Auto Oggi. Un altro milione va via per la "Caccia al prototipo". Ormai rimane solo un po' di nastro, che fa più danni che altro. Come scriveva un giornalista di 4R parlando degli ultimi prototipi 164, "vien da chiedersi il perchè di queste strisce di nastro colorato, che anzichè rendere anonimo il prototipo attirano gli sguardi di tutti". Beh... ovviamente lo scopo era quello di farsi notare, a quel punto. E noi notiamo. Notiamo che anche qui c'è qualcosa di losco. Sulla Dedra bianca c'è il tester al volante, in entrambe le foto. Sull'altra no. Sarà mica fuori a far le foto? (curioso anche il fatto che sulla scura si vedano i numeri della targa prova, mentre sulla bianca siano coperti o cancellati in... post-produzione) Oppure il fotografo è una terza persona? Nella foto qui sopra sembra di vedere l'ombra di una testa sulla fiancata... comunque sia, non credo ci fosse alcunché di avventuroso in questa "Caccia". ("dai, fatemi fare due foto, poi smezziamo" ) Qui ancora una bianca con un po' di nastro La precisione con cui erano tirate quelle "decorazioni" mi aveva fatto pensare che si trattasse della stessa bianca, ma poi mi sono accorto che quella qui sopra ha i poggiatesta posteriori. Precisi al reparto camuffatura, eh?
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Buon Anno a tutti! Il 2025 è appena iniziato ed io sto per terminare la saga delle Dedra con le pinne (ho pensato di sedermi qui per godere di un'attimo di pace fra la cena dell'ultimo ed il pranzo del primo... tutto bello ma anche tanto caos, e niente è più rilassante della mia poltroncina davanti al mio schermino ) Queste tre fotacce sono le ultime in cui la Dedra compare con una pesante camuffatura, e in realta furono pubblicate quando la vettura era già stata presentata. Facevano infatti parte dell'articolo riguardante la famosa diesel aspirata, con tanto di documento di omologazione. Foto spia non utilizzate per servizi precedenti, finirono in quella pagina per aggiungere qualcosa da vedere... anche se ovviamente non v'era prova alcuna che quel prototipo fosse un diesel aspirato. Poi la Dedra si spoglia, e GM la sorprende fuori dai cancelli con un aspetto decisamente inconsueto per i prototipi Fiat/Lancia di quegli anni. Forse uno dei primi in casi in cui i prototipi torinesi si fecero vedere in giro in all-black opaco, ricoperti di quella vernice che (secondo quanto scriveva Quattroruote dopo aver "pizzicato" la stessa Tipo 3 Fiat prima tutta nera, bianca, nell'arco di poche ore) si spruzzava alla veloce e altrettanto velocemente si levava con l'idropulitrice. Ormai c'è ben poco da immaginare: solo la parte mobile della fanaleria posteriore. Anche qui un bel tergilunotto... che onestamente non era affatto piacevole da vedere (secondo me). Quante ne avete viste voi col tergi posteriore? Io una.
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Purtroppo no. Credo che siano stati gli unici a parlarne. Magari un pomeriggio faccio un disegnino... anche se dubito che la mia mano renderebbe l'idea come lo possono fare altri molto più bravi qui dentro 🙂 Comunque in onore di tutti questi ricordi io ho messo nel box tutta la tecnologia tedesca e finisco l'anno con la mia scimmietta. (Due Tipici scorci)
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Un altro prototipo viene in seguito "pizzicato" a Genova, e l'autore di queste immagini è uno dei vincitori del milione di lire messo in palio da Auto Oggi per la "Caccia al prototipo". Le frecce non riusciamo ancora a metterle a posto ma ormai il nastro grigio è l'unico velo a nascondere il frontale. Poi ne abbiamo una tutta di bianco vestita che esce dai soliti cancelli insieme al proto di una Tipo 16v. Altre due immagini in HD da Gente Motori, che non dicono nulla di nuovo. La seconda però è molto bella, oserei dire romantica con quel bel clima da caccia al prototipo...
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Sul numero del 21 luglio del 1988 Auto Oggi propone un altro piccolo, grande scoop. (non sono così nerd da ricordarmi le date a memoria... l'ho visto ieri mentre sistemavo due cose ) La copertina è dedicata ad una piccola fuoristrada il cui nome gira per strada ancora oggi, la Vitara, ma in basso a destra troviamo la prima immagine di buona qualità della plancia. Il titolo: "Radica nella super Prisma". La foto è stata scattata ad un prototipo in pausa... situazione curiosa perchè non si riesce a capire se il tester non si sia reso conto di nulla (nella foto del posteriore lo vediamo seduto, in quella del frontale sta parlando con una persona che forse era lì per distrarlo) oppure sia uno di quei finti scoop concordati con le Case per fare un po' di rumore Scoop che comunque mi è rimasto impresso per via delle foto prese da distanza così ravvicinata, che permettevano di vedere bene tante cose. Altro scoop, forse il primo riguardo questo dettaglio, il tergilunotto. Manca la calandra, ma credo che i fari siano tutti definitivi. Vettura a pieno carico
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'giorno fa freddo stamattina, quassù in mezzo ai ghiacci. Vado ad accendere il proto che sennò.... Questa mostra qualcosina della fanaleria...
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Nooo, li ha buttati? Non erano buoni?
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Ti dico la verità.... a me non è mai andata giù questa. Con la 456 originale negli occhi, trovo quella "piallata" data al posteriore troppo evidente. Non dico che avrebbe dovuto avere lo stesso sederone della coupè... ma magari una via di mezzo, un po' più di nerbo.
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I miei due cents, dopo essere rientrato dalla pausa e dopo averla lasciata che era ancora camuffata la ritrovo già sulla pedana girevole di un salone (ma poi torno ai camuffi, non penserete mica di passarla liscia ) Dedra per me rimane il miglior frutto del primo round di Tipo 2-3, insieme alla Tipo stessa (sì, ce la metto perchè sarà stata rovinata da una costruzione che a volte aveva un che di provvisorio ma per me era riuscita benissimo), concordando comunque con chi sostiene che 155 alla fine non era tutto 'sto disastro, visti i vincoli anche più pesanti data la comunione della soluzione "porte avvolgenti" che la avvicinava moltopiù della Lancia alla Tempra. Dedra non era perfetta nelle proporzioni, ma era molto curata. Aveva le "sue" portiere, dei lamierati totalmente specifici, così come l'Alfa... però quest'ultima con il bagagliaio di un'altezza simile a quella della Tempra, secondo me mostrava maggiormente la parentela. Un giochetto che fatto diverse volte nel traffico, quando avevo davanti una 155: cancellavo con la mente la parte di fanaleria montata sul portello bagagli e sostituivo quella fissa coi quadrotti rossi della Tempra... vedevo una Tempra. Con la Dedra questo non accadeva. Il fatto di avere un bagagliaio più basso però, creava secondo me un altro problema: quello delle proporzioni. Dovendo adattarsi al carry over e al passo di una due volumi nata "scatolona" dovendo trasformarsi in una tre volumi lunga solo 434 (cioè, parliamo di soli 5 cm in più rispetto alla mia ex-Astra GTC... se ne guardo una foto di profilo faccio molta fatica ad immaginarci una tre volumi lì) e alta 143, con un giro porte bello "tondo", finiva con l'avere un abitacolo piuttosto gonfio, che doveva chiudere in maniera abbastanza decisa, perchè doveva restare lo spazio per un terzo volume che si potesse definire tale. L'altezza non si poteva toccare; la lunghezza, l'avessero incrementata sarebbero sorti problemi ancora maggior col passo, e poi si sarebbero avvicinati alla Thema. Un esempio veloce, per spiergarmi: la Dedra venne da più parti indicata come il prodotto di un'idea, quella di sfidare il 190. Anche il 190 rientra nella categoria di quelle tre volumi che ai tempi eran già delle belle macchinozze, ma che quando le guardiamo oggi sembrano piccoliiine... ma il Mercedes non soffre di questi problemi di proporzioni. E tte credo! Ha un passo di 266 (8 cm in più), una lunghezza di 442 (8 cm in più... quindi quel tot in più che ha la vettura da targa a targa è lo stesso che c'è in più da ruota a ruota rispetto alla Lancia) e soprattutto il 190 è alto 5 cm in meno (138). E cambia, ragazzi. Ovviamente cambia anche perchè il 190 ha la carrozzeria disegnata su un'architettura TP. La Dedra perfetta, secondo me? Così com'era per quanto riguarda stile e dettagli, sulle misure e telaio del 190. Non si poteva. Inoltre, saremmo stati contenti di una Lancia con l'abitabilità del 190? Mmh. Detto ciò, per me resta molto carina per il frontale, per la coda, la fanaleria posteriore, le porte molto eleganti e tanti dettagli come i profili a fianco del parabrezza (ispirati proprio alle Mercedes) e per l'interno, che al di là di modifiche varie resta sicuramente quello più bello di tutto il progettone, almeno per me. Ora torno ai miei camuffi Nel 1988 GM torna a ribadire il tutto con un articolo immenso, scritto ovviamente da Gianni (allegato al numero in edicola c'era il buono per 4 tazzine di caffè espresso, per restare svegli) e corredato da degli ORRIBILI disegni (credo del "solito" Milanesi) che mi son sempre rifiutato di dare in pasto allo scanner. Le foto? Puah! Due francobolli, oltretutto stampati con la tipica qualità fotografica di GM, che ebbe al riguardo dei problemi di lunghissima durata... mi chiedo ancora oggi perchè mai non sia venuto in mente a nessuno di intervenire. Poi ne abbiamo una che esce dai cancelli con le ruote di una Delta. E poi... con questo scatto realizzato sbirciando attraverso una delle "porte" di Mirafiori, scopriamo le dimensioni e l'elevato angolo di apertura del portello bagagli. Adesso vado a fare i toast.
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Un altro scatto della "4 fari uguali" (realizzato nello stesso momento) Un'altra, molto simile, che qui vediamo in corsa. Il "navigatore" si è appena reso conto che... ci siamo svegliati presto anche noi. La plancia c'è già, i poggiatesta ancora no, così come non ci sono sulla gran parte dei proto visti fino ad ora. Ma perchè questi poveri collaudatori venivano mandati in giro senza? Noi li avevamo ormai dappertutto. Se i sedili fossero già stati quelli definitivi, beh non credo che il design dei poggiatesta fosse il GRAN SEGRETO da proteggere. Se fossero stati provvisori.... beh si potevano anche montare completi. Le foto di altri due esemplari, pubblicate da Gente Motori. A quei tempi servizi più completi (in stile Marin ) avevano già detto tutto sulla nuova Lancia. Qui le foto venivano pubblicate insieme a brevi paragrafi che si limitavano a ricordare che i collaudi della nuova Prisma andavano avanti. Sono arrivati i poggiatesta, almeno su uno dei due proto. Piuttosto curioso l'effetto che fa questo paraurti completamente nero. E' praticamente "lui", ma senza la parte in tinta sembra un altro. Lo so che mi sto perdendo in dettagli inutili ma noto anche che il proto della prima di queste due foto ha sul parabrezza il portabollo/assicurazione, il secondo no. In primis avevo pensato l'avesse sul lunotto, ma poi ho capito che quello che si vede attraverso il parabrezza è della 127 parcheggiata dietro Niente portabollo ma un bel numero 4 sul parabrezza. Il primo proto sembra avere la calandra, il secondo no. Poi in un bel giorno 4R sgancia una piccola bomba. In una di quelle pagine con le "brevi scoop" che stavano dopo le anteprime principali, racconta di essere riuscito a sbirciare nella zona in cui le scocche vengono scaricate per andare all'abbigliamento prototipi e ci mostra che forma avrà la fanaleria definitiva. La forma generale della coda la conoscevamo già dal 1986 ma nella vista posteriore del prototipo quasi pulito "beccato" alla Mandria (l'unica immagine del bagagliaio, pubblicata da Gente Motori) la fanaleria era in parte coperta dal nastro. Ora sappiamo che avrà una forma particolare. Altra piccola "bomba" sganciata da 4R, in un articolo corredato da uno splendido disegno di Giorgio Alisi in apertura, che ci mostra la Lancia "Tre" sul prato davanti ad un edificio in costruzione che ospita al primo piano una Thema che fa da madrina. Spero di trovare il file, mi piacerebbe condividerlo per sottolineare ancora una volta la magia insita nelle mani di Alisi. La "bomba" invece (capirai che bomba, si vede quasi niente... ma ai tempi ci facevamo andar bene anche questi scampoli) nasce dal fatto che 4R è riuscito ad affiancarsi ad un proto fermo al semaforo, e a dare una sbirciatina alla plancia.
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Svegliaaaa!!! I collaudatori si alzano presto, e noi dobbiamo fare altrettanto, altrimenti ci seminano! Iniziamo con un'altra immagine b/n della vettura vista nel post precedente. Credo fosse la stessa situazione, in cui il paparazzo ebbe un attimo per girarci attorno. Questo b/n mi piace, fa molto "mattina torinese con quella nebbiolina che chissà forse non è nebbiolina" Oltre ai classici fari posticci, notiamo un tubo di scarico provvisorio. Questo invece è il secondo scatto della vettura vista ieri davanti alla mitica edicola, il cui proprietario se le guardava tutte. Probabilmente pensò subito che se avesse scattato ed inviato delle fotograrie, Fiat avrebbe immediatamente capito di chi si trattava, dall'inquadratura, e qualcuno sarebbe uscito a dirgli qualcosa Infatti non abbiamo mai visto una foto che potesse essere stata scattata dall'edicola. Peccato per lui, sarebbe stato un carparazzo col lavoro pronto davanti agli occhi ogni giorno. In queste due immagini alcuni pezzi di nastro adesivo nero non combaciano, altri invece si. Potrebbe essere la stessa vettura. Qui invece abbiamo un prototipo caratterizzato dalla lunga striscia di nastro nero sui fianchi e da un frontale completamente anonimo, privo di calandra e dotato dei gruppi ottici della Delta HF, il che ci può dare l'idea di come sarebbe stata la Dedra con un frontale "old style" Curioso comunque il fatto che col passare del tempo il frontale anzichè passare da provvisorio a quasi definitivo stesse facendo esattamente il contrario Il numero dei prototipi costruiti è salito parecchio... sul parabrezza mi sembra di leggere un 40/40 e qualcosa. Gente Motori nello stesso servizio pubblicava anche questa... e al primo impatto poteva sembrare la stessa, vista da dietro. In realtà è un'altra vettura: questa non ha la striscia nera sul fianco. E non cellà perchè.... è un'altra "quattro fari". Questa. Che li ha tutti dello stesso diametro. Saranno di una Bmw? Ogni tanto spuntano queste frecce dalla forma che pare quella definitiva, ma di colore arancio (si vedono bene in quella davanti all'edicola postata ieri, e si vedevano anche sulla "pulita" sorpresa da 4R sullo sconnesso della Mandria). Le aveva la maquette del 1984, ma sul prototipo "0" con targhe e tutto non c'erano più. Poi spuntano nuovamente sui primi proto camuffati... ne realizzarono un po', di quelle frecce definitive di color "basic", e trovo la cosa piuttosto curiosa, dato che la vettura che questa sarebbe andata a sostituire, la Prisma, le frecce arancio non le aveva mai avute. Volevano imitare il 190?
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Thank you Max!! (qualcuno le può postare nel topic della 155, per cortesia? Il mio segretario è molto efficiente ma a volte passa un seno prosperoso davanti alla sua scrivania e lui perde il segnale)
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Seconda parte. Richmond La grande bufera di neve è terminata: ci aveva accompagnato per tutta la prima parte del viaggio; una presenza sinistra e “infernale”, di cui vi abbiamo raccontato ampiamente. Ora ci stiamo avvicinando alla Florida dove la temperatura, assicurano i bollettini meteorologici, è primaverile. Alle spalle ci siamo lasciati quattordici stati (compreso il Quebec che fa un po' storia a sé, tanto più che da anni sta cercando di separarsi dal resto del Canada per diventare indipendente). Di questi, ben undici (Delaware, New Jersey, Georgia, Connecticut, Massachussetts, Maryland, South Carolina, New Hampshire, Virginia, New York, North Carolina) appartengono al gruppo delle tredici colonie che nel 1775 combatterono la guerra di indipendenza contro gli inglesi. Come ricordarli tutti sotto il profilo turistico? Burlington Il Vermont è famoso per i suoi marmi ma soprattutto per la sua produzione di latte: ha più vacche (oltre 400 mila) che abitanti. Anche il turismo invernale è molto sviluppato: gli amanti dello sci lasciano ogni anno nel Vermont 350 miliardi di lire. Poi il New Hampshire: montagne bellissime, 1300 laghi, fiumi e foreste. Le sue industrie di pelletteria sono conosciute in tutto il mondo. Ed ecco il Massachussetts con il motto “Ense petit placidam sub libertate quietem”: (“con la spada chiede pace sotto la libertà”). È lo Stato della famiglia Kennedy e dell'Università di Harvard. Moltissimi gli italiani e gli irlandesi. I “padri pellegrini” inglesi a bordo della Mayflower sbarcarono per primi a Plymouth e fondarono, nel 1620, la prima colonia anglosassone d'America. Il Connecticut, uno degli Stati più ricchi degli Stati Uniti, è la patria degli elicotteri Sykorksi (a Bridgeport) e dell'Università Yale (a New Haven), l'università per chi “deve” diventare qualcuno. Lo chiamano il “garden state” (lo Stato giardino): è il New Jersey, ma le raffinerie di petrolio lo hanno trasformato in “pollution State”, lo “Stato inquinamento”. devo scriverlo? A Perth Amboy sbarcano tutte le automobili provenienti dall'Italia. Sempre nel New Jersey, lo scorso anno, è stato legalizzato come in Nevada il gioco d'azzardo: Atlantic City è oggi la Las Vegas dell'Est. Il Delaware, attraversato dal nostro Raid dei 24 Paralleli, è stato il primo Stato dell'Unione; è molto piccolo ma ricco. Quartier generale della DuPont, colosso dell'industria chimica, sede dell'accademia navale USA a Annapolis, popolatissima di italo-americani, tanto che il suo motto in italiano è “fatti maschi, parole femmine”. Che dire della Virginia? Ha dato otto presidenti agli Stati Uniti: Washington, Jefferson, Monroe, Madison, Tyler, Harrison, Taylor e Wilson. Ad Appomattox il generale Robert E. Lee (del Sud) si arrese nel marzo del 1864 al generale Ulysees Grant dando così fine alla guerra civile fra nordisti e sudisti. Della North Carolina e degli hillbillies che abitano le Rocky Mount abbiamo già parlato in precedenza; possiamo ricordare soltanto che nel 1903 a Kitty Hawk i fratelli Wright compirono il loro primo volo. Lincoln Memorial - Washington Del South Carolina ricordiamo una nota di colore: Charleston è diventata famosa per avere dato il nome ad un particolare tipo di musica e di danza. Parlare della Georgia ci sembra inutile: Plains è la patria di Jimmy Carter. È però meno inutile per noi che abbiamo affrontato l'avventura di questo raid con le Strada: proprio in Georgia, pressappoco all'altezza di Savannah (dove vivevano i parenti ricchi dei Dukes), il ghiaccio è sparito rendendo più facile la nostra marcia. Atlanta, capitale della Georgia, è considerata oggi la New York del Sud; divenne famosa nel 1939 perché fece da sfondo al film “Via col vento”. Nella Little White House di Warm Springs morì il 12 aprile 1945 il presidente Franklin Roosevelt. Cinque giorni al galoppo per le due Fiat Strada e per i due equipaggi. Eccoci finalmente in Florida che fu scoperta, dice la storia, da Ponce de Leon nel 1513 e dove esiste la città più vecchia degli Stati Uniti, St.Augustine, fondata dagli spagnoli nel lontano 1565. Washington Monument ... la so! La Certosa di Pavia La Florida è sede della Disneyworld (vicino a Orlando) e di Cape Canaveral (nei pressi di Titusville) da cui hanno preso il via tutte le spedizioni spaziali americane. Il primo lancio americano in orbita attorno alla Terra risale al 31 gennaio 1958; il primo lancio con astronauta a bordo, al 5 maggio 1961; il primo lancio dell'uomo sulla Luna, al 16 luglio 1969. Ogni giorno visitano Cape Canaveral circa 10.000 americani: vanno a vedere, dicono i maligni, come vengono spesi i loro soldi. Cape Canaveral Aranci, pesca, sole, paradiso per i golfisti, sede invernale del famoso circo P.T: Barnum and Bailey, 33 milioni di turisti che spendono qualcosa come 16 mila miliardi, 600 mila cubani scappati dall'Avana di Fidel Castro, regno incontrastato del cemento armato: questa è la Florida con Miami, Miami Beach e West Palm Beach, la spiaggia dei miliardari dove anche Rose Kennedy, la matriarca del clan, possiede una villa meravigliosa. Cape Canaveral Ma la Florida, non bisogna dimenticarlo, nel suo angolo sud-occidentale, non lontano dal parco di divertimento di Walt Disney, a sud del lago Okeechobee, ha un parco nazionale che non ha eguali al mondo: quello delle Everglades che con i suoi 5230 chilometri quadrati è il terzo degli Stati Uniti in ordine di grandezza. Un'immensa distesa di erba costellata di fitti boschi che si estende sino alle coste della Baia della Florida e del Golfo del Messico coperte di mangrovie; ma anche tante paludi, popolate di serpenti e coccodrilli. Cape Canaveral In Florida si è concluso il raid degli inviati di Gente Motori con le due Fiat Strada, che abbiamo illustrato sia sotto il profilo stilistico sia sotto quello tecnico e meccanico nella prima parte di questa storia. Una prova così massacrante, che ci ha visti impegnati su un percorso di 3468 chilometri macinati nel giro di cinque giorni, aveva alla base un esame tecnico delle vetture e dei pneumatici. Iniziamo quindi dalle automobili: prima i pregi, poi i difetti. A suo tempo avevamo scritto che la Ritmo è forse la più corretta e gradevole vettura costruita dalla Fiat dopo la 131 Abarth Rally. Nelle condizioni al limite di aderenza nelle quali ci siamo trovati a dover guidare, la Strada ha mostrato sempre un comportamento neutro che si trasformava in un controllatissimo sottosterzo quando la velocità aumentava in relazione al raggio di curvatura. Cape Canaveral - La torre per il "futuro" lancio della navetta Columbia Decelerazioni improvvise in piena curva, moderati colpi di freno e di sterzo non si sono mai rivelati dannosi per la correttezza dell'assetto e hanno potuto provocare al massimo, su terreno a scarsa aderenza, innevato o peggio ancora ghiacciato, lievi deviazioni laterali del retrotreno che però venivano assorbite praticamente da sole. Si tenga presente che le due vetture messe a nostra disposizione non avevano subito alcuna particolare messa a punto. Ci siamo trovati, cioè, nel bene e nel male, nelle stesse condizioni di un normale utente che ritira la propria auto presso un concessionario. Ottima anche la trasmissione e il cambio. Avevamo il cambio a cinque marce che offre la possibilità di ridurre i giri del motore a velocità di crociera e di raggiungere ottimi valori di consumo: otto litri di carburante ogni cento chilometri, 12 chilometri e mezzo circa per ogni litro. Se questa prova avesse previsto delle votazioni avremmo assegnato un dieci anche al comfort: silenziosità interna, disegno dei sedili, spazio in tutti i sensi, buona visibilità senza angoli morti. Non dobbiamo però nascondere i “ma” e i “se”, per quella obbiettività che ci ha sempre contraddistinti. Cape Canaveral - Riproduzione LEM Apollo XI Dove la Strada mostra il suo punto debole (e questo vale anche per l'europea Ritmo) è nell'impianto di ventilazione. Quando dopo Washington ci siamo trovati ad affrontare la più grande bufera di neve che si sia riversata sugli Stati atlantici negli ultimi venticinque anni, abbiamo sofferto e non poco l'insufficiente ventilazione e climatizzazione della vettura. L'impianto non riesce a sbrinare il parabrezza; la portata e la distribuzione dell'aria è quindi insufficiente. Questo è l'unico vero difetto della Strada-Ritmo. Messo a punto l'impianto di ventilazione la Ritmo sarà una vettura che non conoscerà rivali. Tutto il resto può rientrare in una serie di “peccati veniali” o di preferenze soggettive. Una delle due vetture non aveva il lavatergi posteriore: questo accessorio non può essere opzionale ma deve diventare di serie. Ci sembra piccola la fanaleria posteriore, non soltanto per il mercato americano, ma anche nel contesto europeo dove i “fanalini” diventano sempre più “fanaloni”. Cape Canaveral - Titan I La mancanza del servofreno può essere considerata un neo. Il pilota esperto preferisce questa soluzione ma l'americano, la donna europea, l'automobilista alle prime armi può trovarsi leggermente in difficoltà. Con questo non vogliamo dire che la vettura non frena, anzi frena, e bene. È soltanto una questione epidermica o psicologica. L'arredamento interno, che non piace sulla versione europea, è stato migliorato sul modello americano. Qualcuno ora vorrà sentirci parlare di prestazioni. Come abbiamo già scritto in precedenza, il motore della Strada ha una cilindrata di 1498 cc; è stato dotato in un sistema antinquinamento, richiesto dalle leggi americane. Nelle prestazioni assomiglia molto alla nostra Ritmo 65 con motore di 1301 cc. Da “un litro e mezzo” un automobilista europeo si aspetta qualcosa di più, ma per l'americano pensiamo che il motore sia sullo stesso piano di competitività con la concorrenza, che va dalle Omni e Horizon della Chrysler, alla Rabbit (Golf) della Volkswagen, alla miriade d'auto giapponesi. La vettura, come si dice in gergo, c'è. Nessuno nasce perfetto ma può diventarlo: la Strada-Ritmo lo sarà. Un'ultima parola infine sui pneumatici: i Pirelli P3. Sono pneumatici estivi, che mai avremmo pensato di utilizzare in condizioni invernali. E invece questi P3, che sull'asfalto danno sicurezza e comfort, sono stati capaci di superare neve e ghiaccio. Ci si può chiedere perché Secondo noi, il segreto sta nel particolare disegno del battistrada, tutto cosparso di lamelle che catturano la neve originando una specie di chiodo naturale. Certamente, avranno contribuito anche le particolari cinture di acciaio e nylon e soprattutto il tipo di mescola che, pur essendo molto resistente all'usura, sembra avere caratteristiche da bagnato. In fondo, questa prova è la dimostrazione che il prodotto italiano (auto e gomma) è sempre all'avanguardia. Fine Et voilà. A parte il freddo, un'avventura forse meno... avventurosa rispetto a quelle con le Delta e con le Ritmo/Amazzonia che leggerete domani (spero ), nonchè un testo meno avvincente, con più divagazioni storiche su cui effettivamente si poteva glissare un pochino per concentrarsi di più sul diario di bordo. Niente di speciale, a mio parere. Però fa parte della storia dei Raid di GM e quindi ve lo beccate per cena A seguire le foto che non sono riuscito ad abbinare (troppe!) New York New York New York - L'Hudson... bello fresco. Cape Canaveral - Ancora il Titan I Miami Beach Miami Beach Miami Beach E per finire, i numeretti... Ora ho finito sul serio domani andiamo a spingere via i capibara col paraurti brevettato. GTC
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I raid di Gente Motori - N.8 - "Il Raid dei 24 paralleli", dal Canada alla Florida con le Fiat Strada
nella discussione ha aggiunto PaoloGTC in Auto Epoca
Ed eccoci con un altro raccontino fresco fresco. Cioè, si fa per dire. Prima di tutto, fresco fresco non è, perchè i fatti sono avvenuti 45 anni fa. Poi, fresco fresco non è perchè non l'ho messo giù in questi giorni. Lo impacchettai anni fa*, prima della lunga pausa che mi presi perchè impegnato in altre cose. Nel ricominciare a raccontare queste vicende, mi trovai fra le mani per prime quella della Delta che avete già letto, e quella della Ritmo in Amazzonia che ho finito mezz'ora fa. Poi mi ricordai di questo, e andando a cercarlo lo trovai già "ritirato" nella cartella dedicata alla Fiat Ritmo, mentre i cosiddetti "lavori in corso" li conservo in un folder apposito. Vederlo lì mi fece pensare di averlo già postato tanti anni fa, e quindi mi buttai su Delta e Ritmo-Amazzonia. E invece, quando L'informatore ha riportato l'elenco dei raid già pubblicati, mi son reso conto di averlo trascritto e messo via, durante la "lunga pausa". Quindi... fresco fresco per me non è, ma per voi sì. Inoltre, lo definirei tale perchè... in quei giorni del 1979 Marin si trovò alle prese con un... leggero freschino. * ai tempi avevo confezionato un testo di tipo leggermente differente rispetto a quelli di questi giorni. Troverete qualche mio buffo commento, inserito nei punti in cui Marin prendeva una papera, oppure la scena mi faceva sorridere. Basta, vi ho ammorbato a sufficienza. IL RAID DEI 24 PARALLELI - DAL CANADA ALLA FLORIDA CON DUE FIAT STRADA di Gianni Marin in collaborazione con Carlo Massagrande fotografie Vanni Belli La traversata atlantica sta per terminare. Il DC10 dell'Alitalia si avvicina all'isola di Terranova; l'Oceano è in molti punti ghiacciato, qua e là navigano degli imponenti iceberg. Ecco lo stretto di Caboto, il golfo di San Lorenzo, Quebec. La voce della hostess: “Ci apprestiamo ad atterrare a Montreal. La temperatura a terra è di meno venticinque gradi centigradi”. Un brivido corre lungo la schiena. Pensiamo di aver frainteso, ma basta uno sguardo, che si scontra con quello degli altri passeggeri, per toglierci ogni speranza. A Montreal sono proprio 25° sotto zero. Ce ne rendiamo subito conto quando prendiamo posto sulle navette che collegano l'aereo con l'interno dell'aeroporto. Baveri alzati, colbacchi, fiato che si condensa in nuvolette simili alle folate di una pipa ben attizzata. “E' un freddo record”, dice il tassista che ci accompagna all'albergo. E dura da diversi giorni. “Meglio così”, continua, “fin che fa freddo non nevica”. La situazione insomma non è delle più allegre. Ci troviamo a Montreal per compiere uno dei nostri raid; ma le attrezzature se non sono proprio quelle di tutti i giorni (l'unica precauzione è stata quella di utilizzare delle tute termiche della ditta Benning di Thiene e degli scarponcini Lotto) certamente non sembrano le più adatte per una situazione così esasperata. Siamo qui per provare la Fiat Strada che il 6 gennaio la Fiat USA ha presentato a Las Vegas alla stampa locale. Gente Motori vi ha già mostrato la vettura in forma statica. Avevamo apprezzato le modifiche estetiche, avevamo giudicato gli aggiornamenti tecnici alle normative di antipollution e di sicurezza americane. Ma volevamo vederle e soprattutto provarle. E' così nato il “Raid dei 24 Paralleli”, da Montreal a Miami, per un totale di 3500 chilometri. Almeno sulla carta. E ancora sulla carta avevamo pensato di andare dal freddo al caldo, dall'inverno di Montreal al “quasi-estate” di Miami; il tutto però, come l'eroe manzoniano, “con judicio”. Invece, alla prova dei fatti, questo raid si è rivelato il più duro e probante test fra tutti quelli portati a termine da Gente Motori. I – 25° diurni di Montreal sono diventati 35 durante la prima tappa nelle ore serali e di primo mattino (le due Strada sono rimaste parcheggiate all'addiaccio e ci ha fatto piacere vedere al mattino la loro “prontezza di riflessi” nel momento in cui abbiamo deciso di rimetterle in marcia). La temperatura si è poi mantenuta costantemente intorno ai 10 gradi sotto lo zero, quando abbiamo affrontato l'autostrada numero 95 da New York fino a Washington. Sino a quel momento avevamo attraversato il Vermont, il New Hampshire, il Massachussets, il Connecticut, lo stato di New York, il New Jersey, il Delaware, il Maryland; eravamo entrati in quello che non è un vero e proprio stato ma un distretto della Columbia, cioè Washington. Inconsciamente e con grande leggerezza avevamo pensato: “Il più è passato, ora ci avviciniamo alle zone calde e la marcia diventerà più facile”. Non sapevamo cosa stava per accaderci. (fu così che quel giorno, per la prima volta, il Gianni si ritrovò a pensare che forse a Milano in redazione con i glutei sulla poltrona non si stava tanto male) Ma proseguiamo nel racconto. Lasciata la capitale nord-americana sotto un forte vento proveniente da sud, ecco le prime avvisaglie di neve. Prima dei fiocchi radi, poi sempre più fitti, poi sempre più ampi. Si stava scatenando una bufera: da venticinque anni non si registrava un fenomeno simile sulla zona. Il dramma era agli inizi. Il dilemma anche: fermarci o continuare? La pattuglia della polizia, ferma a lato strada, ci consiglia di uscire e di fermarci al primo motel. A mano a mano che procediamo le colonne in uscita sono sempre più numerose. È domenica: anche gli americani in week end sono stati presi alla sprovvista. La nostra piccola troupe tiene consiglio via radio: opinioni discordi, poi prevale il “continuiamo”. Da quel momento ha inizio il dramma dei quattro italiani al volante delle due Strada, un dramma durato 301,9 miglia, pari a 486 chilometri molti dei quali compiuti in piena notte sotto la neve, a cui si debbono aggiungere altre 185,5 miglia pari a 298 chilometri su di un'autentica lastra di ghiaccio, quindi molto di più del solito “fondo ghiacciato”. Virginia, Nord e Sud Carolina, e la parte iniziale della Georgia sono stati percorsi dalle Fiat Strada in queste condizioni. Da tener presente che nel Nord Carolina, in piena notte, abbiamo incontrato l'occhio del ciclone, proprio nella regione denominata Rocky Mount; una zona desolata, di montagna, un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, dove vivono ancora oggi i cosiddetti hillbillies, cioè i “montanari”, gente nomade che spara addosso agli agenti delle tasse, si rifiuta di andare alle armi, distilla il moonshine, una specie di whisky schifoso, preparato nottetempo in caverne segrete. (praticamente Dinamite Bla) Ricordare oggi a tavolino questa impresa ci fa anche dire: “Siamo stati dei pazzi”. Le Strada erano assolutamente normali. Era stata presa un'unica precauzione: quella di sostituire la miscela antigelo, il cui limite era di – 23°, con una adatta per i – 36°. il tutto è poi stato affidato alle automobili, alle loro sospensioni, ai loro freni, alla loro tenuta di strada e alle gomme: i Pirelli P3. Ebbene alla Ritmo e alla Strada, sua diretta derivazione, si possono trovare molti nei (e avremo occasione di parlarne) ma non potremo mai criticare la tenuta di strada e il comportamento dei pneumatici Pirelli, che si sono trovati a dover lavorare in condizioni assolutamente impossibili. Con la massima modestia, ci sentiamo di affermare che forse nessun collaudatore della Fiat e della Pirelli si è venuto a trovare in condizioni tanto difficili. Non avevamo catene, né chiodi, né preparazione da rallies; eravamo nelle condizioni di un qualsiasi automobilista, in una situazione ambientale assolutamente eccezionale. Il nostro Vanni Belli ha tentato (e le pagine fotografiche che corredano queste nostre note ne sono una pallida testimonianza) di trasmettere al lettore l'immagine di quei momenti (o meglio: di quelle lunghe ore); ma, come abbiamo detto, è una “pallida testimonianza”. Come fotografare nel cuore della tormenta? Come fotografare di notte mentre la neve si accumulava centimetro su centimetro? Come fotografare mentre stavamo superando sul ghiaccio i grossi camion americani che sollevano tornado di neve, acqua e ghiaccio? Ci siamo quindi affidati alle parole, alla nostra testimonianza di giornalisti onesti che sempre hanno raccontato dal vivo e con la massima obbiettività le proprie esperienze motoristiche. Se ci chiedessero di ripetere una simile esperienza, forse rifiuteremmo, pensando anche ai pericoli reali a cui siamo andati incontro. Però oggi possiamo ben dire di aver compiuto un'impresa eccezionale con una vettura e dei pneumatici straordinari. Le cifre parlano chiaro. Abbiamo percorso 3468 chilometri in 41 ore e 42 minuti, la media generale è stata di 83.165 chilometri all'ora e quella autostradale di 89,868. Si tenga presente che la velocità massima consentita negli Stati Uniti è di 55 miglia all'ora, cioè di 88,495 chilometri orari. Una curiosità: lo stato del Wyoming ha chiesto di portare questo limite a 70 miglia: il presidente Carter ha risposto di “sì”, ponendo però come condizione il decadimento di tutti i contributi governativi di cui gode questo stato americano. Ritornando alla nostra media, possiamo dire che anche questa è stata eccezionale; in tre occasioni abbiamo avuto guai con la State Police, cioè la Polizia della Strada locale. Ci sembra interessante riportare un ultimo dato che consente di giudicare in maniera obbiettiva il modo in cui si è svolto il nostro test: il percorso da Montreal a Miami City dove la temperatura era di 26° (l'escursione termica dal momento della partenza a quello dell'arrivo è stata di 61°) è stato percorso in cinque giorni effettivi di marcia. Agli uomini e alle automobili è stato chiesto il massimo, in ogni momento ed in tutte situazioni. Inquadrato così il Raid dei 24 Paralleli organizzato da Gente Motori, parliamo ora in maniera più approfondita delle automobili e del viaggio. La Strada, come ormai coloro che ci seguono sanno, è la versione americana della Ritmo. La scocca è rimasta immutata. Le differenze estetiche sono nella mascherina anteriore e nei paraurti. Il primo impatto a Montreal è piuttosto sconcertante. Decisamente la Strada, anche se ha perso in personalità nei confronti della Ritmo, è a nostro avviso più armonica, più facile da capire. Sulle fiancate è stata applicata una modanatura in gomma, non presente sulla Ritmo, che slancia maggiormente la vettura. Vi è un fregio applicato sotto il montante anteriore che ha la utilissima funzione di evitare l'imbrattamento del vetro laterale. Sulle fiancate posteriori troviamo le luci di ingombro, e i cerchio hanno un disegno (o meglio una colorazione) diverso. All'interno le modifiche sono minime. È più elegante il rivestimento in materiale plastico delle portiere, vi sono dei poggiabraccia diversi, un cicalino avverte guidatore e passeggero di allacciare le cinture. Un'altra diversità la noteremo al primo rifornimento: il bocchettone di immissione del carburante è caratterizzato da uno sportellino a molla interno che si apre su pressione del becco della manica della pompa di benzina. Crea qualche difficoltà nei rifornimenti, perché la parte terminale della pompa di benzina ha una specie di spirale che tende a incastrarsi su questo sportellino. Meccanicamente il motore è la parte che ha subito maggiori modifiche per soddisfare i capitolati imposti dalle leggi nord-americane in fatto di antipollution. La cilindrata è di 1498 cc, che sviluppa una potenza di 64 cavalli (SAE). È quindi paragonabile alla Ritmo 65 con motore di 1300 cc. La velocità massima da noi cronometrata è di circa 174 chilometri all'ora a 5110 giri in quinta, riscontrabile anche in quarta a 5800 giri al minuto. (a me sembrano troppi 174 all'ora per una Ritmo con 64 cv) Con partenza da fermo abbiamo raggiunto la velocità di 30 miglia/ora (pari a 48,2 km/h) in 3,5 secondi; quella di 60 miglia/ora (pari a 96,5 km/h) in 12,3 secondi, e quella di 90 miglia/ora (pari a 144,8 km/h) in 38 secondi. Il viaggio prosegue: a fra poco con la seconda parte. (molte foto non sono facili da abbinare al testo, per cui farò probabilmente un terzo post con quelle che avanzano)- 8 risposte
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Non saprei dire se per un certo periodo abbiano veramente pensato di chiamarla Aprilia, oppure il nome sulla maquette I.De.A. fosse messo a caso, come spesso accadeva. C'erano le maquette della Thema con scritto Aurelia, quelle della Croma con "Marconi 2000", appellativi che possono far pensare a delle ipotesi prese in considerazione... ma c'erano anche quelle come la Tipo 2 di Giugiaro con scritto Abcd, che fan pensare a cose messe a caso... Dedra è sempre piaciuto molto anche a me, e mi rendo conto ora di non aver mai trovato per iscritto un racconto di come ci fossero arrivati. Nei testi dedicati alla genesi stilistica ponevano spesso l'accento sui diedri... l'avranno estrapolato da lì? Intanto, qualche altro scoop. Eravamo rimasti al 1986, anno in cui Quattroruote perde la sfida a chi "la posta per primo" a vantaggio di Motor 16. Il mensile Domus però si prende la rivincita - forse - a fine anno con il numero di dicembre, in cui troviamo queste foto. E' il periodo in cui Fiat e Lancia si sentono al sicuro a La Mandria, e mandano a traballare sui ciottoli le loro future medie prive di camuffatura o quasi. In quei mesi i fotografi, grazie alla perfettibile sorveglianza, riescono a paparazzare la Tipo, la Tempra e, appunto, la Dedra. Questa invece la pubblica Gente Motori. Ho scritto "forse" prima, parlando del primato di Quattroruote. Perchè? Beh... il solito Motor16 a novembre... Praticamente già con le prime foto-spia il segreto era andato a farsi benedire... e nei successivi due anni andammo avanti a vedere fotografie di prototipi camuffati in giro per le strade torinesi, di una vettura di cui conoscevamo già le sembianze.
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Mi trovi pienamente d'accordo, e almeno per quel che mi riguarda non c'è alcun bisogno di scusarsi. Potrà suonare strano, essendo io il promotore di questo revival, ma - ci tengo a sottolinearlo - il profondo apprezzamento per quel che ci ha lasciato, tale da spingermi a consumare la tastiera trasferendo sullo schermo questi "pipponi" è per l'iniziativa, che oggi ci permette di rivivere le "avventure" di molte auto - spesso nostrane - che abbiamo nel cuore. Le riviste una volta erano tante - che bello! - e diverse. Gente Motori era fatto così. La mente e le mani di Marin si vedevano in questi racconti così come nelle prove. Prove che ad esempio finivano in coda, quando se ne cercava una che potesse fornirci un'analisi obbiettiva di una vettura, dei suoi pregi e dei suoi difetti. Prove che finivano con una votazione media attorno al 9 e mezzo, valutazioni di un aspetto della vettura sotto esame che in paragrafi pomposi e ridondanti infiocchettavano il tutto, glissando su ciò che realmente avresti dovuto e voluto sapere. Un esempio? Le valutazioni sulla finitura di una nuova Fiat , prendiamo ad esempio la Tipo. Quattroruote dichiarava tre stelle su cinque, scrivendo che i materiali erano in alcuni casi innovativi, in altri di livello corrente, in altri ancora di bassa qualità (le plastiche della plancia che si rigavano facilmente), aggiungendo che i montaggi erano assai perfettibili ma che - come sempre - bisognava concedere il beneficio del dubbio, rimandando la valutazione finale in attesa di avere fra le mani delle vetture che non venissero dall'avvio della produzione. Un'analisi secondo me corretta e abbastanza sincera. Gente Motori, in un paragrafo che faceva venir sonno, si sprecava in lodi riguardo tutto ciò che era "ufficiale". La fabbrica automatizzata, l'assemblaggio tramite sottogruppi, la scocca zincata. Qualche parola sul livello qualitativo delle vetture provate? Dritte, storte, scricchiolanti, silenziose? Nada. Quindi, umile parere di lettore - che ci sta tutto, perchè tu provi e giudichi la vettura, io compro, leggo e giudico te - il giornalismo di Marin aveva i suoi bei difetti, tra cui la retorica e la pesantezza che hai citato. L'apprezzamento, come scritto in principio, va allo spirito. Lo ammiro per averci lasciato le immagini delle Delta nella Monument Valley o quelle che vedremo delle Ritmo insieme ai capibara e ai tucani, o al cippo dell'Equatore. Per quello, certo, sarebbe sufficiente riproporre semplicemente il reportage fotografico, aggiungendo due righe del tipo "sapete, Gente Motori nel 1980 andò qui". Però preferisco riportare il documento in quanto tale, proprio perchè anche per chi legge sia possibile fare un'analisi con pregi e difetti, anche più obbiettiva - e lo stiamo dimostrando - di quelle che faceva lui. La storia di Don Ellis è un altro esempio: dalla ricerca risulta essere un'altra persona, assai diversa anche fisicamente - non ho a disposizione la foto pubblicata nel reportage, ma ho visto quelle del Don Ellis pubblicate sul web e vi assicuro che non è lui l'uomo fotografato da Vanni Belli era una specie di Totò di colore - quindi o si tratta di un omonimo che incredibilmente ebbe una carriera simile a quella dell'Ellis famoso, oppure di un truffatore di quartiere, che intortava i turisti con le sue fandonie... e prese in giro anche Marin e anche qui secondo me sta il bello del rileggere certe avventure.
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Ai tempi c'era un maggior desiderio di informare realmente, riguardo aspetti della vita con l'auto come questo. Anche perchè era molto più frequente fare da soli i piccoli lavoretti sulla propria vettura... e a dirla tutta, nel periodo in cui è possibile confrontarli, perchè entrambi in vetta nella classifica dei nostri periodici ed entrambi più completi di quanto siano poi stati verso la fine del millennio ed oltre (diciamo quindi il ventennio 70-80) era Gente Motori quello a prodigarsi di più in tal senso. In moltissime prove c'erano le due pagine con parecchie foto scattate al vano motore aperto, per mostrare dov'era questo, dov'era quello, se era comodo lavorarci oppure no. Quattroruote nelle prove degli anni '80 era già più sbrigativo al riguardo, facendo cenno (a volte, mica sempre) alla facilità con cui si potevano compiere certe operazioni nel paragrafo con stelline dedicato al motore. Negli anni precedenti capitava di trovare pagine che parlavano anche di questo aspetto, ma solo quando la vettura era di grande importanza per il nostro mercato. Per fare un esempio, la prova della 128 non finiva più Comunque tantissime di queste cose sono scomparse da anni... me ne viene in mente un'altra: le pagine che ogni mese 4R dedicava al rapporto affidabilità, con inserita la cartolina da spedire per segnalare la vettura posseduta e i difetti riscontrati, che poi andavano a creare il database pubblicato ed aggiornato mensilmente. Ve lo ricordate? Il lungo elenco di modelli con a fianco le note per le varie sezioni (motore, freni, sospensioni, impianto elettrico) e con le barre rosse o verdi a seconda che il modello fosse problematico oppure no... tutte cose oggi improponibili
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Sei perdonato (anche perchè iniziavo ad avere dei dubbi pure io ). Eeeh ai tempi non avevo pensato che quel racconto sarebbe diventato parte di una collana gli cambieremo il titolo. Non si trattava di un vero e proprio raid, ma sarebbe meglio metterci qualcosa che lo colleghi a Gente Motori e alla 155. Appena ho tempo (mi vien da ridere ) lo ripesco e rimetto le foto.
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Trovo assurda pure io la decisione di partire verso un clima ben conosciuto senza avere l'aria condizionata. Chissà, forse per mancanza di tempo o per complicazioni date dal montaggio di un after market. Col pensiero a ciò che abbiamo sul mercato ormai da decenni, e cioè vetture di questa categoria che hanno il climatizzatore di serie e andando più indietro lo offrivano almeno come optional, mi son detto "caspita, bastava sceglierne due con l'optional montato", perchè mi pareva che la Delta lo proponesse tra gli optional più costosi fin dal lancio. Invece andando a rivedere i 4R dell'epoca la questione si è fatta più complessa. Sulle pagine della prima prova su strada (Delta 1300 e 1500) l'aria condizionata è inserita nella lista degli optionals, ma a differenza degli altri accessori a richiesta... non ha il prezzo. Come se fosse una lista optionals provvisoria. Sono allora andato a sbirciare i listini prezzi di tutto il 1980, e nella parte dedicata agli optionals, alla voce "Aria condizionata" la Delta non c'era. Così ho cercato la prima prova pubblicata in seguito: un confronto con la Volvo 345, sulle cui pagine si legge che mentre per la svedese l'optional era disponibile al costo di un milione, sulla Delta non era previsto dalla Casa. Certo, immagino fosse possibile montare un after market, e Marin nel suo racconto citava la mancanza del condizionatore con rammarico, non scriveva "peccato non si potesse avere". Boh Anche perchè l'attenzione nella preparazione delle vetture c'era: mi sto occupando ora - su gentil richiesta di qualcuno un giorno o l'altro vi presento il conto - della Transamazzonica '80 con le Ritmo, e giusto stamane leggevo/trascrivevo le modifiche fatte apportare da Marin alle due vetture, con la speranza di riuscire a spuntarla su delle strade che... in certi punti non si potevano nemmeno definire tali. Forse non si aspettavano un'ondata di caldo del genere, capace di causare 200 morti in zone comunque abituate ad elevate temperature. L'imprevisto climatico comunque è un elemento che in qualche modo fa parte delle avventure di Gente Motori. Un altro raid che vedremo (soltanto da "rifinire", la bozza del testo è già pronta), sempre a bordo di due Ritmo, vide Gianni e la sua squadra alle prese con un viaggetto da Montreal a Miami... e doi direte "beh... rispetto ad attraversare il deserto o aprirsi un varco nella foresta amazzonica, per citare De Sica, ''na passeggiata de salute'". Sì, peccato poco dopo esser partiti si trovarono bloccati su delle strade diventate di ghiaccio, sotto una bufera durante la quale la temperatura scese a 35 gradi sotto lo zero. Altra situazione in cui pure gli abitanti dei luoghi attraversati continuavano a ripetere che a memoria d'uomo non si ricordava una bufera del genere. Qualcuno forse a Milano avrà cominciato a dirgli "senta Marin, faccia una cosa, stia a casa... che quando si muove lei..." Ma non c'è già la 155 "salata" da qualche parte, oppure è andato perso il topic? Mi sembrava di averla raccontata... anche foto che hai postato, marchiata GM, me lo suggerisce. Se fosse andato perso tutto, poco male, se l'ho fatta il malloppo è da qualche parte che riposa, pronto ad essere riutilizzato. Controllerò. Prima però vedremo le Ritmo, ancora le Delta in una situazione in cui il condizionatore non serviva affatto e poi ne ho intravisto un'altro bellissimo con le Fuego.
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