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Alex Zanardi: ovvero, lezione di ottimismo


Abarth03

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Sembrava la storia di un ragazzo qualunque, di povere origini, che diventa ricco, famoso e vive una specie di favola. Poi il destino il 15 settembre 2001 gli presenta un conto salatissimo sulla pista del EuroSpeedway Lausitz, in Germania, con un incidente dove perde le gambe. Ma la sorte non spegne la sua fiamma vitale. Non riesce a stroncare la volontà di Alex Zanardi, nato nel 66 a Bologna, figlio di un idraulico e assurto agli onori della formula 1. Diventato una stella nella Cart americana (oggi Champ Car), giunto a vedere la morte in faccia e consacrato mito dai suoi meriti sportivi e umani. Capace, dopo il terribile incidente, di riprendere in mano il volante e i fili dell'esistenza tornando a vincere, con la Bmw, in Superturismo e WTCC. Additato come esempio ai giovani per la forza d'animo e per quella sua maniera, sempre allegra e ironica, di prendere la vita che testimonia a tutti come questa sia sempre degna di essere vissuta.

Alex, che storia è la sua?

"Una storia come l'ha descritta lei, con tanti punti e a capo. Ma sempre all'insegna della volontà di fare. Nell'esistenza, infatti, ci vuole fortuna, e io l'ho sicuramente avuta in una certa fase, ma la fortuna bisogna anche cercarla".

Aiutati che Dio ti aiuta, insomma.

"Certo. Io ho avuto in dote un inguaribile ottimismo che mi ha sempre indotto a mettermi in cammino. Sono un cultore della teoria del provarci. Anche se nello sport, come nella vita, non è facile: conta incontrare le persone giuste, avere il mezzo adatto, ma se non "scendi in pista" non potrai mai arrivare da nessuna parte. E' come una che vorrebbe un fidanzato, se resta chiusa in casa non lo troverà mai. Molti ragazzi sbagliano a non mettersi in gioco".

Lei ha dichiarato che arrivare in F1 è più difficile per chi non ha grandi possibilità economiche. Perché?

"E' un circolo vizioso: se non hai il mezzo giusto non dimostri il talento, e se non dimostri il talento non ti danno il mezzo giusto. In Formula 3 (GP2 di oggi), per esempio, se hai soldi riesci ad avere grossi mezzi tecnici a disposizione (fino allo scorso anno c'erano addirittura piloti paganti). Se nasci in Olanda ci sono grosse aziende che investono, qui invece non avviene perché la Ferrari (anche se è una bella realtà per noi) assorbe tutto. Sì, ci sono state l'Agip e la Fiat qualche volta, ma per un ragazzo italiano trovare un'azienda che crede in lui e lo sponsorizza è sempre difficile. E, d'altronde, servono milioni di euro per correre in GP2 e farsi notare. Ecco perché chi è ricco ha maggiori chance".

Al Motorshow di Bologna ha avuto un successo di pubblico strepitoso. Che vuol dire?

"Non voglio fare il falso modesto, ma credo che il pubblico abbia sempre fame di personaggi popolari. Per quanto mi riguarda, dopo l'incidente, sono diventato un personaggio strano, un misto tra padre Pio e Raffaella Carrà. Da allora con la mia storia sono entrato spesso nelle case degli italiani attraverso la tv e loro hanno imparato a volermi bene".

Però le persone la stimano, si complimentano, sembra vedano in lei qualcosa di più di un campione sportivo: una sorta di talismano della speranza.

"Forse i complimenti li merito, ma più di me li meritano tanti altri. In virtù della mia esperienza ho visto molti ragazzi soffrire. Di Zanardi ce ne sono tanti in questo mondo, dove corriamo sulle scale mobili e non ci accorgiamo delle cose che contano davvero. Ecco, direi che se non hai il tempo di riflettere sulle priorità della vita Zanardi te lo fa fare. Credo che molti pensino 'quello è senza gambe e ride, scherza, fa cose impegnative e io, che le gambe le ho, che faccio?' Così uno è costretto a rimettersi in pace con se stesso. Probabilmente ho questo ruolo, anche se me lo sono trovato addosso e non me lo sono cercato".

In F1 poteva andare meglio se qualcuno avesse creduto di più in lei?

"Vede, io sono ottimista di natura, e sono contento di essere comunque riuscito a costruire una carriera di successo. Mi è andata benissimo in America ed è questo l'importante. Nella lotterie si gioisce quando si vince e non si bada a quando si è perso. Quindi non penso a come sarebbe potuta andare in formula 1. Mi rimangono le soddisfazioni impareggiabili della Cart di cui vado orgoglioso. A proposito, stiamo raccogliendo i filmati di quel periodo".

Per un europeo non era facile trionfare in quei circuiti.

"Prima di me si affermò Mansell. Ma io, Oltreoceano, trovai davvero l'America. Sbarcai da sconosciuto e vinsi subito molto, poi l'anno dopo, nel '96, arrivò il titolo".

Si emoziona ancora pensando al famoso sorpasso su Herta del 1996 nella curva Cavatappi a Laguna Seca?

"Fu incredibile, rischiai, ma riuscì a fare una cosa eccezionale che mi attirò l'attenzione addosso. Quella curva cambiò la mia vita".

Nel 2001 l'incidente. Sembra però che lei non lo riviva mai come un dramma ma come l'inizio di una nuova vita.

"Sa una cosa, se fosse stato meno grave mi avrebbe dato il modo di sentirmi più sfortunato. Ma io non mi sono mai chiesto 'perché proprio a me'. Penso piuttosto che potevo morire, e c'è mancato poco. Arrivai all'ospedale con un litro di sangue in corpo. Mi avevano perfino dato l'estrema unzione e mi sono svegliato dopo una settimana. Con stupore di molti, sorridevo. Insomma mi andava bene anche così: ero vivo".

Mai un minimo di tristezza?

"Non che i pensieri tristi non si facciano, è ovvio. Prima ci pensavo e mi dicevo: 'Un incidente può succedere quando si corre'. Ma quando ti ci trovi davvero in certe situazioni, eh ragazzi, allora è un'altra cosa. Ma la mia prima domanda, dopo aver realizzato di aver perso le gambe, è stata: come faccio ora a fare tutte le cose di prima?".

Già, come si fa a fare tante cose come fa lei, a mantenere la voglia di vivere, di essere allegri e positivi?

"Mettiamola così: ci sono cose che non posso più fare, ma chi riesce a fare proprio tutto ciò che vorrebbe? Io non voglio essere quello che pensa con sofferenza a quando correva felice nei prati. Mi sforzo di pensare a quel che posso fare, nel tempo che ho a disposizione. Se le raccontassi com'è stato frenetico il mio dicembre si metterebbe le mani nei capelli. Ma quando ho tempo libero cerco di utilizzarlo vivendone i momenti e assaporando ogni piccola cosa. Oggi, per esempio, non ho grossi impegni, così appena finiamo la chiacchierata andrò a comprare della soppressa e del vino per portarli ai ragazzi dell'officina. Poi andrò a prendere mio figlio Niccolò a scuola, mi fermerò a parlare con gli altri genitori, con le mamme (ce ne sono alcune molto belle), e poi starò con mia moglie Daniela. Se un segreto c'è è semplice: godere di ogni momento della vita".

Da dove nasce questo suo carattere, quanto ha influito la sua famiglia?

"Contano fattori ereditari, il dna che ti regala il caso o il destino, certo anche i genitori, poi l'educazione e l'ambiente dove vivi".

Lei parla spesso di suo padre.

"Mio padre ha significato molto per me. Era un uomo poco colto ma molto intelligente. Sosteneva che 'se una cosa l'ha fatta un altro allora puoi farla anche tu'. Mi ha trasmesso la volontà di mettersi sempre in gioco".

Per questo ha voluto partecipare alla maratona di New York?

"C'era l'incognita di fare una cosa mai fatta, con quella handbike ed ero gassato all'inverosimile. Sono tornato bambino, a quando gareggiavo con il go-kart. Dovevo correre davanti a 200 mila spettatori e mi sentivo emozionato, tanto da non riuscire a dormire la notte prima. E' stato bellissimo".

Ha preparato a lungo la gara?

"Ho deciso di partecipare due mesi prima, non potevo fare molto allenamento ma mi sono adattato subito. Per fortuna faccio sempre attività fisica e mangio bene. Così quando sono partito ho preso il ritmo ed è andato tutto a meraviglia (Alex si è classificato al 4° posto ndr)".

Lei è anche tornato sul circuito dell'incidente completando i 13 giri che mancavano. Perché? E' stato un riprendere simbolicamente la vita da dove la si era lasciata?

"Anche quello, sicuramente un mix di cose. Forse anche la spinta narcisistica di guardarmi nuovamente allo specchio con soddisfazione, sentirmi coccolato dalla gente. E poi la 'figata' di tornare a girare con quella macchina. Correre è bellissimo. Se mi dicessero vieni in F1, anche oggi, andrei a piedi fino in Svizzera. L'ho fatto per tante ragioni, ed è stato bello. Dopo, tra l'altro, mi fecero delle proposte di lavoro e guadagnai 100 mila dollari che mi servivano per delle iniziative benefiche".

A proposito, l'associazione Bimbi in gamba è una idea da incorniciare, meritoria e condita da una sottile ironia contro la sorte. Insomma degna di lei.

"E' un progetto semplice che si propone di fornire le protesi a bambini che hanno subito l'amputazione di arti. Bimbi che altrimenti non potrebbero permetterselo, provenienti spesso da Paesi in via di sviluppo, ma non solo. Anche nei ricchissimi Stati Uniti, per esempio, ci sono piccoli che non riescono a procurarsi degli arti artificiali".

Le storie saranno tante, ma ce n'è qualcuna che l'ha colpita particolarmente?

"Sì, moltissime. L'ultima è quella di Anna Maria, una ragazzina rumena nata senza un braccio. Quando è arrivata nel nostro centro mi sono accorto che guardava sempre per terra. Le ho chiesto perché e me lo ha confidato con le lacrime agli occhi: si vergognava con la gente per la sua condizione. Le abbiamo fatto fare il braccio nuovo a Padova e ha imparato subito a utilizzarlo. Quando sono andato a trovarla Anna Maria mi dava le spalle e si stava laccando le unghie. Quando si è girata mi ha detto che mi stava aspettando per condividere quel momento con me. Ci siamo abbracciati e abbiamo pianto tutti e due. Lei di gioia, io di commozione".

C'è un ragazzo sudafricano, Oscar Pistorius, che non ha le gambe e sognava di correre alle Olimpiadi di Pechino. Hanno deciso che non potrà farlo perché usa delle protesi che potrebbero favorirlo. Non pensa che si potrebbe trovare il modo di coronare il suo sogno?

"Sono perfettamente d'accordo. Alla base delle obiezioni mosse ci sono questioni tecniche forse anche giuste, ma una cosa mi lascia perplesso: la relazione si basa sul fatto che le protesi restituirebbero il 90% dell'energia esercitata mentre la caviglia umana solo il 70. Ma la gara non si esaurisce nel momento in cui l'atleta è lanciato. C'è anche la partenza, e lì la caviglia umana dà in proporzione il 500%. Dispiace non vengano evidenziati anche questi aspetti, quasi che madre natura non avesse capito un cavolo. Resta in definitiva l'impressione che non ci si è voluti porre il problema per evitare complicazioni. Cosa succederebbe se Pistorius vincesse una medaglia? Quali parametri occorrerebbe considerare in futuro? Quindi meglio dire no e chiudere il discorso.".

Correrà ancora?

"Correrò ancora nella Superturismo. Sono sempre motivato e spero di raccogliere ancora dei buoni risultati".

Un messaggio al suo prossimo.

"Al mio prossimo direi che ognuno deve cercare di vivere la vita a modo suo, guardando dentro la propria coscienza e cercando di ottenere ciò che desidera. Credo che in noi ci siano già tutte le risposte. Certi nostri simili pretendono di imporre dei modi di vivere agli altri ammantandosi con religioni, idee politiche o leggi studiate ad hoc. Io ho una convinzione: che ciò che è giusto e ciò che non lo è, in fondo, lo sappiamo già dentro di noi".

Da Tiscali Sport:

"Per la gente sono un misto tra Padre Pio e la Carrà" | tiscali.sport

Un solo commento da parte mia: confermo la grandissima ammirazione che ho per quest'Uomo.

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