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angeloben

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  1. In molti ricordano la Volkswagen Passat B3, quella del 1988, che spopolò anche in Italia, specialmente con la versione giardinetta, la Variant. Uno degli elementi distintivi di questa auto fu sicuramente il suo frontale, privo di calandra tradizionale. Non una novità assoluta, vero, ma certamente uno dei primissimi così, sebbene preceduto di qualche anno dalla concorrente Ford Sierra (solo le versioni Ghia e XR4, per essere super precisi). Quello che però distingueva questo frontale, erano le inusuali (per i tempi...) proporzioni del simbolo VW che campeggiava al centro. Nonché il motivo che vi era dietro. Letteralmente. Nonostante l'apparenza, infatti, questo frontale non era del tutto "chiuso", perché proprio l'emblema circolare della marca era in realtà una vera presa d'aria! Per cosa esattamente? Volkswagen lo spiegava persino nei suoi depliant, con un disegno dedicato: Mentre il raffreddamento verso il radiatore era assicurato dalla presa inferiore integrata nel paraurti, l'apertura nel simbolo VW era dedicata a indirizzare il flusso verso il filtro aria del motore. Colgo questa occasione con Passat B3, per parlare di un altro particolare curioso del suo design: gli specchi retrovisori. Anche qui, non una prima assoluta, ma gli specchi "a doppio braccio" (si vedono anche nella foto sopra) sono sempre stati segno distintivo di una esigua minoranza... Non ho certezza su chi possa esser stato il primo nella produzione di serie, ma per noi è facile ricordare che già 4 anni prima, il duo italo-svedese Lancia Thema e Saab 9000 aveva fatto notare la propria origine comune anche adottando i medesimi retrovisori a doppio braccetto: Nello stesso 1984, la nuova Ferrari Testarossa si imponeva sulla scena mondiale anche con dettagli esclusivi proprio come i retrovisori. Anzi, IL retrovisore, che all'inizio era solo uno... sopraelevato e con braccetto sdoppiato! In seguito, non sono stati poi così tanti i modelli con specchi simili (escludo i veicoli commerciali e derivati, nonché quelli da roulotte/rimorchio...). Dopo Passat B3, appunto, io ricordo un'altra italiana assai esclusiva, la Lamborghini Diablo (1990): Poi un'altra sportiva di livello, la BMW 850 CSi (1992) (foto di Joost J. Bakker - BMW 850 CSI, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17770733) Stessi specchi poi usati su M3 E36 (1993) e M5 E34 restyling: Onestamente non faccio lo sforzo di proseguire, ma aggiungo un bonus: (Ferrari 288 GTO Evoluzione, 1985, 5 esemplari) Prima di chiudere però, torniamo terra terra ritirando in ballo Ford Sierra del 1982, perché anche lei aveva avuto una piccola curiosità in merito. Nei primi anni, la versione super base - senza alcuna sigla e commercializzata solo in alcuni paesi - si presentava così: Salta agli occhi il dettaglio barbonz della fascia fari-calandra in grigio... (ovviamente la calandra standard "aperta"). Ma notate gli specchi! Ecco il dettaglio del particolare: Un braccio solo, sì, ma posizionato in alto, a sostentere lo specchio "sospeso" . Caso più unico che raro... Non ricordo di avere mai avuto la "fortuna" di notare dal vivo questi particolari esclusivi (calandra grigia, specchi "sospesi"...) perché questo allestimento non credo sia mai stato a listino da noi, ma ovviamente potrei sbagliarmi. Per qualche insondabile motivo invece, ho notato che nel continente solo l'allestimento super base senza nome aveva questi specchi, mentre in UK anche il livello appena superiore, chiamato "L", aveva sempre questi specchi. Misteri...
  2. Oggi roba forte... Fin dal mio primo, inatteso, contatto sulla carta stampata (ovviamente Quattroruote, nel lontano 1985) un'auto mi entrò nelle viscere in modo del tutto particolare. Era la Citroen Axel, e aveva tutto quello che di strano e originale Citroen rappresentava da sempre, unito all'essere "esotica" nel modo più conturbante di quel periodo, per il suo provenire da oltre cortina in quel periodo ancora di Guerra Fredda. A quei tempi, persino per la mia grande curiosità automobilistica di bambino, tutto ciò era piuttosto estremo, quasi mi disturbava. Poi mi capitò di vederne anche dal vivo, poche per la verità, e quando più adulto ne ho riletto le storie e le vicende (automobilistiche e politiche), ho apprezzato le idee, gli sforzi, la razionalità e tutte le curiosità dietro questa auto. Mi era sempre rimasta però, la strana sensazione che mancasse qualcosa a quest'auto per completare in modo definitivo il suo concetto di base, vale a dire praticità, economia e razionalità all'estremo. Perché solo a tre porte? I francesi si erano distinti per osare le cinque porte anche sulle utilitarie, perché questa no? Scava scava, alla fine qualcosa è venuto fuori... Le notizie non sono precisissime, ma risulta che - intorno al 1989 - Olcit abbia lavorato allo sviluppo della versione 5 porte, costruendo due prototipi. Quello sopra, dal design più vicino alla versione standard, ed un secondo (spesso chiamato "Oltina") con piattaforma allungata e design differente in particolare nella coda: Diciamo che se già Axel a 3 porte non era esattamente un modello di bellezza, questi prototipi a 5 porte non avrebbero certo migliorato la situazione, ma certamente avrebbero portato al massimo livello questa iper-razionale utilitaria.
  3. E' sfuggito in questo thread un classico esempio di carry-over "intensivo", la nostra Rayton Fissore Magnum degli anni Ottanta. Sotto la pelle c'era tanta meccanica ripresa dall'Iveco Daily, ma anche il "vestito" rimandava per tanti motivi ad altra produzione automobilistica di quel periodo. A colpire è sempre stata soprattutto la linea (di Tom Tjaarda) incredibilmente affine ai modelli FIAT-Lancia di Giugiaro di quegli anni, tanto da farla sembrare a molti una Uno supervitaminizzata... Eppure non c'era un solo elemento di carrozzeria davvero in comune con la utilitaria regina del mercato di allora. Carrozzeria che tra l'altro inizialmente non doveva essere neppure in acciaio, bensì in pannelli di fibra sintetica. Nella produzione di serie però solo cofano motore e portellone bagagli rimasero in plastica. Questo non toglie che una forte "aria di famiglia" sia dovuta all'utilizzo di vari componenti in uso nella produzione italiana del tempo. A cominciare dai fari anteriori (solo i proiettori, non le frecce), ripresi dalla Lancia Trevi: Quelli dietro invece, erano ripresi dalla Citroen BX, con l'aggiunta di una fascia catarifrangente rossa in basso: All'esterno, anche le maniglie erano di origine FIAT, in particolare quelle di Regata 1a serie: Le barre sul tetto, paiono le stesse di 131 Maratea... e gli specchi sono i classici Vitaloni degli anni Settanta-Ottanta (nella versione destinata alle forze dell'ordine usavano invece gli specchi verticali del Daily/Ducato). Anche all'interno c'è varia componentistica di modelli italiani di larga diffusione del periodo. Le bocchette centrali sembrano quelle di Alfa 90, mentre i pulsanti sono quelli della plancia di Ritmo Super (poi usati anche su Lancia Prisma e Delta): Sempre sulla portiera, ma questa volta all'interno, anche le maniglie e le sicure bloccaporta provengono da Lancia Delta: In un primo face lifting (presentato nel 1988), i fari anteriori furono sostituiti con altri più semplici (non a doppia parabola), affiancati stavolta dalle frecce di Fiat Uno 1a serie, mentre le maniglie porta esterne vennero rimpiazzate da quelle di Lancia Delta/Prisma.
  4. Giusto una conferma - se mai ce ne fosse ancora bisogno - che Delta II era ormai piuttosto definita già a fine 1986 e considerata prossima al lancio ben prima della sua commercializzazione effettiva... Il disegno in copertina di questa rivista spagnola del febbraio 1987 non sarà fedelissimo al modello reale, soprattutto nella zona di coda, ma l'impostazione e persino i dettagli rivelano che il lavoro di stile era ben definito e ormai già trapelato all'esterno. P.S. Non c'entra una mazza con il topic in questione, ma qualcuno mi può aiutare a ricordare cos'è quel prototipo in bianco e nero indicato come "VW Polo Coupé"?
  5. Torniamo qualche anno indietro, al 1984 per la precisione. Porsche ha già iniziato i lavori per la 964, cioè la 911 che uscirà nel 1989. E' il momento di pensare anche alla sua versione di punta, la mitica Turbo; e molti pensano che sia l'occasione giusta per un salto di qualità. E' soprattutto l'esperienza acquisita con lo sviluppo della 959 che spinge il team verso idee ambiziose. Il lavoro sulla prima supercar di Stoccarda è quasi terminato, nel 1983 è già stato presentato il prototipo del progetto rally Gruppo B, nel 1985 verrà esposta al pubblico il modello di produzione. L'idea per la futura versione top di gamma della 911, è portare lo spirito e alcune delle caratteristiche di 959 su un modello di più larga diffusione, ovviamente ad un livello tecnico (e soprattutto di costo) più basso. Dalla costola del progetto 964, nasce quindi un progetto specifico, denominato 965. Gli spunti 959 sono certamente tecnici, ma l'estetica vuole la sua parte! Ecco il rendering a grandezza naturale: E poi le maquettes, partendo dai primi clay a metà (...non si sa mai...): A quelli con il trucco allo specchio , davanti: ... e dietro: Infine il modello completo, di fronte... ... e di profilo: Per me, l'estetica è un riuscito mix di 964 e 959. Avrebbe fatto la sua figura! Era sulla tecnica però, che si giocava la partita cruciale. I requisiti iniziali erano decisamente ambiziosi, ispirati - dicevamo - alla 959: classico motore 6 cilindri boxer, ma raffreddatto ad acqua, bi-turbo, e testata a 4 valvole per cilindro. Obiettivo: 365 CV. E per far fornte a tanto motore: trazione integrale, cambio doppia frizione, sospensioni pneumatiche attive. I problemi cominciarono proprio con il motore. Senza le soluzioni adottate su 959 (costose e adatte ad un uso racing e da supercar), non si riusciva a raggiungere l'obiettivo prefissato. Furono studiate alternative varie, inclusi perfino motori a V (6 e 8 cilindri) che orbitavano per vari motivi attorno al mondo Porsche. I costi di sviluppo crescevano di conseguenza, ma nel frattempo iniziava per Porsche una crisi pesante, di vendite e finanziaria. Nel 1987 furono decisi tagli di costi importanti e per la 965 si decise di partire (almeno per la fase di debutto) con il motore della esistente 911 Turbo. Sviluppi per future alternative più potenti continuarono comunque, sebbene con chiarissimi limiti di investimento imposti dal nuovo corso. Tanto che l'idea su cui si concentrarono i maggiori interessi fu quella di adottare un V8 di origine Audi, soluzione che prometteva di raggiungere gli obiettivi prestazionali prefissati, a costi ragionevoli. Purtroppo la situazione finanziaria di Porsche continuava a peggiorare e ad Ottobre del 1988, a meno di due anni dal lancio previsto, il management Porsche decise per la definitiva cancellazione del progetto 965. L'erede della 911 Turbo sarebbe stata una "normale" 964 con il medesimo motore (con i dovuti aggiornamenti) della precedente serie 930. Furono distrutti tutti i 16 prototipi realizzati per la 965. Tranne uno. Conservato ancora nei depositi del museo Porsche: Proprio quello con il più discusso dei motori, quel V8 di origine Audi che poteva salvare il progetto 965, ma allo stesso tempo avrebbe forse rischiato di "inquinare" l'immagine del marchio... N.B. Tutte le informazioni che ho riportato qui, sono state rese note al pubblico dalla stessa Porsche a partire dal 2014.
  6. Piccola curiosità, del tutto nuova per me. Nei primi anni Novanta, Porsche avviò il piano di sviluppo della prossima 911. Fu un momento estremamente significativo, perché questo progetto avrebbe segnato il maggior salto generazionale nella storia del suo modello chiave. La 996 infatti avrebbe avuto un corpo vettura completamente nuovo, che significava nuova linea, nuovo abitacolo... Anche meccanicamente avrebbe mantenuto alcune componenti importanti del precedente modello, ma tutto il resto sarebbe stato nuovo, abbandonando persino i tradizionali motori raffreddati ad aria. Come sappiamo, la 996 non fu tutto rose e fiori, in particolare per la sua immagine: non solo per i motoristi nostalgici, ma soprattutto per i giudizi controversi sull'estetica, che ebbe nei famosi fari anteriori "a uovo fritto" le critiche maggiori... (come a volte accade, invece, fu un successo lato vendite). Bene, al momento di studiare la sua prima 911 "moderna", oltre allo studio di design interno, evidentemente Porsche si rivolse anche a degli illustri partner esterni, almeno per definirne lo stile. Qualcosa di cui mai avevo sentito dire, ma neppure immaginato! Ripensadoci bene, però, non deve meravigliare più di tanto, se solo un anno prima Giugiaro/ItalDesign aveva creato per Porsche la 932 (la 4 porte pseudo-Kensington...) Comunque, questo è ciò che propose la nostra Bertone nel 1992: Non si capisce un gran che da questa foto isolata e dalla vista schiacciata, ma se i fari sono forse preferibili a quelli definitivi, decisamente non mi aggrada il paraurti, così rigido e piatto. Sembra rendere tutto il frontale troppo "normale" e poco "911". Evidentemente il team interno ebbe la meglio, coi designer Pinky Lai e Harm Lagaay riconosciuti come autori principali del lavoro di stile finale della 996.
  7. Volendo proseguire questa carrellata di progetti mancati con i quali Renault intendeva ristabilire la propria posizione nel mondo delle ammiraglie, il filo cronologico ci porta a recuperare un post antidiluviano, di cui si sono perse le immagini e che copiava/incollava semplicemente un forum in spagnolo (il quale a sua volta riportava come fonte un sito ormai scomparso...): Al di là della traduzione del testo che immagino non serva, foto e info del post si riferivano a un modello coupé, il cui prototipo si trova effettivamente nel citato museo argentino. Ma da allora le notizie e il materiale fotografico su questo progetto si sono arricchiti assai.* In sostanza, questa è la storia di un ennesimo tentativo di Renault di dotarsi di una grande ammiraglia, stavolta addirittura in collaborazione con la sua affiliata argentina IKA. Anzi, è proprio dal paese sudamericano che parte l'iniziativa: è il 1971 e IKA pensa alla sostituzione del suo modello di punta, la Torino, avviando - con l'approvazione di Renault - il progetto "Torino IV". Il quale però cambia presto denominazione e orizzonti geografici. Viste le difficoltà della casa madre in Francia di dare compimento ai suoi progetti di ammiraglie, Renault e IKA convengono che potrebbe essere l'occasione di condividere gli sforzi su questo nuovo progetto e dargli anche uno sbocco commerciale europeo. Diventa così il programma "Renault 40", cui Renault inizia a lavorare direttamente in Francia con i suoi designers. Vero è che la meccanica dovrebbe rimanere largamente basata sul precedente modello argentino (di origine americana...), ma carrozzeria e stile vengono ripensati da zero, per assumere una marcata impronta Renault, assai più moderna ed europea. Tra le proposte di stile (e relative maquette 1:5), viene selezionata l'idea del designer Robert Broyer per gli ulteriori sviluppi che portano nel gennaio 1972 alla presentazione interna delle maquette 1:1. E' proprio lo stesso Broyer che posa accanto alla sua creatura! Qui in configurazione 2 porte coupé: Ma basta girare intorno e come per magia... ecco apparire una grande berlina 4 porte! Eh sì, è la classica maquette asimmetrica, dove anche i cerchi erano differenziati e che vista da dietro appariva così: Le forme e il trattamento delle superfici appaiono molto vicini a quelli della futura R14 del 1976, che infatti fu sviluppata sulla base della proposta di stile dello stesso Broyer, elaborata appena qualche mese prima. E ancora più possono ricordare quelli della successiva R18, simile anche per l'impostazione tre volumi. La forma del frontale permise anche un'interessante possibilità di elaborare facilmente soluzioni alternative per l'insieme fari-calandra. Oltre alla versione con fari quadrangolari a sviluppo verticale vista sopra (che pare fosse quella destinata al mercato sudamericano), fu proposto anche un più classico insieme a doppi fari circolari inseriti in una calandra a tutta larghezza - e questa sarebbe stata la versione "europea". Chissà perché anche lo stemma cambiava, pur rimanendo entrambi sul tema del toro; un segno chiaro che il brand "Torino" era irrinunciabile, il cuore stesso del progetto... La maquette fu quindi spedita in Argentina, per fare da modello nella realizzazione di alcuni prototipi da parte della filiale sudamericana. Uno di questi, un prototipo marciante di una coupé bianca, completo di meccanica e interni, è conservato nel museo citato nel post originale. Nel 1974, immancabile, arriva la cancellazione di questo ennesimo programma. Partendo da una base tecnicamente obsoleta e di impostazione decisamente poco europea come quella della Ika Torino, una delle difficoltà maggiori era raggiungere gli standard (in termini di performance, consumi, omologazioni, sicurezza etc) richiesti dal progetto, che si sarebbe dovuto allineare alle aspettative anche del mercato europeo della seconda metà anni Settanta. Oltre a ciò, i motivi della decisione furono vari, molti già citati nel post preistorico in spagnolo: dalla crisi petrolifera del '73-'74, alla apertura del mercato argentino alle importazioni di auto straniere; dallo sfavorevole rapporto costi di sviluppo/profittabilità, fino alla prematura morte del principale mentore del progetto. In Argentina si accontentarono di continuare ad aggiornare via via la Torino, mentre il clima socio-economico in Europa rese più ragionevole la decisione di Renault di affidare il ruolo di ammiraglia ad un modello compatto e discreto come la nuova R30 del 1975. *Le principali fonti, oltre ai forum ispanici, sono LosangeMagazine e CarDesignArchives
  8. Grazie @PaoloGTC. Tra l'altro regna una certa confusione attorno a questi progetti che portarono a R30/20. Pare che in origine fossero partiti con un programma indicato con la sola lettera "R" (in una codifica a lettere simile a quella del precedente "H"), poi cominciano a parlare di "120" e non si sa esattamente che differenza vi sia tra i due. Poi arriva il progetto "127", che sarebbe dichiaratamente un'altra cosa, ma anche il confine tra progetto 120 e 127 è labile... Come spesso accade, infatti, il nuovo "127" sembra abbia fatto ampio utilizzo di idee, linee e persino muli del precedente "120". Per esempio, per alcune delle foto che hai postato si legge da più parti che si riferiscano già al "127" e non più al "120"... boh?!? Poi c'è il già citato cambio di nomenclatura da "127" a "X27", che non so datare, ma pare solo riguardare le nuove codifiche interne Renault. Mentre più sostanziale deve essere stata la fase in cui, nell'arco dello sviluppo del "127/X27", è arrivato il nostro Giorgetto Giugiaro. Il suo contributo è ufficialmente riconosciuto, ma non saprei esattamente indicare quale e quanto sia stato. Infine, quella che pare invece una certezza è l'anno (il 1973) in cui è stata presa la decisione finale che dal progetto "127/X27" pensato per l'ammiraglia 6 cilindri (la R30), sarebbe stata derivata la sostituta ufficiale di R16, vale a dire la R20. E allora aggiungiamo qualche altra immagine (tutte riprese qua e là nell'internet) su questi progetti. Maquette attribuita al progetto "127", databile al 1970: Mulo del "127" datato 1973: Altro mulo con carrozzeria completamente diversa, pubblicato sulla rivista francese l'auto-journal nel 1974: Infine una sintesi pubblicata dalla medesima rivista sulle varie fasi dei prototipi messi su strada:
  9. Ormai stiamo ripercorrendo parte della storia delle [MAI NATE] Renault e siamo rimasti all'estate del 1967 con la stroncatura del più ambizioso dei progetti delle Régie, quello di una vera ammiraglia di lusso senza compromessi, in collaborazione con Peugeot. E dicevamo che - lato Renault - la chiusura del Projet H aveva significato ridimensionare le ambizioni e riformulare le idee in un nuovo programma, che prese il nome di Projet 120. Doveva essere la nuova ammiraglia, sì, ma più "ragionevole" del Progetto H e più compatta di una ventina di centimetri almeno (non più di 4,70 m quindi). Un modello tutto nuovo, da posizionare chiaramente sopra R16, ma con una filosofia non troppo distante da quest'ultima: dalla trazione posteriore del Progetto H si passa alla trazione anteriore (come R16), e la carrozzeria deve essere anch'essa a due volumi, come R16 e come le coupé 15 e 17 che sono in via di definizione per uscire nel 1971. Nel 1969 arrivano le maquette a scala reale: Il tema stilistico è chiaro: due volumi con coda piuttosto rastremata, fiancata a tre luci, paraurti dal disegno integrato nella carrozzeria, ma che adesso - a differenza dei prototipi del progetto H - non sembrano più in acciaio cromato bensì in un innovativo materiale plastico! R5 arriverà nel 1972, con i suoi innovativi paraurti in plastica, ma dal disegno meno raffinato di questi. Le affinità con R5 però si possono trovare anche nel disegno dei fari anteriori (nella maquette di mezzo, con i fari rettangolari), ma persino nelle maniglie, con il loro curioso disegno verticale e incassato. Qualcosa però non convince ancora. Le indecisioni sul futuro della gamma alta Renault continuano, il motore di punta pensato per questo nuovo modello (figlio del V8 del progetto H) non è assolutamente pronto, e soprattutto... sono passati quasi 5 anni dalla presentazione e nessuno ha ancora pensato ad un programma per la futura sostituta di R16! E' vero che quest'ultima è un grande successo e non mostra segni di flessione alcuna, ma il tempo scorre per tutti e i rischi di trovarsi impreparati non li può correre nessuno. E' così che la Régie si trova a cambiare ancora una volta i suoi programmi. Il progetto 120 viene chiuso, anzi, trasformato nel 1970 nel nuovo projet 127 (poi X27 col cambio nomenclatura avvenuto nel frattempo). E finalmente, dopo tanti ripensamenti - estetici e strategici - diverrà nel 1975 la nuova R30, assieme alla sorella "minore" R20, pensata per prendere l'eredità di R16.
  10. In parallelo al post sulle [MAI NATE] Renault sul Projet H (link qui sotto), ...ecco la controparte Peugeot ! Dicevamo che a inizio 1967, assieme a tre proposte di stile della Régie, era stata presentata un'equivalente maquette da parte di Peugeot. I quali però, come tradizione, si erano rivolti al loro carrozziere di fiducia, Pininfarina. La proposta per la limousine francese è attribuita a Aldo Brovarone, che pensò a linee decisamente equilibrate e filanti, lontane dalla pesantezza un po' barocca delle maquettes Renault. Una linea, che se fosse arrivata in produzione, sarebbe stata per me la più bella tra le berline di lusso del periodo. Linee sicuramente adatte e riconoscibili per una berlina col marchio del Leone, ma forse difficili da ricondurre ad un'eventuale sorella Renault. Interessante il frontale coi doppi fari rettangolari che poi caratterizzarono le 504 coupé e cabrio. E ancor più degno di nota il dettaglio del convogliatore alla base del parabrezza, della cui funzione non sono certo, ma che mi ha ricordato quello della mitica Maserati Shamal di Gandini.
  11. Proseguiamo nel tempo con le travagliate vicende della Régie nell'alto di gamma. Abbiamo visto come sul finale degli anni Cinquanta, Renault avesse provato ad alzare l'asticella con il progetto 114, con l'idea di realizzare una berlina di rappresentanza con motore 6 cilindri oltre i due litri. E anche come - già nel 1961 - questo fosse stato abbandonato in favore di un segmento più accessibile, con il progetto 115 e la R16 del 1965. Passano pochi anni però e la situazione si ripresenta, in forme ancor più estreme... La storia che segue è stata resa nota nei dettagli da Renault stessa in occasione del salone Rétromobile del 2020 e le info e foto che riporto provengono più in specifico dal sito CarDesignArchives. E' il 1966 e l'orizzonte è quello dell'apertura del mercato comune europeo prevista nel 1968. Vi rimando alla fonte per le informazioni più complete, ma in sintesi è passato appena un anno dalla presentazione della R16, e avviene che Renault e Peugeot firmano un'intesa strategica per condividere alcune attività industriali per ridurre i costi e accrescere la capacità di penetrazione nei mercati europei. Se il primo sviluppo dell'intesa è il progetto comune M121 per le piccole berline che diverranno la Peugeot 104 e la Renault R14, nell'estate dello stesso 1966 parte anche un altro progetto, di tenore esattamente opposto: l'alto di gamma. Si tratta del "Projet H" e questa volta si parla di un livello decisamente superiore: le due case vorrebbero detronizzare Citroen sempre al vertice dell'automobile francese con la sua DS e insieme affrontare la sfida europea contro le grandi tedesche, inglesi e italiane. Il programma prevede la realizzazione di due vetture sorelle, una per ciascun marchio, che condividano la meccanica, mentre non è chiarissimo quanto si sarebbero potute differenziare all'esterno. Le specifiche sono di grande impatto: lunghezza intorno ai 4,90 metri per 1,88 di larghezza, trazione posteriore, sospensioni oleopneumatiche (derivate da quelle che Peugeot aveva sviluppato - senza mai metterle in produzione - su 404), motore addirittura V8 da 3,5 litri (anch'esso demandato a Peugeot come sviluppo). Nel 1967 ci sono già i primi modelli di stile: Uno è presentato da Peugeot (è quello più sinistra), che si è rivolta a Pininfarina. [Ne parlo nella discussione su Peugeot, qui il link] Gli altri tre sono di Renault: all'estrema destra la proposta del designer Jean-Claude Mornard, accanto (semi-nascosta) quella di Vincent Dumolard, più a sinistra quella di Michel Béligond. Tutte condividono una fiancata a tre luci, ma rispetto all'elegante, equilibrata, classica - seppur moderna - Peugeot, le proposte Renault spiccano per un approccio stilistico sicuramente più originale e "trasgressivo", se mi passate il termine. Un tratto comune di queste Renault sono i paraurti in classico acciaio cromato, ma dalla linea fortemente integrata nella carrozzeria. Partiamo da quella in primo piano a destra, quella di Mornard: il frontale è caratterizzato dal paraurti coi lati ricurvi verso l'alto (mi pare che qualcuno li avesse definiti "alla Dalì", ricordando i famosi baffi all'insù dell'artista spagnolo ) e che incorniciano la grande fascia con i proiettori nascosti, perfettamente integrati con la calandra. Poi la fiancata: Una tre volumi, sì, ma dalla coda molto spiovente e il lunotto assai inclinato, tanto che qualcuno la definisce "2 volumi e mezzo". Purtroppo non ci sono molte informazioni sulla maquette di Dumolard (quella parzialmente coperta nella foto di gruppo). Dal dettaglio di un'altra foto (sotto) si evince che era tre volumi pura, mentre per il resto pare condividere l'estetica di tutta la sezione frontale e dei paraurti con la terza proposta Renault, quella al centro della foto d'insieme. Proprio questa, la proposta del designer Michel Béligond, risulta l'unica sopravvissuta e conservata nel museo Renault, completa di meccanica e di interni. Peraltro è anche quella che si distingue per l'impostazione più originale, con la sua linea schiettamente due volumi (sebbene senza portellone), suggerendo l'intenzione di rendere tale formula un tratto caratteristico del design Renault, vista anche la R16 presentata poco tempo prima. Il profilo di coda concavo, così come l'estensione e la forma della terza luce laterale sono davvero inusuali. La vista posteriore mette in evidenza i paraurti che inglobano le luci posteriori, ma anche lo spesso profilo cromato che corre lungo i montanti e il fianco del padiglione fino a terminare sulla coda, ai lati del cofano bagagli. Come dicevo, niente portellone, ritenuto fuori luogo per una limousine di questa classe. Il classico cofano dà accesso ad un grande bagagliaio, tutto rivestito come si conviene, ma dalla forme un po' tormentate... ...anche per la presenza del bocchettone di rifornimento, dotato pure di sportellino dedicato, proprio sotto la maniglia del cofano bagagli: Se le linee esterne non fanno gridare al miracolo - per quanto coraggiose e moderne per i tempi - l'interno colpisce per la ricchezza delle sue dotazioni, obiettivamente non comuni per quegli anni, anche nel settore del lusso. Il progetto degli interni fu affidato al designer Robert Broyer. Il disegno e la sua realizzazione sembrano ancora un po' approssimativi, rivelando una comprensibile distanza da un possibile modello definitivo: Tuttavia, la completezza e il disegno della strumentazione, nonchè la raffinatezza delle sellerie e delle pannellature rivelano chiaramente gli obiettivi di un altissimo livello di lusso e confort del progetto. Le dotazioni prevedono sedili con svariate regolazioni, poggiatesta e poggiabraccia assai estesi e regolabili sia davanti che dietro, persino una climatizzazione con doppia regolazione, anteriore e posteriore. A livello meccanico, il prototipo adotta in effetti un V8 messo assieme da Peugeot accoppiando due 4 cilindri in ghisa, alimentato con due carburatori doppio corpo. Il cambio è un tradizionale quattro marce, con leva al volante, la trazione posteriore. Le sospensioni sono a doppi triangoli sovrapposti, con ammortizzatori classici. La fine è sempre la stessa... Nuove analisi di mercato e l'avanzare del progetto mettono in evidenza i rischi estremi di redditività dell'intero programma, soprattutto a causa degli elevati investimenti richiesti per lo sviluppo. A metà 1967 il Progetto H viene chiuso. Le ambizioni di alto di gamma dei due marchi vengono drasticamente ridimensionate, riformulando nuovi progetti assai meno arditi (projet 120 Renault e projet J Peugeot). Non venne del tutto abbandonata l'idea di un nuovo motore plurifrazionato, ma sarà "solo" un V6, che sfrutterà comunque l'esperienza degli sviluppi iniziali del V8 cassato col progetto H e diverrà il famoso PRV, che finalmente vedrà la luce solo 7 anni dopo, montato per la prima volta sulla nuova ammiraglia... Volvo 264! Sì, perché nell'accordo Peugeot-Renault per il nuovo V6, ad un certo punto si era inserita anche Volvo come partner, ultima ad arrivare e prima a beneficiarne...
  12. Riprendiamo il discorso da dove lo abbiamo lasciato, cioè dal progetto 115, avviato nel 1961 e chiuso nel 1965 con la commercializzazione della fortunata Renault 16. E che ci facciamo qui nelle [MAI NATE] se parliamo di un prodotto finito e stranoto come R16? Be', un motivo c'è. Anzi... sono tre! [Micro semi-OT] E non si tratta di una classica design story, ché quelle io le vedo meglio in apposite discussioni, mentre questi thread [MAI NATE] generali mi paiono più adatti a specifici progetti effettivamente mai portati in produzione. Ma è un mio punto di vista, per carità. [fine Micro semi-OT] Dicevo... progetto 115. Tutti conosciamo la R16 (chi non la conosce è chiaramente un neonato. O forse no? ), un successone che dal '65 scavalcò tutti gli anni Settanta per concludere la propria carriera solo agli albori degli anni Ottanta, con quasi 2 milioni di esemplari venduti. E tutto con una sola configurazione di carrozzeria. ...ma anche lei ha i suoi scheletri nell'armadio... Durante la gestazione infatti, l'idea di una versione sportiva della nuova "ammiraglia" di casa era stata affrontata con decisione. Si voleva probabilmente dare lustro alla nuova arrivata con un modello esclusivo e di immagine. Ecco dunque non uno, ma ben due prototipi - che le fonti datano entrambi al 1963 - di coupé sviluppati all'interno del progetto 115. Il primo è interessante perché il disegno appare del tutto scollegato dal modello di origine: Uno stile classico, forse non molto sportivo, ma raffinato ed elegante. Forse non è un caso che, secondo la fonte di questa foto d'epoca, si tratti della proposta di Bertone denominata "Ontario", realizzata nel '63 come già detto. Ed ecco altre foto dell'esemplare tutt'oggi esistente e conservato, dalle quali emergono coda e (soprattutto) frontale come elementi caratterizzanti: Se questa sopra appare come un'idea decisamente a sé stante, lo stesso non si può dire di questa seconda proposta: Qui il collegamento con R16 è palese, sebbene alla fine solo il frontale sia davvero in comune con la berlina; proprio l'insufficiente condivisione di componenti - e quindi il costo - risultò alla base della decisione di non procedere, ma forse anche lo stile un po' troppo convenzionale non aiutò. Peraltro, come è abbastanza evidente, proponeva una soluzione coupé-cabriolet, per mezzo di un hardtop asportabile. Interessanti anche i paraurti posteriori arcuati, un dettaglio abbastanza di moda all'epoca, sebbene qui non trovi un'integrazione ottimale per via dell'uso degli stessi fari posteriori della berlina. Ancor più degno di nota il particolare della calandra con il setto centrale in lamiera, in continuità con la scanalatura del cofano, a dividere realmente in due la calandra. Soluzione vista in più di uno dei disegni originali dello sviluppo di R16, e che per qualche ragione arrivò in produzione in versione "grigliata", perdendo gran parte dell'effetto stilistico. Un'idea, questa della calandra bipartita, forse attribuibile al designer Philippe Charbonneaux, il quale è l'autore anche della terza mai nata di questo post: la R16 tre volumi! E' indubbio che la scommessa più forte della nuova R16 fu la formula due volumi con portellone. Tanto innovativa che persino a presentazione ormai già avvenuta (nel 1965), ancora i dubbi erano tali che uno dei designer di punta di Renault, Charbonneaux appunto, realizzò questa proposta a tre volumi a posteriori, just in case... Evidentemente non ce ne fu bisogno. E il prototipo lo ha conservato nella sua collezione lo stesso Charbonneaux, collezione poi passata al museo dell'automobile di Reims, dove si trova adesso: Stile molto "francese", ma non nella migliore delle sue espressioni a mio avviso. Avevo detto di tre motivi per parlare di [MAI NATE] a proposito di R16, e allora qui mi potrei fermare. Ma... oggi abbiamo il bonus! RAG (1966) Dopo la bocciatura delle coupé all'interno del programma 115, l'idea di una sportiva di gamma più alta non era evidentemente sopita in Renault. E così, nel 1966 Renault, Alpine e Gordini si misero tutti insieme (da qui la sigla R.A.G.) per lavorare su una sportiva basata su meccanica R16. Una coupé due posti, pensata anche come spider con hardtop, dalla linea piacevolmente aggressiva a mio parere, ma che non ebbe seguito perché considerata troppo elitaria (due soli posti...) per il pubblico più familiare che Renault intendeva raggiungere. Obiettivo che si decise quindi di perseguire all'interno del programma 117 (in sviluppo per la R12), derivandone le note coupé a quattro posti (le R15 e R17) che usciranno nel 1971.
  13. Nel lontano 1958 Renault avviò gli studi per la sostituta della sua ammiraglia dell'epoca, la Frégate. Una prima proposta di stile arriva da Ghia, che in quel periodo collabora molto attivamente con Renault. Se il frontale è relativamente classico e americaneggiante, con i parafanghi protesi in avanti, dietro la linea si distingue in modo assai originale per la forte modanatura sulla fiancata e soprattutto per la coda spiovente quasi a due volumi, pur non prevedendo un portellone. Il modello asimmetrico qui sopra, rivela anche il fatto interessante che la proposta prevedeva sia la soluzione a due porte (qui sopra), sia quella a quattro porte e sei luci (sotto la maquette): Il presidente Renault dell'epoca, Pierre Dreyfus, pensa in grande però, e intende sviluppare un'auto di livello superiore, in grado di competere anche nel ricco mercato statunitense, nel quale Renault si è lanciata da poco. Il Progetto 114 viene avviato secondo questi obiettivi e prende corpo come una berlina tre volumi da 4,50x1,72 metri, dotata di un nuovo motore 6 cilindri in linea da 2,2 litri e 110CV circa, classica trazione posteriore con cambio a 4 marce, freni a disco sulle quattro ruote con servofreno Hydrovac. Nel 1961 i prototipi sono già numerosi, con varie proposte di stile. Dal prototipo denominato "Bagatelle": ...che ha tutta l'aria di essere la trasposizione in scala reale del modellino già postato da @PaoloGTC tempo addietro, attribuito a Gaston Juchet e Luc Louis: Poi quello del designer Michel Beligond: Non molto distante nell'impostazione generale da quest'altra, su cui aveva lavorato ancora Ghia (attribuita a Sergio Sartorelli): ...poi ulteriormente evoluta nel frontale e nella forma/dimensione del terzo finestrino laterale: Tuttora ne esiste un prototipo in colore azzurro nei musei della Régie: Visto che siamo in questa sezione, è chiaro che niente di tutto ciò ha mai visto la luce, perché nel 1961 il progetto 114 fu cancellato. Perché? Le motivazioni furono ricondotte ai risultati deludenti di abitabilità, a previsioni sui costi di produzione giunte a livelli eccessivi, mentre la situazione di Renault nel mercato americano era assai meno rosea di pochi anni prima e tensioni attraversavano anche i mercati europei. Dreyfus e i responsabili della Régie ritennero quindi necessario riformulare l'idea del nuovo modello di punta Renault, puntando un settore di mercato che si stava rivelando centrale nell'Europa di quel periodo, quello delle berline medio-superiori da famiglia, di cilindrata media, interpretato però in forme originali e innovative. Nacque così il nuovo progetto 115, che fece tesoro di alcune delle esperienze del precedente 114 e finalmente portò nel 1965 alla presentazione della nuova R16.
  14. Al di là dei gusti personali, a me sembra comunque un goffo tentativo di rispondere a questa: (Toyota FJ Cruiser, uscita nel 2006, mentre LR L319 uscì poi nel 2010**) **EDIT: come ha giustamente notato @Renault, ho scritto una vaccata sulle tempistiche, quella Discovery uscì nel 2004, quindi non è ovvia l'ispirazione a FJ... chiedo venia
  15. Un paio di cosette che ancora non erano uscite su questa discussione: serie di maquette in scala ridotta per Tigra A: Se le prime due proposte in alto si sono riviste fino a modelli in scala reale, e perfino in versione cabriolet, le ultime tre in basso per me erano del tutto ignote! Proseguo adesso con una storiella divenuta nota al pubblico solo pochi mesi fa... Si tratta di una vicenda attorno allo sviluppo della prima utilitaria Opel, quella che diverrà Corsa. Il sito opel-corsa-a.com da tempo contiene una esaustiva sezione (tutta in tedesco...) sulla genesi di tale modello, incluse le note implicazioni industriali in terra di Spagna. E già lì, si possono trovare informazioni sui primi tentativi Opel di lavorare ad una piccola trazione anteriore, a partire dal 1969 e nei successivi primi anni Settanta. Usando la meccanica di una Mini recuperata da un demolitore e rivestendola di un curioso scheletro che avrebbe dovuto abbozzare le ipotetiche forme della nuova piccola, i designer Opel studiarono e sperimentavano in concreto la nuova tecnica. Per quanto l'idea avesse avuto supporto da parte del management Opel/GM, è noto che questi primi sviluppi si fermarono di fronte all'assenza di capacità produttiva in Europa da parte di GM. E sappiamo che ci vollero anni per riprendere il discorso con il nuovo progetto "S-car" che divenne Corsa e con il nuovo stabilimento spagnolo di Saragozza. La notizia pubblicata più di recente, dicevo, riguarda un paio di nuovi dettagli piuttosto curiosi. (la fonte è il giornalista tedesco Frank B. Meyer) Il primo è che i designer Opel cercarono fortemente di convincere il management GM per approvare il progetto, al punto da chiamare un'azienda pubblicitaria per realizzare un filmato da mostrare ai vertici di Detroit, cosa che il capo di Opel di allora, Alexander Cunningham, fece con successo. Sfortunatamente è andato perso, ma proprio da quel filmato è stato tratto quest'altro fotogramma della piccola "gabbia", in quello che sembra un confronto dimensionale con le grandi berline Opel del periodo. L'ok ricevuto da Detroit si scontrò, dicevamo, con il problema degli stabilimenti produttivi. E qui giunge la seconda curiosità... Alla ricerca di una soluzione, e ancora lontani dall'avventura industriale spagnola, GM aveva persino tentato un accordo con la dittatura di Ceausescu, per produrre la nuova piccola Opel in Romania! A quei tempi, in effetti, lo stato romeno era in cerca di una partnership con aziende automobilistiche occidentali, per avere in Romania una fabbrica capace di produrre fino a 150.000 vetture l'anno, da vendere anche (soprattutto...) in Occidente. L'accordo finale sappiamo che finì per essere siglato con Citroen, creando la Oltcit per produrre la mitica Axel. Dicevamo però che GM aveva avuto i suoi contatti... ecco, avvenne attorno al 1975-76, quando una delegazione Opel fu spedita in Romania per incontrare una rappresentanza governativa rumena e discutere il progetto della fabbrica per la quale era previsto un investimento di 675 milioni di Dollari. A seguito dell'incontro, nessuno si fece più sentire dalla Romania e GM decise quindi per la chiusura dell'intero progetto, incluse le sue vicende rumene.
  16. E visto che ne ho parlato altrove, la tiro fuori anche qua... Jaguar Sport XJR-15 ...e le sue luci posteriori riprese dalla Mazda 626 coupé del 1987 (serie GD) Ma anche le maniglie interne sblocca porta: ...riprese dalla ancor più popolare Renault Supercinque!
  17. Si è parlato nella sezione "[MAI NATE] Ford" della concept car Maya e della sua "cugina" Lotus Etna. Quest'ultima sappiamo essere stata un'idea portata avanti tra Lotus e Ital Design intorno al 1984, per una possibile supercar da mandare sul mercato nella seconda metà degli anni Ottanta, posizionata sopra Esprit. Restò un progetto, che le difficoltà societarie Lotus non consentirono di concretizzare, complice anche l'arrivo di General Motors a inizio 1986. Proprio l'avvento dell'era GM fu però l'occasione, un paio d'anni dopo, di riprendere in mano l'idea di una autentica supercar di alto profilo, per la quale venne adottata la sigla di progetto M300. I concetti di base erano rimasti piuttosto vicini all'idea precedente, pur aggiornati alle condizioni di mercato e capacità tecniche del periodo. In Lotus fu il designer Peter Stevens a buttare giù le idee fondamentali del progetto e della linea, giungendo a realizzare intorno al 1988 le prime maquette. Già da questo modello in scala (l'unico...), appare evidente il distacco dalla impostazione suggerita da Giugiaro con Etna quattro anni prima. Non più un'evoluzione concettuale e stilistica di Esprit, ma proprio un balzo verso quello che oggi chiameremmo il mondo delle hypercars, e che ai tempi gli organi di comunicazione Lotus definivano curiosamente come "megacar". Di nuovo, per Lotus avrebbe dovuto rappresentare l'occasione per mettere su strada le tecnologie più avanzate su cui la casa di Ethel lavorava da tempo a vario titolo: dalla scocca in fibra di carbonio ad un ipotetico, nuovo ed esclusivo motore V12 e via dicendo... Ancora un volta però, le possibilità di portare in avanti un simile progetto non apparvero sufficientemente supportate da prospettive sostenibili, in particolare per un "proprietario" dotato di fondi, sì, ma attento ai risultati come GM. Un anno dopo, nel 1989, pressoché l'intero team che vi aveva lavorato - incluso il già citato responsabile design, Peter Stevens - lasciò Lotus per unirsi al gruppo di Gordon Murray che svilupperà la McLaren F1. La linea di questo modello però, mi ha portato a due collegamenti interessanti, che riconosco tuttavia come riflessioni personali e dei quali non posso portare alcuna prova, sorry. Il primo è quello più "ragionevole", semplicemente perché si porta dietro il nome dello stesso designer, Peter Stevens. Si tratta della Jaguar XJR-15, sviluppata a partire proprio dal 1988 e giunta in produzione (si fa per dire, 53 esemplari...) nel 1990. Le differenze sono tante, chiaro, ma certe idee caratteristiche secondo me erano rimaste. Più azzardato filologicamente, ma per assurdo più evidente da un punto di vista estetico, il collegamento ad un altro modello, questa volta precedente: la coda lunghissima priva di sporgenze aerodinamiche, l'impostazione forward cab, le superfici fluide e taglienti... ecco vari motivi per accostarla alla Chevrolet Corvette Indy, la concept car del 1986. Lavoro di stile sviluppato in USA dal designer GM Tom Peters sotto la guida dell'allora responsabile Chuck Jordan, a debita distanza - geografica e temporale - dal lavoro per Lotus M300 svolto un paio di anni dopo, in Inghilterra, da Peter Stevens. Però... però... c'è una questione interessante che è storia documentata, sebbene mai associata da nessuno a questo parallelo tra M300 e Corvette Indy. Appena dopo che il concept di Corvette Indy fu presentato al pubblico, GM volle passare dalla fase di modello statico a quella di prototipo marciante, operazione per la quale il responsabile stesso Chuck Jordan si rivolse indovinate a chi? Be', proprio alla neo-acquisita Lotus e a suoi ingegneri capeggiati da Peter Stevens, naturalmente. I quali ebbero mandato di metterla su strada dotandola di tutte le specifiche immaginate per quel concept. Cosa che fecero, pur sapendo che non avrebbe portato ad alcuna produzione, ma mi piace pensare che quel futuristico concept GM abbia colpito Peter Stevens al punto da provare a portarne comunque qualche idea sulla lungamente vagheggiata supercar Lotus.
  18. [PARTE 3a e ultima] Abbiamo visto Giugiaro escluso dalla gara di stile, ma dal punto di vista tecnico si continuava a sviluppare con il forte contributo ancora di Ital Design. La quale aveva già messo su strada il prototipo marciante di Maya, dotato del motore V6 3 litri standard di Taurus montato in senso trasversale che aveva fornito Ford secondo gli accordi (il previsto SHO era lontano dall'essere disponibile...). Prima di spedirla in America, fu persino fatta provare alla rivista inglese CAR - nei dintorni di Torino, of course: Accanto al prototipo originale però, Ital Design aveva nel frattempo sviluppato un altro esemplare, creato per specifici test dinamici richiesti da Ford: la Maya II EM (M per Muletto) Al di là di meno significative differenze nella linea, il prototipo aveva questa volta un motore assai più performante. Sempre in assenza dello SHO Yamaha, Ford aveva allestito una versione biturbo del solito V6 Taurus, accreditata di 225CV e installata questa volta in senso longitudinale. Fu spedita in USA a Settembre del 1985, dove il team SVO di Ford la fece testare sul proprio circuito da un pilota d'eccezione: Jackie Stuart! Le impressioni furono molto positive, già in linea con la migliore concorrenza e con la sensazione che dal prototipo alla realtà avrebbero potuto solo migliorare. Ford costruì anche un ulteriore muletto basato sulla EXP (la piccola sportiva USA derivata da Escort), riadattata per ospitare in posizione centrale un prototipo del famoso motore SHO e forse addirittura una trasmissione integrale. Mentre SVO aveva commissionato a Roush Engineering altri due muletti, uno motorizzato con l'unità SHO che Yamaha aveva portato fino a 3.6 litri per compensare la massa nel frattempo cresciuta, l'altro con un classico V8 Ford "Windsor" che avrebbe dovuto simulare l'eventuale adozione del futuro V8 modulare anch'esso in sviluppo. I due prototipi Roush curiosamente erano rivestiti da scocche modificate della Pantera GTS, e sono tutt'ora conservati nel museo Roush. Finalmente il 16 Luglio 1986, al meeting che doveva ratificare l'approvazione finale e trasformazione del progetto GN34 in programma di sviluppo per la produzione, un ulteriore spettacolare confronto venne allestito nella grande showroom a Detroit: al modello originale Ghia di un anno prima, venne affiancata una nuova maquette che rappresentava il lavoro di evoluzione e affinamento svolto sul modello originale dal team americano dell'Advanced Design Studio. Ma guardate chi spunta dietro la coda della nuova maquette... ...per l'occasione Ford aveva acquistato addirittura un esemplare di Ferrari Testarossa, per un confronto in carna ed ossa! Questo non perché Testarossa fosse adesso da considerare una reale concorrente, ma per evidenziare come si fosse alzato il livello di percezione, quanto meno estetica, per questa nuova sportiva. Ma a sorpresa, tutto questo si scontrò con una novità inattesa... In quello stesso meeting, il mitico Bob Lutz, allora capo della Truck Division in Ford USA, mise sul tavolo un progetto concorrente per approvarne la produzione. Di cosa si trattava? Non di un'altra sports car, ma di quello che lui stesso chiamò uno "Sport Utility Vehicle", in sostanza una versione 4 porte del Ford Bronco, che avrebbe attratto molte famiglie in un nuovo segmento, quello dei SUV appunto. A parità di investimento, il suo prodotto avrebbe venduto centinaia di migliaia di pezzi (invece delle poche decine di migliaia previste per GN34), con ampi profitti, e raggiungendo una platea ben più vasta e facile da avvicinare e mantenere per un marchio come Ford. Allo stesso tempo il progetto GN34 si stava scontrando con la svalutazione del dollaro e quindi la crescita dei costi legati alle origini europee (sviluppo e produzione) della supercar. C'era spazio solo per uno dei due programmi, e - come oggi sappiamo - l'investimento fu destinato al più sicuro e popolare dei due. Il 27 Agosto del 1986 il progetto GN34 fu definitivamente cancellato e nel Marzo del 1990 il nuovo SUV di Ford, l'Explorer, arrivò sul mercato USA per rimanerci fino ai nostri giorni. [FINE] Info e foto da varie fonti (Ital Design, Steve Saxty, CAR, Autoweek, CarDesignArchives, Autoblog.com, Bryan McTaggart)
  19. [PARTE 2] ...dicevamo che Maya è il primo approccio di Giorgetto Giugiaro a questo progetto Ford. Il team SVO di Ford aveva individuato nel V6 da 3 litri che stava sviluppando con Yamaha per la Taurus ad alte prestazioni (poi divenuto famoso con la sigla SHO) il motore adatto per questa sports car e - secondo l'accordo - Ital Design lo avrebbe utilizzato come base per lo sviluppo del progetto, che quindi prevedeva una sportiva a trazione posteriore e motore centrale, sulle idee di stile che Giugiaro stava buttando giù per Maya. Ital Design aveva anche indicato nella carrozzeria francese Chausson il partner ideale per la produzione. A quel punto le idee erano già ben definite per il team SVO, che a Luglio '84 presentò il progetto ai vertici Ford. Tutto sembrava avere le carte in regola, incluse le basi e le prospettive di marketing, ma a sorpresa fu criticato l'intero impianto del progetto, considerato troppo rischioso per il ricorso massiccio a fornitori esterni, difficili da tenere sotto controllo da vari punti di vista, incluso quello dei costi. Motivo per cui fu richiesto di valutare soluzioni "interne" più semplici ed economicamente più sostenibili. Si guardò allora rapidamente a Sierra come plausibile base di sviluppo per efficacia, economicità e affidabilità, ovviamente virando verso un'impostazione assai più classica a motore anteriore. Ital Design, pur di non perdere la possibile commessa di un colosso come Ford, subito lavorò ad una maquette in scala reale che usava Sierra come riferimenti fondamentali (misure, impostazione meccanica), mentre in parallelo fu chiesto di svolgere lo stesso compito anche all'Advanced Design Studio di Ford America. Nel frattempo, come già detto, a Novembre '84 Ital Design presentò al pubblico il concept Maya. A Dicembre di quello stesso 1984, il team SVO tornò al board Ford presentando 3 modelli: - la proposta Ital Design basata su Sierra - la proposta Advanced Design Studio Ford (USA) sempre derivata da Sierra - infine la proposta originaria di Ital Design, vale a dire lo stesso concept Maya appena presentato al Salone di Torino (ecco qualche fotina ufficiale, giusto per ricordare anche uno dei tanti volanti multifunzionali dei concept Giugiaro del periodo...): Di fronte a tali sfidanti, Maya ha vita facile e si riprende la ribalta: il progetto GN34 dovrà essere sviluppato partendo da lei, con l'indicazione esplicita di rimodulare lo stile per differenziarsi più nettamente dalla Lotus Etna, presentata un paio di mesi prima; e 10 mesi di tempo per ripresentarlo al board per l'approvazione definitiva. Mentre Giugiaro lavora alla richiesta evoluzione di Maya, Ford muove la propria cavalleria per fornire delle alternative interne di stile. Viene quindi coinvolto di nuovo l'Advanced Design Studio di Ford International a Detroit, ma anche la branca italiana del design Ford, vale a dire Ghia. Nel frattempo i 10 mesi concessi vengono ridotti e già ad Agosto del 1985 è prevista la presentazione delle proposte definitive di stile. L'obiettivo di attaccare Ferrari è evidente fin nel più ovvio dei dettagli: tutte le concorrenti sono rigorosamente rosse! - Giugiaro si presenta con Maya II ES (ES per Evoluzione Stile), stavolta chiaramente marchiata "Ford" - l'Advanced Design Studio di Ford International (USA) si lancia con un modello che si distingue per il volume di coda molto allungato e di gusto certamente più americano che europeo: - infine Ghia arriva con un'interpretazione originale, sofisticata e sicuramente riconoscibile come "europea" Quale fu il verdetto? Be', Ital Design fu la prima a essere coinvolta in questa idea. Ma curiosamente anche la prima ad uscirne, almeno per quanto riguardò la definizione dello stile. Da questo confronto infatti, uscirono vincenti le proposte Ford e Ghia, che furono selezionate per un successivo clinic test che si sarebbe tenuto in California (stato di elezione di questa categoria di vetture) davanti ad un gruppo di proprietari di vetture concorrenti quali Nissan 300ZX, Porsche 944/928, Corvette e ovviamente Ferrari 308. Il test californiano di quel tardo 1985, dove i due modelli GN34 erano ovviamente presentati in modo "anonimo", senza rivelarne il marchio, fornì dei riscontri importanti: intanto la proposta Ghia fu quella nettamente preferita, non solo rispetto all'altra proposta, ma persino rispetto all'intero lotto di concorrenti, Ferrari inclusa. Alla quale, senza ancora informazione sul marchio, i potenziali clienti la associavano ritenendola nella stessa fascia di prezzo. E comunque, una volta indicato il marchio Ford, pur dichiarando che non avrebbero pagato la stessa cifra di una Ferrari, i clienti ne valutarono un prezzo ben superiore a quanto preventivato nel progetto. Forte del riscontro di marketing più che positivo, il progetto GN34 proseguiva con una direzione ormai chiara, almeno per quanto riguardava lo stile. Fine seconda parte [continua...]
  20. FERMI FERMI FERMI... Forse non cambiano il senso generale della storia, però alcuni importanti dettagli sulla Ford GN34 stanno un po' diversamente... A cominciare da chi ha creato i vari prototipi e studi di stile: No no... questa sopra non è la proposta di Ital Design. Anche se veniva comunque dall'Italia, perché si tratta invece di quella realizzata da Ghia, cioè quello che da qualche anno era diventato lo studio di design e prototipi di proprietà Ford a Torino. E quindi, su questa qui sotto... ...mmmhh, sorry, è ancora no! Si è detto che Ghia è quella in alto; questa qui invece viene da oltreoceano... per essere più precisi dall'Advanced Design Studio Ford di Dearborn (Michigan, USA). Il team americano dello stile Ford, infatti, appena seppe che un progetto di tale portata rischiava di essere affidato a un esterno quale Giugiaro, subito pretese di poter entrare nella partita e si buttarono nella mischia con questa proposta. E il nostro Giorgetto nazionale allora? C'è anche lui certo, e secondo un cliché che ormai si è attaccato a Giugiaro come uno stigma, tutto sarebbe nato con uno dei suoi classici ricicli. Una versione di questa storia, infatti, vede nascere tale progetto Ford con la presentazione del concept Maya di Ital Design, la sportiva motorizzata Ford che - secondo alcuni - altro non era che un riciclo/evoluzione del concept Lotus Etna, sempre di Giugiaro e presentato poco tempo prima. Effettivamente in quel momento Giugiaro aveva in mano il progetto della potenziale erede di Esprit, quello che sfociò nella show car Etna del 1984, cui Lotus però non dette seguito per una serie di congiunture sfavorevoli che la colpirono in quegli anni. Secondo i detrattori del designer di Garessio, quale migliore occasione per riciclare il tutto - ovviamente con qualche variante - agli americani? Ma può essere andata davvero così? Verifichiamo un po' le tempistiche: - Ottobre 1984: al Birmingham Motor Show viene presentata la Lotus Etna, concept della casa di Hethel realizzata da Ital Design. - Novembre 1984: al Salone di Torino la stessa Ital Design espone Maya, prototipo privo di marchio (o meglio, esposto con il proprio marchio Ital Design), sebbene motorizzato Ford. Quindi, Maya. Uno studio dall'impostazione meccanica e stilistica vicina a Lotus Etna, certo, ma volendo essere onesti, è difficile pensare davvero ad un riciclo realizzato in un solo mese... Allora quale potrebbe essere la storia vera? Le fonti più accreditate riportano che quando nel reparto SVO (Special Vehicle Operations) di Ford USA venne l'idea di progettare questa sports car (era la fine del 1983), per qualcuno fu naturale rivolgersi al designer più in voga del momento, il padre della DeLorean, ma soprattutto colui che con Ital Design era in grado di fornire insieme stile e competenze di industrializzazione adatte ad una sportiva di quella tiratura. Ford quindi approcciò Ital Design già nella primavera del 1984 e in risposta Giugiaro propose agli americani un curioso affare (già citato da @DOssi) : "voi ci date un bel motore e per 120.000$ noi ve lo restituiamo rivestito con questo progetto che abbiamo già semi-pronto, ovviamente completato." E così avvenne. Ma cos'è che Ital Design aveva davvero in mano in quel momento? Di che progetto "semi-pronto" si tratterebbe? E' lecito supporre che Ital Design stesse già collaborando con Lotus in quel periodo ed effettivamente, a vedere questi disegni realizzati per Etna, saltano agli occhi varie idee poi viste su Maya... ...ma la questione è che Giugiaro non poteva ancora sapere che Lotus non avrebbe dato seguito ad ulteriori sviluppi. Quindi non poteva già "vendere" a Ford qualcosa su cui stava attivamente lavorando con un altro committente. Tanto più che esiste un documento ufficiale su Maya molto interessante, fuoriuscito in qualche modo da archivi Ital Design e finito in aste di settore: Guardatevi il dettaglio di nome, firma e data di questa tavola: Si parla di "Maya" già nel lontano maggio del 1983. Addirittura un anno prima dei primi contatti con Ford! Quindi la derivazione (o riciclo) di Maya da Lotus Etna, è un'idea piuttosto vaga, probabilmente impossibile da stabilire. [continua...]
  21. Buondì, ritiro su questa discussione "storica" solo per aggiungere un paio di foto all'abbondante materiale che @PaoloGTC aveva già condiviso sullo sviluppo di questa amata coupé, di cui tra l'altro ho rivisto in strada un vecchio esemplare qualche giorno fa. Era un pezzo che non mi capitava... Comincio con un piccolo (per davvero, scusate, ma più grande non c'era...) sketch: ...il cui valore sta soprattutto in un paio di particolari del frontale: uno è la linea sul parafango anteriore, che compariva anche in altri disegni preliminari postati da Paolo e che finalmente apparirà nella successiva Omega B (Calibra aveva solo una lieve piega); l'altro è la calandra, con quel piccolo setto centrale che voleva riallacciarsi alla precedente Manta. Un'idea che non rimase solo su carta, ma che ebbe le sue chance concrete! Guardatevi questo prototipo... Oltre alla citata calandra, è interessante per tante altre differenze rispetto al modello che andò in produzione. A cominciare dai fari, che non si estendevano sul parafango ma rimanevano tagliati a livello della linea del cofano. Questo frontale comunque a me sarebbe piaciuto, aveva un'aria più "cattiva". I paraurti erano anche diversi, così come gli specchi, apparentemente più levigati. Ma la cosa che mi incuriosice di più di questa maquette è la vetratura laterale dotata di cornici - e priva di deflettore sul finestrino anteriore. Era evidentemente un tema importante di decisione in quel momento, tanto che lo stessa maquette era asimmetrica e presentava dall'altra parte la soluzione priva di cornici e con il deflettore (scusate le dimensioni, ma di nuovo... o così o pomì!) Calibra sappiamo che alla fine ebbe i vetri a vista e sicuramente l'immagine ne guadagnò. Infine due ulteriori immagini, che ovviamente si riferiscono ormai agli ultimi stadi dello sviluppo. Probabilmente si tratta della stessa maquette, solo agghindata con qualche particolare in più nella seconda immagine: dai dettagli come l'antenna sul tetto o il tergilunotto, all'aggiunta dei "labbri" aerodinamici sotto il paraurti anteriore e come minigonne laterali, dallo spoilerone appoggiato sul bagagliaio, ai cerchi differenti (a proposito, questi qui della seconda foto qualcuno ricorda se li hanno poi usati davvero?). Per completezza, qui sotto cito i due post di Paolo a cui potete riandare per rileggere tutta la storia e rivedere tutto il materiale (cliccate sulla freccia a destra per andare al post originale, qui li ho abbondantemente tagliati per non appesantire troppo).
  22. Dicevo nel post di venerdì, che i modelli Lancia di Zagato di cui intendevo parlare sono due. ...ma poi ne ho presentato uno solo, la Fulvia Sport. Intendo pagare il debito e quindi ecco il secondo: la Lancia Flavia Sport Zagato del 1962, un'auto che mi stupisco non fosse ancora venuta fuori in questa discussione! Tra i tanti aspetti significativi e particolari con cui Ercole Spada caratterizzò questo modello, segnalo la calandra "spezzata" che si estende sul cofano, che recentemente abbiamo visto come un tratto particolare di alcune calandre BMW, per esempio. Ma è certamente sulle vetrature che questa linea si distingueva dalla massa: a cominciare dalle spesse cornici cromate attorno a tutti i vetri, e qui torna il dettaglio - già ricordato su altri modelli - del montante A in metallo cromato. La cui forma particolare determina inoltre un taglio del vetro anteriore concavo, piuttosto raro in effetti. La vetratura stupisce anche in coda: Ed è per l'originale lunotto concavo, stavolta. Ma non basta: lo stesso lunotto è curiosamente apribile, tramite un esclusivo sistema di sollevamente elettrico! Dalla foto sopra risalta ovviamente un altro dei tratti più caratteristici di questa linea, vale a dire i finestrini posteriori avvolgenti sul tetto, un dettaglio certamente esclusivo e utile per dare una maggiore luminosità all'abitacolo, ma che richiese proprio per questo di dotarli di alette parasole dedicate! Sconfinando nell'argomento [MAI NATE], si sarebbe potuta aggiungere un'ulteriore particolarità a questa linea assolutamente esclusiva, se il prototipo presentato nella primavera del 1962 - al Salone di Ginevra - fosse arrivato alla produzione così com'era: Evidente quale sia la caratteristica che si perse nel passaggio da prototipo a produzione: il taglio netto del passaruota posteriore a creare una parziale carenatura della ruota. Curioso anche notare il "photoshop" ante-litteram per i documenti promozionali (qui sotto una foto per il materiale marketing olandese), che ancora utilizzava immagini del prototipo ed evidentemente non aggiornate al momento di andare in stampa... E non successe solo in Olanda... Ancora nel 1963, mesi dopo la presentazione del modello definitivo al Salone di Torino dell'autunno '62, anche il materiale italiano del "Servizio Propaganda Lancia" (sì, allora si chiamava proprio così ) stampava e distribuiva depliant con immagini del prototipo...
  23. Ci sono due modelli Lancia di Zagato che mi intrippano per una serie di particolarità interessanti, alcune delle quali magari già viste in questa discussione, però su altri modelli. Una è la Fulvia Sport Zagato del 1965, con la sua calandra a classidra, ben prima delle Lexus degli ultimi due lustri... In questa foto si fa notare anche il cofano ad apertura laterale, forse meno esclusivo come dettaglio, tra l'altro modificato nel '70 portando le cerniere sul lato anteriore. Altra modifica dello stesso anno riguardò l'eliminazione del più caratteristico vano della ruota di scorta : ...il cui coperchio, come altre parti della carrozzeria delle prime serie, era realizzato il Peraluman, particolare lega leggera di alluminio con magnesio.
  24. E' stato al centro di una breve discussione - qualche anno fa - questo modello a scala reale che si trova negli uffici dell'azienda di Giugiaro. Di cosa si tratta? E' una realizzazione fatta a posteriori da Fabrizio Giugiaro come regalo di compleanno a suo padre, per il suo 70°, ormai nel 2008, e costituisce una trasposizione come modello a scala reale dei disegni che Giorgetto Giugiaro realizzò come ultimo lavoro presso la carrozzeria Bertone, nel 1964. E cosa c'entra Lamborghini? Be', è qui che la storia si fa particolarmente interessante... Giorgetto Giugiaro lavorò al progetto senza una indicazione certa del cliente finale, cioè del produttore cui sarebbero stati destinati. E a giudicare dalle linee del frontale, pare di trovarsi di fronte ad un lavoro destinato a Bizzarrini, che proprio in quegli anni apriva la sua azienda. Ma i disegni originali sembra riportino l'indicazione "Lamborghini" e questo rimanda a quanto in effetti potrebbe essere avvenuto. Vale a dire che quel progetto potrebbe essere ciò che Bertone propose a Ferruccio Lamborghini come "vestito" per il famoso autotelaio TP400 che la casa del Toro presentò al Salone di Torino del 1965. Collaborazione che notoriamente andò avanti, portando alla Miura, disegnata da colui che sostituì Giugiaro presso Bertone, cioè Marcello Gandini. Le speculazioni su quanto Miura (Gandini) abbia preso da questi disegni (Giugiaro) sono stati il motivo di quelle discussioni che citavo in apertura...
  25. Si diceva della Marea, che avevo citato per la forma del cofano bagagli. Pensando al passato, potrebbe avere radici nella storia FIAT, con la coda della 1300/1500 del 1961 come fonte d'ispirazione: Ma si parlava anche di Gamma: Interessante il collegamento di @Auditore con la coda di Fiat 124 Sport spider, di cui agevolo foto storica per confronto... ...e per notare la differenza delle "pieghe" che sulla 124 non coinvolgono il cofano bagagli, come invece avviene su Lancia Gamma coupé. Per la quale il collegamento più diretto potrebbe essere semplicemente la sua progenitrice: Lancia Flavia (e poi 2000) coupé seconda serie, quella del 1969 Ma Gamma Coupé mi fa sempre riflettere su una moda per un elemento che, pur interpretato in modo leggermente diverso da caso a caso, divenne tipico di molte auto dei segmenti superiori di quegli anni Settanta: i grandi fari rettangolari a sviluppo orizzontale, suddivisi in riquadri a due fasce sovrapposte: - dalla Citroen SM (1970), coi fari similissimi a Gamma - alle ammiraglie BMW E3 (1968) - e quelle Opel, Kapitan e Admiral B (1969): - alla più "normale" Volkswagen Passat del 1973, pur sempre ammiraglia di casa - e la cugina grande Audi 100 (seconda serie C2 del 1976) - tra le ammiraglia a due volumi, anche la francese Renault 20/30 (1975) - sempre in Francia, la più tradizionale ammiraglia Peugeot 604 (1975) - l'ammiraglia europea di Ford, la Granada: - e quella di GM in Europa, la Opel Senator (1978) - ma anche la nostra Argenta (1981), ammiraglia di transizione in casa FIAT - ma anni prima, già sulla esclusiva FIAT 130 coupé (1971) - e gli svedesi che si allinearono con la loro sei cilindri, la Volvo 264 (1974) Per suggellare che la moda era divenuta puro establishment, eccoci a concludere con l'ammiraglia per eccellenza: Rolls Royce Silver Spirit/Spur (1980) Chiaramente tante altre hanno seguito questa strada, con gruppi ottici di simile impostazione; ma quello che sottolineo di nuovo, è la curiosità che sembrò nascere come elemento distintivo delle vetture europee di classe del decennio "Settanta".
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