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E' un fatto vero....


daytona

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Non so ancora se vi devo raccontare veramente quello che mi sta succedendo.Il computer mi presenta uno schermo bianco che dovrei riempire di parole, di frasi. Per convincervi? Sicuramente non mi credereste e, sinceramente, vorrei anche evitarvi la conoscenza di questa tragedia silenziosa.

Ma ho poco tempo, poco per parlare con gli altri, poco per ricercare i rimedi. Il mio aspetto sta cambiando in fretta. Chi mi ha colpito lo ha fatto fino in fondo, punendo il mio esasperato narcisimo, quella che ritenevo la mia innata eleganza, la mia squisita educazione. Mi ha travolto dal piedistallo di sabbia dall'alto del quale ritenevo di poter giudicare, sindacare ed igorare le disgrazie altrui.

Tutto è nato esattamente un mese fa. Era il tre di agosto, di una giornata maledettamente calda di agosto. Erano circa le nove di mattina e mi trovavo nel supermercato a fare la spesa. Contavo di sbrigarmi a completare il giro prima che l'aria scaldasse troppo perchè sarebbe stato poi un grande disagio percorrere la strada fino al mare. Ero giusto a fare la coda alle casse quando, improvvisamente sentii in violento colpo al petto. Non ricordo di aver gridato, ma il dolore fu così forte che mi piegai in due. Mi guardai attorno, alla ricerca di uno spigolo contundente contro cui avessi sbattuto, di una mano nemica che vi avesse sferrato un pugno. Ma ero solo, con la cassiera di fronte, non c'erano carrelli, nulla che sporgesse dagli scaffali. Il dolore continuò per l'intera giornata...

Fu anche una nottata calda ed umida, di quelle che non vorresti andare mai a letto per non sentire le lenzuola inumidirsi di sudore, e magari vorresti attardarti all'aperto, su una sdraio a fare l'alba, sperando in quelle poche ore di frescura reale che la precedono. Mentre cercavo la giusta concentrazione per assopirmi, estraniandomi dai rumori lontani che mi distraevano con un reale disturbo, ad un tratto ebbi la netta sensazione che qualcosa mi sfiorasse, mi passasse di fianco, un alito di vento freddo. Ma era possibile che, nella calma immobile di quella notte, una sola ed unica folata di vento gelido entrasse dalla finestra spalancata? La lama d'aria ghiacciata mi avvolse per alcuni istanti, prememdomi con un peso insopportabile il torace fino a farmi provare una sensazione di soffocamento. Ebbi un brivido e, istintivamente, cercai il lembo attorcigliato del lenzuolo per coprirmi. Ma subito dopo il caldo era quello, identico, fermo e saturo di umidità, di qualche secondo prima. Fuori, nel cortile, un solo fruscio di foglie fra i rami di tiglio e poi si riaccesero i rumori , l'abbaiare di una cane in lontananza..

Mi scrollai dal torpore e non potei frenare un pensiero che mi fece ulteriormente rabbrividire. Cercai di affondare fra i meandri più reconditi della mente sensazioni che invece cercavano violentemente un senso compiuto, riaffiorando poi sempre con maggiore forza fino a che, vinta ogni mia resistenza psicologica, si palesarono del tutto. Si riaffacciò alla memoria ogni parola letta nei libri di Edgar Allan Poe, ogni singolo episodio di film dell'orrore visto al cinema o in televisione. La paura dell'ignoto lasciava al sua dimensione favolistica ed estratta e diventava concreta, tangibile, come non avrei voluto mai sperimentare. Sentivo, avvertivo, una presenza paranormale, un fantasma, un'anima senza pace o, peggio, un maleficio in atto contro di me.

Chi o che cosa era venuto da me quella notte e con quale scopo? Era un avvertimento? e di cosa? Forse un presagio di qualcosa di molto peggio che poteva accadermi. Intanto la fronte mi si imperlava di gocce di sudore, sudore freddo questa volta...

Mi affacciai alla finestra e il mio sguardo - ancora una volta istintivamente - corse nella notte, oltre la foschia ed i muri di cinta dei giardini, oltre la strada statale, laddove i morti riposano. Quasi sulla linea dell'orizzonte, iluminati dalla luna, si stagliavano nerissimi cipressi, come lunghe dita nere della terra.

Ora immaginavo i viali bordati di pitosforo profumato, le fiammelle tremolanti sotto vecchi mazzi di fiori semiappassiti e macerati nell'acqua maleodorante dei vasi. Mi aveva sempre dato inquietudine il Cimitero, ricordo ancora quell'odore dolciastro che filtrava dalla lapidi nei pomeriggi d'estate, quando la morte, travestita da calura estiva, vagava per i vicoli e le corti del paese in cerca di vecchietti stremati dal caldo e dagli anni da portare via. Accompagnavo le mie zie, all'epoca assai giovani, a cambiare l'acqua ai fiori dei loro defunti.

- Cos'è questo odore? Dicevo.

- Nulla - rispondevano le zie - E' colpa della gente che non cambia l'acqua dei fiori e questi marciscono. Noi, invece, la cambiamo un giorno si ed uno no così i fiori ai nonni ci durano tutta la settimana... Vedi quanto sono belli ancora i garofani? Basta togliere un po' di questi petali mollicci intorno al calice e tornano quasi nuovi, pronti a durare fino al sabato....-.

Mi sforzai di togliermi dalla mente questi ricordi di morte, ma quest'odore lo sentivo nelle narici, non era un ricordo, era una sensazione viva. Tossii e mi strifinai il naso più volte per allontanarlo da me.

Poi ritornai a letto e aspettai la mattina, sentendo battere i rintocchi di tutte le ore dell'orologio del municipio.

NB: STO BENE (è un po' romanzato!)

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La mattina seguente mi rimase un malessere generale. Terlefonai ad un amico medico che mi combinò per quella mattina stessa dei prelievi di sangue ed una visita cardiologica . Forse era stato uno sbalzo pressorio, probabilmente accompagnato da una sorta di allucinazione, forse era un sintomo di un infarto ed avrei fatto meglio a fare tutte le indagini del caso.

Alle 12 ero già in ospedale, feci le analisi , poi un giovane medico sudato ma premuroso mi visitò accuratamente, mi fece un elettrocardio che diede, fortunatamente, esito negativo. Potevo fare degli altri, più accurati, esami ma avrei dovuto prenotarli per un altro giorno, visto che non se ne ravvisava l'urgenza, e, comunque, la visita mi era servita solo per escludere tutto quanto suggeriva la mia parte razionale mentre già la mente correva a come avrei dovuto indagare in seguito. Per tutto il tempo non cessò mai la senzazione di pericolo imminente, un sesto senso che si era risvegliato e che mi scaricava adrenalina nelle vene tenendomi in continua allerta.

Mi meravigliai di me, di quella che ritenevo fosse la mia mente luicida e della mia cultura laica nel pensare che questo malessere avesse una causa soprannaturale ben precisa ed una fonte d'origine altrettanto certa. Ma come scorpirlo? Con chi confidarmi senza essere preso in giro o sospettato di essermi esaurito o peggio, ammalato di mente?

No, non potevo parlare con nessuno, dovevo risolvere da me la situazione, analizzandomi fino in fondo prima di passare a facili conclusioni.Decisi di far passare un po' di tempo ma poi ricordai che i malefici hanno bisogno di tempo e si rafforzano con il tempo per cui, dopo diverse ore passate inutilmente su internet alla ricerca di uno spunto che potesse servirmi ad inquadrare la situazione, alla dieci di sera spensi il computer e presi la decisione di affidarmi al mio istinto. Tornai alla mia infanzia, ai racconti di fattucchiere e spiriti dispettosi raccontatimi da mio nonno negli anni 60 quando la superstizione conviveva ancora con la religione e le messe con piccoli riti propiziatori domestici. A ciò aggiunsi informazioni che mi erano già note, infatti mi venne alla mente che avevo letto che le zone più "esoteriche" della provincia erano considerate, per antiche tradizioni tramandate, la città di Gallipoli ed i paesi di Uggiano la Chiesa e Soleto.

Delle maghe di Gallipoli, però, non se ne parlava da più da secoli, da quando il loro luogo di incontro, posto su un'isoletta di fronte al centro storico era sprofondato nel mare e la chiesetta nella quale si ufficiavano riti misti fra il religioso ed il pagano venne murata, per volere del re, nei bastioni con cui venne cinta la città antica.

La loro, però, era stata una magia propiziatoria che serviva a preservare la città dalle frequanti trombe d'aria e le barche ed i pescatori quando erano al largo, nello jonio tempestoso. Uggiano, invece, era nota per la sola leggenda del mulino a vento, luogo dove le streghe svolgevano i loro sabba. Ma io non cercavo certo le streghe con cappellaccio e scopa volante io cercavo le MACARE, donne dall'aspetto normale ma capaci da sempre di compiere sortilegi e fatture. Depositarie di arti magiche e divinatorie e di riti pagani che si tramandavano di madre in figlia o nonna- nipote.

Se contro di me era stato ordito un maleficio, l'artefice non poteva essere che una macara, il mandante avrei dovuto scoprirlo. .Pensai che, se la fattura c'era, nessun prete o medico l'avrebbe diagnosticata, perchè contraria ai loro principi, solo un'operatore dell'occulto l'avrebbe riconosciuta ma anche in quel caso i rischi erano tanti. Intanto avrei dovuto liberami di ogni remora di carattere morale, culturale e religiosa, Significava abbassare gli scudi ed esporsi a pericoli. Potevo incappare in un ciarlatano che si sarebbe approfittato di me per avere un facile guadagno.Quindi come arrivare alla persona giusta e come ottenere un intervento risolutorio?

Non mi rimaneva che Soleto . Quando, nel Salento, si parla di macare non si pò non fare l'associazione con la città di Soleto, luogo che ha anche una certa notorietà per la presenza del suo Campanile, monumento storico assai conosciuto, oltre per la splendida fattura, anche per una leggenda che lo vorrebbe edificato in una sola notte ad opera di demoni e forze del male. Demoni che, al primo raggio del sole, sarebbero rimasti pietrificati ed incastrati per sempre nel campanile stesso.

Il pomeriggio, sul tardi ero già a Soleto. - Bel paese - pensai - imboccando il senso unico che mi fece girare intorno al centro storico. Infine scorsi il campanile, stupendo con le sue cornici finemente scolpite e le sue bifore contornate da merletti di pietra. Ai quatto lati i demoni pietrificati, minacciosi, sporgenti oltre la linea dell'edificio, sembravano volerlo difendere da chiunque e da qualunque direzione provenisse.

Una grande porta di pietra faceva accedere agevolmente nel centro storico, piccolo e piuttosto ordinato. Era stato un centro contadino, un tempo, ma oggi le vecchie case erano state recuperate e ristrutturate. Mentre la sera calava ed io camminavo senza meta nel nel dedalo di stradine bianche, dietro le imposte delle finestre piano a piano si accedevano le luci. Poche donne anziane, sedute sugli usci di casa, chiacchieravano sommessamente alzando appena gli occhi oltre le lenti spesse degli occhiali da presbite e si affrettavano a fare gli ultimi giri di uncinetto prima che l'oscurità frenasse la velocità delle loro mani. Era questo pacifico paese la città dei sortilegi?

Erano queste serene signore le macare che andavo cercando? Eppoi esistevano veramente le macare?

Mi vergognai di me stesso e feci per andarmene ma poi ritornai sui miei passi, mi sedetti di una panca di pietra secolare, accostata ad una casa in un "largo" fra due corti.

Decisi di non farmi venire alcuna idea. Ero lì e sarei rimasto li tutta la notte, qualcuno o qualcuna mi avrebbe visto. Se esistevano, una di loro mi avrebbe letto dentro, riconosciuto, percepito il disagio, e forse mi avrebbe aiutato.

Passarono le ore. Un anziano signore con un vecchia bici da donna ed una busta di plastica appesa al manubrio si fermò un attimo, Abitava lì vicino, mi chiese se cercassi qualcuno o se mi fossi perso. Dissi la prima cosa che mi venne in mente, che aspettavo un conoscente che avrebbe tardato. Il signore salutò con un cenno della mano e, senza dire nulla, richiuse dietro di se un picolo portone di legno verde.

Dalle case della corte provenivano gli odori ed i rumori delle cene che si stavano consumando. Qualche voce, uno strillo di bambino, un rimprovero urlato ad alta voce in dialetto da una madre ad un figlio per una questione economica. Verso mezza notte un cagnetto bianco dal musetto appuntito si avvicinò a due passi, annusò l'aria e poi scomparve trotterellando, come era arrivato, dietro ad vicoletto.

Mi alzai un po' deluso e mi diressi verso il parcheggio dove avevo lasciato la macchina. rividi il campanile illuminato dai riflettori notturni e i demoni di pietra che sembravano sghignazzare al mio passaggio.

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