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Lamborghini Miura, Lamborghini Countach, Lamborghini Diablo, Lamborghini Murcielago. La loro genesi


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Inizio stasera a proporvi un lavoraccio :lol: che ho svolto qualche tempo fa.

Spero che un giorno possa stuzzicare le corde giuste di qualcuno e che possa essere preso in visione per un'eventuale pubblicazione.

Scusate gli errori di ortografia o qualsiasi cosa non vada nella grammatica ma se ci sono e perché esiste un motivo (colpa mia :().

Qualsiasi commento, correzione di eventuali inesattezze saranno ben gradite, fondamentali per me

Incomincio dalla Lamborghini Miura, l'auto che ha avuto bisogno che si coniasse un nuovo riferimento nel mondo delle supersportive degli anni '60

Buona lettura

Parte 1 Lamborghini Miura

Parlare della Miura non vuole solo dire parlare di un'auto, sarebbe troppo riduttivo confinandola nel giusto ruolo che ha ricoperto nella storia delle quattroruote. Parlare della Lamborghini Miura vuole dire parlare anche del carattere che contraddistingueva il fondatore della giovane casa bolognese appena affacciata sul mercato. Un carattere forte, anzi fortissimo, deciso a rispondere coi fatti alle provocazioni di chi rideva convinto del fatto che un produttore di trattori non avrebbe mai potuto dire nulla nell'ambito settore delle auto ad alte prestazioni.

Eppure, come alle volte accade, certe idee risultano talmente folli che sfidano ogni convinzione risultando alla fine vincenti.

E così la storia racconta che Ferruccio dopo la presentazione delle 350GT e 400GT, che tanto bene erano state accolte e che avevano permesso all'imprenditore emiliano di entrare di diritto nel club dei costruttori di automobili sportive, decise che per mantenere vivo l'interesse da parte dei nuovi clienti e cercare di attirarne futuri verso la sua giovane azienda bisognava combattere contro una concorrenza che portava nomi importanti e che vedeva in Enzo Ferrari il suo rivale più ostico. Così nel 1965 lasciò campo libero all'estro che spesso contraddistingue i giovani lasciando a due giovani ingeneri, Dallara e Stanzani, il compito di progettare una nuova auto che avesse tutte le carte in regola per catturare ancora una volta l'attenzione sul proprio marchio.

I due giovani ingegneri si concentrarono sulla parte tecnica, il design sarebbe scaturito in seguito, come conseguenza.

Ciò che i due progettano fu qualcosa di assolutamente unico nel campo delle auto stradali e che aveva riscontri solo nel campo delle competizioni. Proprio per via di questo pensiero si crede che Dallara e Stanzani, durante la fase di progettazione, stessero in realtà pensando ad un ruolo che la vettura avrebbe potuto avere nelle competizioni.

Telaio monoscocca in lamiera scatolata, sviluppato attorno ad un tunnel centrale che ne costituì la spina dorsale e dal quale si allungavano longitudinalmente due sezioni trapezoidali. La prima sezione aveva il compito di sorreggere il serbatoio di carburante, il radiatore e la ruote di scorta oltre a fungere come attacco per le sospensioni indipendenti a bracci triangolari sulle quattro ruote, mentre motore, cambio e frizione vennero sorrette dalla sezione posteriore.

Ma ciò che lasciò stupiti nel progetto fu la posizione del motore a 12 cilindri. Ispirandosi alla Mini di Issigonis questo venne montato posteriormente in posizione trasversale, al centro ed appena dopo l'abitacolo e appena prima delle ruote posteriori. Questo posizionamento aveva il vantaggio di poter ottenere un design della coda abbastanza compatto, l'interasse venne allungato di 54mm rispetto alla 350GT, ma era anche un contrasto voluto e cercato con la tecnica di Ferrari, Aston Martin ed altre gran turismo che volevano il motore montato davanti e, a parte Porsche che lo aveva a sbalzo posteriormente, il posizionamento posteriore-centrale con il radiatore posto davanti, inclinato per far diminuire la resistenza frontale, rispecchiava le vetture che correvano nei massimi campionati riflettendo su strada il loyout tecnico delle auto da competizione. Si trattava del medesimo V12 che già trovava posto sotto il cofano delle 400GT, qui inclinato di 60° per permettere il suo alloggiamento, in questa rivisitazione vennero inglobati nel blocco motore anche il cambio, la frizione ed il differenziale a tutto vantaggio della compattezza. I due tecnici avevano anche progettato un'attuatore idraulico che permetteva un ingresso più docile delle cinque marce.

Il telaio venne presentato al Salone dell'Auto di Torino del 1965, la sigla P400 rispecchiava il posizionamento del motore e la sua cilindrata.

La prima cartella stampa recitava 4.0 litri di cilindrata per 350cv espressi a 7.000 giri/min. per la versione stradale ma accanto ad essa ne era presenta anche una seconda, denominata “Sprint”, specifica per le competizioni in cui la potenza saliva a 430cv a 8.000 litri giri/min.

Il riscontro del pubblico fu unanime ma di contro altare gli addetti ai lavori furono convinti che un piccolo costruttore, per di più appena affacciato sul mercato, non potesse avere le capacità e le risorse per realizzare un simile gioiello della tecnica e che il tutto sarebbe rimasto solo un prototipo senza nessuna finalità produttiva ma il carattere forte e deciso di Ferruccio Lamborghini prese il sopravvento. Ben sapendo che quel telaio, una volta vestito, avrebbe trasportato su strada la configurazione delle super-sportive come la GT40, o la Ferrari 250 LM si mise all'opera per destinare un vestito degno del successo ottenuto. Qualsiasi carrozziere avrebbe voluto vestirlo ma fu Bertone a riuscire nell'intento.

La storia racconta anche di una piccola ma significante curiosità nello definizione dello stile della supercar bolognese.

Prima di Gandini fu Giorgetto Giugiaro, che lavorava oramai da quasi sei anni con Bertone, a cominciare a lavorare ai primi bozzetti dell'auto e che, a causa di discordie con Nuccio Bertone, decise di lasciare lo studio di design passando alla Ghia. Fu a causa di questo allontanamento che Marcello Gandini entro' in Bertone dove riprese il lavoro appena iniziato e lasciato da Giugiaro. Portare a termine il lavoro assegnato da Ferruccio si rilevo' un'autentica sfida, sia a causa dei strettissimi tempi a disposizione sia perchè l'entrata di Gandini, di cui Bertone nutriva una grande stima, non aveva alcuna esperienza in fatto di automobili. Eppure Gandini era nella posizione migliore per progettare un'auto che doveva spingersi oltre la definizione di sportiva e non sbaglio'. Frutto del suo del genio creativo il risultato fu un'auto che si rifaceva alle sport-prototipo che correvano in pista.

La Ford GT40 svolse il ruolo di musa ispiratrice per Gandini che disegno' l'auto con un frontale basso, e contraddistinto dai fari basculanti che, una volta accesi assumono una posizione verticale, attorniati da prese d'aria che le regalarono un effetto ciglia, la mascherina subito sotto che accoglieva gli indicatori di direzione e le luci di posizione. Un paio di prese d'aria poste sul cofano permisero di evacuare il calore in eccesso sviluppato dal radiatore, sistemato poi verticalmente, raffreddato a dovere da due grosse prese d'aria poste nella parte bassa del paraurti ed il cui compito era anche quello di raffreddare i dischi freno, la griglia di destra, inoltre, nascondeva anche lo sportello per il rifornimento del carburante. Sul tetto furono aperte due griglie che avevano il compito di evacuare il calore sviluppato dal motore mentre due prese d'aria con lamelle orizzontali argento poste dietro le porte fungevano da condotti d'aspirazione per il motore. Dietro lo sguardo era dominato dalla coda discendente, bassa, sovrastata dal cofano motore con listelli trasversali che le conferirono il profilo “a persiana”, il paraurti con la fanaleria e la sigla del modello stilizzata e la firma di Lamborghini sul lato opposto, la griglia del paraurti a nido d'ape e subito sotto i due terminali di scarico. Ma è lateralmente che la vettura metteva in luce elementi unici quali l'aperura dei due cofani in alluminio con quello anteriore, incernierato davanti e quello posteriore incernierato posteriormente a cui vi s'accedeva sganciando due serrature poste ai lati, una chicca non immediatamente percepibile venne rappresentata dal design che assunsero entrambe le porte aperte che vista dal frontale le fecero assomigliare e due corna.

L'abitacolo non era da meno, originale, aeronautico, contraddistinto dai sedili sottili e poco imbottiti e dalla seduta bassa che obbligava il pilota ad adottare una posizione distesa, strumenti principali erano raccolti su una consol posta sul tetto a richiamare il mondo degli arei. Davanti al pilota due elementi circolari indicavano la velocità, con la prima sigla che partiva da 40km/h e con un fondo scala da 300km/h ed il contagiri. L'importante consoll centrale che ospitava gli indicatori della temperatura dell’acqua, dell’olio, la pressione dell’olio, il livello del carburante, l’ammeter e l’orologio. Il voluminoso tunnel centrale su cui faceva bella presenza la leva del cambio che scorreva in una griglia selettrice e, subito dietro, i comandi degli alza vetri. Non ultimo, che faceva intendere il potenziale, la maniglia di appiglio per il passeggero.

Fedele al suo segno zodiacale, che ne rappresentava anche il suo carattere, Ferruccio scelse il nome di una delle casate spagnole più importanti di tori da combattimento.

Miura.

Talmente bella da far invecchiare di colpo le rivali del tempo.

Ma la Miura non fu solo estetica. Il cuore era il già potente V12 sviluppato per la 350GT che venne modificato dotandolo di 4 carburatori triplo corpo Weber 40 IDA 3C che, con un rapporto di compressione di 9,5:1 permisero di aumentare la potenza fino a 350cv a 7000giri/min per una coppia di 37,6 Kgm a 5100giri/min, valori che gli permisero di spingere la vettura alla velocità più alta fino a quel momento, 280km/h amplificando il suo fascino.

Questa enorme potenza poteva contare su un cambio manuale a 5 marce che, per ragioni di costi, durante la fase dei collaudi perse l'attuatore idraulico e nella guida sportiva su un differenziale autobloccante. Tanta esuberanza venne tenuta a bada da quattro freni a disco.

Al Salone di Ginevra del 1966 Lamborghini e Bertone esposero un capolavoro assoluto. Un'auto che stilisticamente si allontanava moltissimo dalle GT che fino a quegli anni si era abituati a vedere. Questo design cosi' estremizzato fu un'autentica scommessa tanto da far decidere a Ferruccio di voler

costruire la Mura solo in una serie limitata di poche decine di esemplari ma le insistenze dei potenziali clienti che si trasformarono presto in ordinativi furono talmente numerosi che si decise di lavorare per permettere una produzione ben più ampia del modello.

Bob Wallace, pilota e collaudatore della Lamborghini, ed il suo team si misero immediatamente al lavoro adottando modifiche minime al prototipo esposto.

L'interasse, per prima cosa, vide aumentare di 40mm la sua lunghezza, da 2460mm a 2500mm, venne anche aumentata di 10mm l'altezza e abbassata di 10mm la seduta dei sedili per migliorare l'abitabilità interna mentre i cerchi Borrano vennero sostituiti con dei Campagnolo da 15’ con pneumatici Pirelli Cinturato. Vennero abbassati anche i terminali di scarico permettendo di ricavare anche un bagagliaio più spazioso. Sul fronte del telaio si vide aumentare lo spessore della lamiera portandolo a 0,9mm rispetto ai 0,8mm del prototipo per migliorare la rigidità. Venne anche abbandonato l'opzione del rivestimento in vetro trasparente del cofano motore proposto sul prototipo a causa dell'impossibilità di raffreddarlo a dovere adottando la classica forma a “persiana”. Vale la pena aggiungere che anche dopo innumerevoli test condotti il problema del raffreddamento rimase sempre presente e questo di doveva ricercare alla presenza di carburatori adatti ad un uso prettamente agonistico che durante una sosta, nemmeno piuttosto lunga, creavano un ristagno di benzina che poteva incendiarsi una volta accelerato. La soluzione fu trovata direttamente “in fabbrica” da un ingegnere che creò un circuito di recupero del carburante.

Il 29 Dicembre 1966 la prima Miura venne consegnata alla Lambocar, concessionario di Milano e

fin da subito i tecnici approntarono subito migliorie per contrastare alcune lamentate derivate da una non perfetta rigidità in curva del telaio aumentando a 10mm lo spessore delle lamiere.

Dopo questi ulteriori affinamenti i facoltosi clienti poterono finalmente trovarsi al volante della prima vera supercar della storia ed i pochi fortunati si trovarono a gestire sensazioni mai provate prima su una sportiva stradale.

“L'unica in grado di oggi di dare la gioia della guida pura”. Così concludeva la prova che la rivista Quattroruote effettuò nel Novembre del 1968 e questa la diceva lunga sulle sensazioni che riusciva a trasmetteva al pilota. Bassa, rumorosa, scomoda sono oggi parametri che nessuna supercar può permettersi di avere ma in quegli anni questi requisiti diventavano pregi. E la Miura li poteva vantare tutti. Se, le sue reazioni ed il suo comportamento, tutto sommato era abbastanza neutro alle velocità normali quando il pilota sconfinava verso limiti più elevati le sue reazioni la avvicinavano alle auto da corsa. L'anteriore in velocità creava qualche problema in quanto tendeva ad alleggerirsi a causa della posizione del serbatoio montato anteriormente che andava via via a svuotarsi, alcuni clienti optarono per uno spoiler inferiore per contrastare questo fenomeno. Cambio e frizioni erano duri da azionare ma precisi e resistenti all'affaticamento, lo sterzo era sensibile ma deciso alle alta velocità così come i freni a disco sulle quattro ruote che furono giudicati pronti e potenti, dopotutto per frenare l'esuberanza di questo furioso motore occorreva un comparto telaistico di notevole spessore.

Notevoli le prestazioni che rispecchiarono quelle dichiarate dal costruttore con quasi 280km/h e 5,1 secondi per raggiungere i 100km/h con partenza da fermo.

Con lei il mercato inventò un nuovo segmento di vetture, quello delle supercar. Con la Miura la Lamborghini spinse a livelli estremi le già potenti e veloci GranTurismo made in Ferrari confinandole immediatamente in un gradino inferiore, dando inizio ad una rincorsa che continua fino ad ora.

Il prezzo dell'epoca era enorme, ben 7.700.000 Lire alla quale si poteva aggiungere optional cole i sedili in pelle, il tetto apribile, il condizionatore, gli specchietti esterni e tutti quei livelli di personalizzazione che il cliente poteva desiderare.

Nonostante la concorrenza, che rispondeva ai nomi di Ferrari 275 GTB, Bizzarrini 5300GT Strada, furono ben 475 le Miura costruite.

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Parte 2

LAMBORGHINI MIURA ROADSTER

Al Salone di Bruxelles del 1968 la carrozzieria Bertone portò il sogno Miura ad un livello ancora maggiore presentando la versione roadster della supecar bolognese. L'opera del carrozziere non si limitò alla sola asportazione del tetto, operazione che comunque mantenne il profilo “targa”, ma anche la parte posteriore venne rivista in un nuovo disegno.

Le mofiche più importanti furono incentrate sulla coda che venne riproporzionata alzando la linea dei parafanghi ed allargando le prese d'aria dietro le porte, i montanti vennero rifiniti in nero opaco, i fari di un nuovo disegno simili a quelli dell'Alfa Romeo Montreal mentre la griglia posteriore venne sostituita da una completamente cromata dalla quale spuntarono nuovi scarichi di forma rettangolare. Il tetto venne abbassato di 30mm e venne inclinato ancora più il parabrezza ed eliminato la copertura del cofano lasciando il motore lasciando a vista.

Da vera roadster anche la sua guida che non prevedeva nessuna protezione per l'abitacolo.

Gli interni, con sedili di pelle color tabacco, non presentarono modifiche di sorta se non l'ovvio riposizionamento della strumentazione che nella versione chiusa veniva alloggiata sul tetto ed il volante ripreso dalla concept Marzal.

Colorata in un azzurro metallizzato l'auto conquistò parecchi clienti facoltosi che si prepararono a staccare un assegno importante ma, purtroppo, per cause del tutto sconosciute Ferruccio Lamborghini decise di mantenere come oggetto unico questo capolavoro.

Curiosa semmai la storia che intraprese questo concept.

La vettura, ha un enorme successo e sembrerebbe scontata la sua messa in produzione. L'auto viene portata in fabbrica e posta ad una serie di test che però non gli permetteranno di vedere una produzione. Ufficialmente la Lamborghini non ha mai giustificato una scelta del genere e le cause potrebbero derivare sia da problemi di natura tecnica, alcuni imputano nella fragilità del parabrezza in caso d'incidente oppure dagli ingenti investimenti che avrebbero richiesto le modifiche e lo sviluppo del prototipo. Forse anche la situazione politica degli U.S.A., principale mercato di tutti i costruttori europei, che con l'emanazione di nuove leggi stava metteno a serio rischio l'industria di auto scoperte.

Qualunque sia stata la vera ragione l'auto non riceve il via libera alla produzione ma il destino, beffardo, ha in servo per lei un futuro ancora più assurdo ed incomprensibile.

La storia racconta che in quegli anni la la I.L.Z.R.O. (International Lead and Zinc Association), l’ente americano che riunisce i produttori di zinco e piombo, ha in mente di creare una show car in grado di dimostrare le svariate applicazioni dei suoi materiali nell’industria automobilistica. Pensa d'apprima ad una Mustang ma, oltre al suolo americano l'auto non ha il medesimo impatto. Durante una vista alla Bertone capiscono che la Miura roadster rappresenta il miglior biglietto da visita su cui possono mettere le mani e Bertone si rende immediatamente disponibile all'operazione ma la Lamborghini vieta qualsiasi replica del modello e viene offerto a loro la possibilità di acquistare la vettura.

Una volta acquistata la I.L.Z.R.O. completò una serie di interventi che violentarono la dream-car. Tuttio ciò che poteva essere ricostruito utilizzando lo zinco venne sostituito, l'auto viene completamente smontata e ricostruita utilizzando componentistica derivata dalla produzione I.L.Z.R.O. compresi ogni vite e bullone. La splendida meccanica a vista viene mascherata da un filtro dell'aria che chiude i tromboncini e da una parziale schermatura in simil pelle nera. Per completare questo scempio la carrozzeria viene verniciata di un verde bronzato e metallizzato su un fondo nero, che grazie alla sua tonalità scura esalta le cromature, mentre gli interni sono ora in velluto verde e giallo.

Questi interventi, che la ribattezzarono ZN 75 (simbolo chimico dello zinco), furono così pesanti da far lievitare l'auto di ben 600kg rispetto al Miura standard. Ma la I.L.Z.R.O., alla fine, aveva la schow-car e la espose in giro per il mondo. Terminato il suo ruolo venne messa in condizione di essere guidata su strada da Shrade Radtke, ex amministratore delegato che la ragalerà poi al Museum of Transportation di Boston che convertirà gli interni con pelle color magnolia. In seguito l'auto finisce in Giappone, in America e quindi, finalmente in Francia, dove il collezionista Adam Gordon dopo aver provato l'auto ed esposta al concorso internazionale di eleganza di Pebble Beach del 2007, decide di riportare l'auto al suo stato originale. Impresa, affidata alla Bobileff Motorcar Company di San Diego, che non si rivela per nulla semplice visto che tra le mani ha un'auto, non solo costruita in un solo esemplare ma anche del tutto stravolta rispetto alla sua creazione. Ci si affida, di fatti, alle foto originali per ricostruire alcuni dettagli. Dopo un'anno ed un cospicuo assegno l'auto viene di nuovo presentata al concorso di Pebble Beach dove si aggiudica la seconda posizione nella categoria “45° anno della Lamborghini” alle spalle di una 350GT.

Nel 2009 l'auto è stata battuta all'asta dalla casa d'aste Kidston per un valore sconosciuto ma che non è difficile ipotizzare lontano dal milione di dollari.

Viene da pensare che, forse, dopo 40'anni questa Miura roadster possa aver trovato il ruolo di granturismo veloce per cui è nata.

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Il terzo capitolo Miura

LAMBORGHINI MIURA S

Se la Miura aveva conquistato il primato più ambito per una supercar la sua evoluzione si poneva un'ambizione ancora maggiore, quella di spostare l'asticella della potenza ancora più in alto.

Il battesimo fu il Salone di Torino del 1968 dove venne presentata la Miura S. Da quando la Miura era entrata in commercio nessun'auto era riuscita a sovrastarla in velocità massima e in accelerazione e, se qualche costruttore sarebbe semplicemente rimasto a guardare, Ferruccio decise che questo primato doveva essere alimentato.

La Miura S non fu oggetto di particolari modifiche estetiche, solo alcuni dettagli come la cornice del parabrezza cromata e le prese d'aria dietro i finestrini, anch'esse cromate, ed una S stilizzata sotto la scritta Miura permisero di riconoscerla. Più decise le modifiche a cui il propulsore V12 venne sottoposto. Un aumento del rapporto di compressione, innalzato a 10,4:1, condotti di aspirazione maggiorati, ed un limite di regime del motore innalzato a 7700giri/min permisero di strappare altri 20cv, raggiungendo quota 370cv per una coppia aumentata a 39,5 Kgm a 5.500 giri/min. La guidabilità della vettura non si sconstò molto da quella conosciuta con la Miura meno potente ma proprio quei cavalli in più espressi nella zona alta del contagiri la spinsero ad essere ancora più affilata e meritevole di maggior controllo e precisione. Questa nuova verve venne tenuta sotto controllo da pneumatici radiali Pirelli Cinturato appositivamente sviluppati nella misura 215/70 VR 15 che garantirono più aderenza e stabilità alle alte velocità. Alcuni esemplari adottarono anche dischi freno ventilati con nuove pinze freno.

Anche se si pensava che questa nuova versione S dovesse essere più veloce della Miura le velocità massime si eguagliarono in quanto la maggior potenza venne assorbita quasi tutta dai nuovi pneumatici Pirelli.

Dettagli anche per quanto riguardava la funzionalità come la possibilità di aprire il cofano posteriore sganciandolo semplicemente senza dover intervenire sulle doppie serrature. Internamente una nuova consoll più generosa nelle dimensioni venne montata sul tetto, il volante adottò una corona rivestita in pelle, fece la sua comparsa una generosa maniglia a cui il passeggero poteva “agganciarsi” durante una guida piuttosto dinamica e per la presenza di un cassetto portaoggetti con serratura sul lato destro. Vengono adottati i vetri elettrici metre tra gli optional figurano il condizionatore e l'autoradio, un segno del cambiamento, la selleria in pelle, verniciature personalizzate, un set di valigie dedicato e la possibilità di ordinarla con la guida a destra.

Oggetto di continui miglioramenti la Miura S venne ulteriormente affinata nel corso della sua commercializzazione sostituendo l'alternatore con un'unità più potente, o donandole un serbatotio supplementare per l'olio del cambio di fatto separandolo dal circuito del motore, gli ultimi esemplari poterono anche contare sui dischi freno autoventilati.

Rimasta in produzione fino al 1971 la Miura S conquistò 140 clienti.

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  • 4 anni fa...

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