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La Jihad e le guerre dimenticate


JackSEWing

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On 4/12/2016 at 11:57, Martin Venator dice:

 

Meglio così.

 

Questo se la fa con i Fratelli Musulmani e marmaglia varia in odore di IS.

 

P.S.: "nostro" nel senso di UE e Billary Clinton.

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"Ah! Rotto solo semiasse, IO KULO ANKORA!" (cit.)

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siccome poi mi accusate di essere troppo filo russo :mrgreen: posto questo articolo tutto sommato ben fatto nella sua semplicità su quel gran bidone della vecchia kutznestov

 

https://www.bloomberg.com/view/articles/2016-12-05/putin-shows-off-russia-s-embarrassing-aircraft-carrier

 

l'articolo riconosce  quanto abbiano ben figurato i nuovi armamenti russi in siria e su quanto il loro dispiegamento mediorentale stia fungendo da volano per l'export militare russo, ma pone l'accento su quanto sia stato di fatto inutile dispiegare in una missione d'attacco una nave progettata per scopi  difensivi

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Alfa Romeo Giulietta, 1.4 TBI Multiair 170 CV Exclusive (2013)

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Damasco, tutti i messaggi (anche geopolitici) dell’attacco missilistico di Israele - Formiche.net

 

Cita
L'approfondimento di Emanuele Rossi

Durante la mattinata di mercoledì sono iniziate a circolare segnalazioni a proposito di un attacco missilistico israeliano avvenuto la notte precedente contro l’aeroporto militare Mezzeh di Damasco (il network panarabo Al Mayadeen ha detto che “le esplosioni” sono avvenute tra le 3 e le 4 del mattino). Sarebbe stato colpito “un non meglio specificato obiettivo” e ne ha parlato anche l’agenzia di stampa statale siriana Sana, che, a dispetto delle voci circolate nelle prime ore, quando si diceva di un raid aereo, ha specificato che si sarebbe trattato di una salva di missili terra-terra. Più tardi, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha fornito un’indicazione laterale ma significativa sulla vicenda: “Vogliamo prevenire che armi sofisticate o di distruzione di massa arrivino a Hezbollah”, ha detto, senza però fare nessun riferimento al presente, o ai passati, attacchi condotti in via clandestina da Israele, ma di fatto ammettendoli per sottinteso. Una dichiarazione che rappresenta un unicum.

ISRAELE E LA SIRIA

Gerusalemme fin dall’inizio del conflitto siriano e del coinvolgimento dei miliziani sciiti filo-iraniani libanesi ha sempre tenuto aperta un’opzione: poter colpire eventuali spedizioni di armi verso Hezbollah. Armi che per lo più arrivano dall’Iran, o via Iran, e che servirebbero non tanto per l’uso immediato in Siria, ma per rafforzare il gruppo libanese in vista di una prossima, potenziale (certa, come la ritengono i servizi segreti israeliani fin dal 2015) guerra contro Israele. L’ultimo conflitto s’è chiuso nel 2006, lo sbilanciamento di armamenti era enorme e i miliziani sciiti libanesi hanno arrecato tutto sommato pochi danni: ora, secondo i report della sicurezza nazionale israeliana, Teheran – nemico esistenziale dello Stato ebraico – starebbe sfruttando il caos e le maglie larghe del conflitto siriano per passare armi più tecnologiche agli uomini del Partito di Dio, emanazione degli ayatollah do Qom. Israele vuole prevenire queste consegne, e per far ciò ha sempre adottato una politica unilaterale che suona più o meno così: abbiamo satelliti e altre forme di intelligence di vario genere che ci ragguagliano su questi traffici, ci riserviamo il diritto irrevocabile di colpire qualora le informazioni si presentino affidabili, lo facciamo per nostra difesa (nel piano rientra anche una certatolleranza armata nei confronti degli uomini dell’ex al Nusra di altri gruppi combattenti jihadisti presenti sul Golan: meglio loro che gli Hezbollah è la linea ufficiosa israeliana, perché i primi sono interessati solo a fare la guerra al regime siriano, gli altri mentre difendono Damasco mantengono l’interesse per gli ebrei). La possibilità di questi attacchi preventivi è uno dei punti che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avuto premura di mettere in chiaro subito con la Russia: nei giorni successivi all’ingresso in guerra ufficiale dei russi, il 30 settembre 2015, Bibi è volato a Mosca per chiarire che la politica israeliana sarebbe rimasta la stessa, e dunque voleva un lasciapassare garantito, visto che l’aviazione russa si sarebbe apprestata a prendere il controllo dei cieli siriani (e visto che quel genere di passe-partout gli era stato già garantito da Washington, l’altra grande aviazione, ma alleata, che solca i cieli della Siria).

COLPIRE LE ARMI, I CONVOGLI, I DEPOSITI

Secondo le ultime analisi dei servizi israeliani, Teheran starebbe inviando armi ai miliziani di Hezbollah imbarcandoli nelle stive di aerei civili che atterrano se non direttamente a Beirut a Damasco. Da lì le armi vengono stoccate e poi caricate su camion che le trasportano verso le postazioni militari dei paramilitari libanesi – l’account Twitter dell’esercito israeliano ha pubblicato proprio martedì una mappa in cui sono segnati una miriadi di puntini che rappresentano le postazioni armate degli Hezbollah nel sud del Libano, a un passo dal confine. Questo nuovo sotterfugio che sfrutta i traffici civili sarebbe stato pensato per dare meno nell’occhio, ma dal momento che è stato scoperto e denunciato dall’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon è finito nel giro di una settimana per due volte sotto i colpi israeliani. Prima di martedì, già il 30 novembre gli aerei israeliani avevano lanciato due missili di precisione contro un altro obiettivo “non meglio identificato” nell’outskirt occidentale di Damasco, e probabile anche in quel caso che si sia trattato di un carico di armi diretto agli Hezbollah (forse un camion che le stava trasportando fuori dall’aeroporto locale verso il Libano). I missili, che possono viaggiare per lunghe distanze mantenendo alta precisione (nessuno è stato colpito, infatti) erano stati lanciati dallo spazio aereo libanese.

AVVISO A TRUMP

Come ricorda il Financial Times l’aeroporto Mezzeh colpito nella notte tra martedì e mercoledì si trova non troppo distante al palazzo presidenziale di Bashar el Assad. E per questo le azioni israeliane suonano come un messaggio diretto anche al presidente eletto Donald Trump. Trump sulla Siria ha proposto una linea più accondiscendente nei confronti di Assad, per cercare di condividere le azioni anti-terrorismo con la Russia, alleata del regime siriano. Ma in Siria per allinearsi sull’asse russo-siriano occorre anche condividere la posizione con l’Iran, che di Damasco è il principale alleato ideologico ed è il principale contributore per i combattenti a terra, che sono in gran parte membri delle milizie sciite, tipo Hezbollah o le similari irachene. Molti degli uomini scelti da Trump per comporre la prossima amministrazione hanno una linea dura nei confronti dell’Iran, e lo stesso presidente eletto ha dichiarato durante la campagna elettorale la volontà di stracciare l’accordo sul nucleare chiuso dal suo predecessore Barack Obama. All’inizio di questa settimana il premier Netanyahu ha annunciato che appena si insedierà (ossia, il 20 gennaio) discuterà con Trump il pessimo accordo nucleare con l’Iran. Martedì Gerusalemme ha fatto capire per la seconda volta in pochi giorni al presidente eletto americano che può pure muoversi verso la Russia, ma con l’Iran agitatore degli Hezbollah loro vedrebbe più favorevolmente un atteggiamento severo.

 08/12/2016

 

Modificato da Martin Venator

già Zarathustra

"la 4C sarà un trabiccolo per incompetenti" (Ipse dixit)

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sentivo stamattina alla radio. Pare che sia stato un attacco in massa che non si aspettavano.  Città riconquistata e sito archeologico praticamente di nuovo in mano. Forse hanno cantato troppo presto vittoria purtroppo

 

CI SEDEMMO DALLA PARTE DEL TORTO VISTO CHE TUTTI GLI ALTRI POSTI ERANO OCCUPATI

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ENI cede 30% del giacimento Zohr a Rosneft

 

Cita

Eni finalizza la prima delle due importanti cessioni di quote dei suoi maxi-giacimenti in Africa. Il gruppo del cane a sei zampe ha anunciato questa mattina l'accordo per la cessione a Rosneft di una quota del 30% nella concessione di Shorouk, nell’offshore dell’Egitto, nella quale si trova il giacimento super-giant a gas di Zohr. Eni, attraverso la sua controllata IEOC, detiene attualmente una quota di partecipazione nel blocco del 90% dopo la recente cessione di un primo 10% a BP, in fase di completamento.

 

Dice: "che c'entra?". C'entra, c'entra... 

già Zarathustra

"la 4C sarà un trabiccolo per incompetenti" (Ipse dixit)

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12 ore fa, Cosimo dice:

sentivo stamattina alla radio. Pare che sia stato un attacco in massa che non si aspettavano.  Città riconquistata e sito archeologico praticamente di nuovo in mano. Forse hanno cantato troppo presto vittoria purtroppo

 

Errori strategici ma anche penuria di organici....Con tutte le truppe migliori impegnate ad Aleppo, a Palmira era rimasta solo una guarnigione ridotta all'osso.

 

A proposito, fonti governative danno per imminente la caduta di aleppo 

Alfa Romeo Giulietta, 1.4 TBI Multiair 170 CV Exclusive (2013)

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22 ore fa, Martin Venator dice:

ENI cede 30% del giacimento Zohr a Rosneft

 

 

Dice: "che c'entra?". C'entra, c'entra... 

 

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Così l’Italia apre al Cremlino le porte del Mare Nostrum

Tutto torna in discussione, dal nostro sostegno a Sarraj in Libia ai rapporti con Al Sisi, finora condizionati dalla tragedia di Regeni
 

Per l’Eni, la cessione a Rosneft del 30% della concessione di Zohr, nell’offshore dell’Egitto è una botte di ferro, economica, politica e strategica. Per la Russia è il biglietto d’ingresso nel gioco energetico del Mediterraneo. Per l’Italia è un cambio di scena alla porta di casa. Il governo Renzi non poteva non esserne informato; Gentiloni dovrà trarne le conseguenze. 

 

La mossa dell’Eni dimostra che la diversificazione geografica perseguita dalla società italiana non sacrifica il rapporto privilegiato con la Russia, anzi ne allarga gli orizzonti ad aree terze, specie in Africa. Rosneft, che non si muove senza luce verde del Cremlino, piazza la bandiera russa nelle acque del Mediterraneo alla congiunzione fra Medio Oriente e Nord Africa. Non troppo lontano, la Russia ha stabilito una solida presenza militare nelle basi siriane di Latakia e Tartus; comunque vada a finire la tragedia siriana non sloggerà.  

 

Appena riuscirà ad estrarsi dal psicodramma della crisi di governo, Roma dovrebbe domandarsi cosa significhi per l’Italia l’accordo fra Eni e Rosneft. La casella energetico-commerciale è fuorviante. L’operazione non poteva avvenire senza l’accordo, a livello politico, sia di Mosca che del Cairo. Se Roma non vuole accreditare il vecchio adagio che la politica estera italiana si fa fra Piazzale Mattei e San Donato Milanese, il neo-ministro degli Esteri Angelino Alfano dovrà affrontare rapidamente le implicazioni dell’ingresso russo nella nostra periferia mediterranea. Che non sono solo energetiche, ma fortemente politiche. Tirano in ballo sia i rapporti con l’Egitto sia la crisi libica. 

 

L’Eni incassa, a un buon prezzo secondo gli analisti, i dividendi delle propria esplorazione e conserva la maggioranza di Zohr. A Bruxelles, Claudio Descalzi ha appena confermato al vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, il contributo articolato dell’Eni all’Unione dell’energia attraverso i gasdotti dal Nordafrica, i rigassificatori - e il rapporto con la Russia, di cui l’Europa «ha bisogno, come la Russia ha bisogno di noi». L’Eni di Descalzi è diplomatica e diversificata ma non tanto diversa da quella di Paolo Scaroni. Il rapporto con Mosca rimane centrale. Anzi, può passare dal bilaterale Italia-Russia al mercato energetico globale dove l’Eni, con un’aggressiva politica di esplorazione, è più avanti dei giganti russi ancorati alle radici territoriali. Per la Russia l’accesso, sia pure minoritario, al bacino di Zohr è gioco, partita, incontro. Sulla scia dell’intervento in Siria, Mosca si sta costruendo una presenza mediterranea che non aveva dagli Anni 70. Sul piano militare non è una passeggiata, come dimostra la controffensiva di Isis a Palmira, e porta sulla coscienza l’aver lasciato che Assad faccia terra bruciata ad Aleppo. Diventa importante allargare il raggio d’azione, politico e geografico.  

 

Il Medio Oriente sente sulla pelle il ritorno russo, spalleggiato dall’Iran e non osteggiato da Israele. Nella totale incertezza sulla politica dell’amministrazione Trump, nell’inesistenza politica dell’Ue, la Russia naviga col vento in poppa. Ha già un buon rapporto con l’Egitto di Al Sisi; la crisi libica, dove entrambi appoggiano il generale Khalifa Haftar, le apre le porte del Nord Africa. Dove la dimensione energetica è dominante. L’accordo fra Eni e Rosneft le consente di metterci un piedino. Il Mediterraneo è stato a lungo un lago strategicamente occidentale. L’equilibrio si è incrinato per la tempesta perfetta di crisi siriana e libica, Stato islamico, terrorismo e migrazioni di massa, generando una pressione da Sud che la sponda Nord fa fatica a contenere. Adesso si aggiunge il terzo incomodo: una Russia ferocemente anti-terrorismo e affiliati, ma non compiacente verso Occidente ed Europa. 

 

Questo il quadro cui il nuovo governo italiano deve cominciare a pensare. La nostra linea di appoggio al governo di Al Sarraj a Tripoli era in sintonia con Washington. Se la nuova amministrazione si disimpegna, rischiamo di trovarci isolati, mentre aumentano i sostenitori di Haftar. Si può ancora vedere in Al Sarraj il catalizzatore di una sfuggente unità nazionale o bisogna spingerlo a un compromesso? Quanto possiamo ancora tenere congelato il rapporto con l’Egitto? La tragica fine di Giulio Regeni resta un serio problema, ma l’incomunicabilità con il Cairo, dove non abbiamo ambasciatore da cinque mesi, è un lusso che non possiamo permetterci. Altrimenti il ministro Alfano scoprirà che la politica estera si fa a Piazzale Mattei anziché alla Farnesina. 

http://www.lastampa.it/2016/12/13/economia/cos-litalia-apre-al-cremlino-le-porte-del-mare-nostrum-tiHmFQo0ukvGOW1N6c5XmI/pagina.html

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