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Inviato

Nel caso specifico del Regno Unito, la definizione auto elettriche forse è un po' eccessiva.

Il grosso di quelle vendite lo fanno mezzi di questo genere: 8)

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I più attivi nella discussione

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Inviato
Niente crisi per la Kia

I primi 11 mesi del 2008 sono meglio di tutto il 2007

La crisi non è uguale per tutti: ci sono marchi che riescono a sopperire alle difficoltà del mercato riscontrando un andamento delle vendite positivo nonostante il calo globale delle immatricolazioni. Uno dei cotruttrori che, per il momento, sembra soofrire meno situazione della difficoltosa situazione del settore auto è la Kia che, nel periodo che va da gennaio a novembre 2008, ha ottenuto un risultato di vendite superiore a quello di tutto il 2007. Con 1.272.689 unità vendute nelle totalità dei mercati in cui è presente ha ottenuto una crescita del 10,1%, superando nettamente il dato di 1.269.164 unità raggiunto durante tutto l'anno precedente.

Hyoung-Keun Lee, Senior Executive Vice Presidente responsabile della divisione Affari Internazionali ha dichiarato : "Malgrado la difficile situazione economica Kia è riuscita a crescere ancora globalmente e in novembre il nostro best seller è stato il SUV Sportage, mentre modelli strategici come la cee'd continuano ad ottenere buoni risultati. Il lancio del nuovo crossover Soul nei primi mesi del prossimo anno ci rende poi molto fiduciosi che la gamma Kia sia ben posizionata per stimolare un'ulteriore crescita nel 2009." Un'affermazione che ostenta sicurezza, ma che non tiene conto delle flessioni di vendita Kia in alcuni territori.

Infatti, nonostante la crescita considerevole ottenuta sul mercato cinese (+33,9%) e coreano (+16,8%) e il lieve incremento in quello europeo (+0,7%), nel Nord America il marchio Kia ha subito un calo del 6,3%. Anche in Italia nel mese di novembre la casa coreana ha registrato una diminuzione delle vendite del 24,11%, (una percentuale inferiore a quella generale che si attesta intorno al 29,46%), la flessione è stata contenuta dalla buona accoglienza riservata alle versioni a GPL: attualmente l'86% delle Picanto, il 65% delle cee'd e l'84% delle Sportagevendute sul nostro mercato sono bifuel.

Autore: Valerio Verdone

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Inviato

Fallisce in extremis la trattativa fra democraatici e repubblicani. Senza

i 14 miliardi di dollari sarà impossibile arrivare fino al prossimo marzo

Niente aiuti per l'auto Usa

GM, Ford e Chrysler sul baratro

di VINCENZO BORGOMEO

L'incubo si è avverato: l'auto americana verrà lasciata a se stessa, abbandonata a una crisi senza precedenti perché il Senato federale americano non è riuscito a trovare una soluzione di compromesso sul piano di salvataggio dell'industria automobilistica da 14 miliardi di dollari.

Il piano, varato dall'amministrazione del presidente uscente George W. Bush, era già stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti, ma a metà del suo iter legislativo è stato stroncato in modo definitivo. Motivo? I democratici erano favorevoli e i repubblicani contrari e alla fine la trattativa si è arenata drammaticamente sulla pretesa dei secondi di parificare i salari dei dipendenti del comparto Usa a quelli pagati dai concorrenti stranieri. Un'impuntatura impossibile da risolvere e che ha stroncato le trattative, cui hanno partecipato ovviamente anche rappresentanti dei sindacati di categoria. Trattative che, però sono fallite proprio in extremis, quando sembrava che potessero andare a buon fine, e conseguentemente ha avuto esito negativo la successiva votazione in sede procedurale: giunta anch'essa, stando alle indiscrezioni circolanti negli ambienti parlamentari di Washington, a pochi voti dai sessanta necessari per il via libera al provvedimento.

Il punto ora è capire cosa succederà. Teoricamente il ministro del Tesoro, Henry Paulson, potrebbe ripescare gli aiuti a favore dell'auto dal pacchetto di 700 milioni di dollari, a suo tempo stanziato per soccorrere banche e istituti finanziari, a loro volta travolti dalla grave crisi globale in atto. Ma bisogna vedere se i repubblicani riusciranno a fare pressioni perché questo avvenga. In igni caso la Casa Bianca ha già manifestato in via ufficiale il proprio "disappunto" per l'esito dell'iter legislativo alla camera bassa.

La situazione per GM, Ford e Chrysler a questo punto si fa drammatica: i colossi del settore senza i prestiti che avrebbero consentito loro di operare almeno fino al 31 marzo prossimo hanno i giorni contati. La situazione peggiore è quella della GM che non ha risorse sufficienti per arrivare fino al 31 dicembre e che quindi potrebbe essere costretta a dichiarare bancarotta. Uno scenario apocalittico: si calcola che costerebbe agli Usa qualcosa come 7 milioni di posti di lavoro. Ma anche Chrysler non sembra potercela fare a superare questa crisi, mentre Ford potrebbe - teoricamente - accedere ai fondi della sua fondazione.

(12 dicembre 2008)

ciao ciao GM?

bene, saran gran cacchi per tutti.

Inviato
...

La situazione per GM, Ford e Chrysler a questo punto si fa drammatica: i colossi del settore senza i prestiti che avrebbero consentito loro di operare almeno fino al 31 marzo prossimo hanno i giorni contati.

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Inviato (modificato)

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Ora la palla, pardon, il tappo a bush. Spero che questa volta abbia un rigurgito di buon senso

Modificato da simonepietro

... Le Alfa del futuro, Mazda a parte, dovrebbero essere ingegnerizzate là. Ma io dovrei comprare un'Alfa fatta dagli ingegneri della Chrysler ?

( Cit . Giugiaro da Quattroruote )

Inviato
È ciò di cui hanno bisogno: di razionalizzare i marchi, il prodotto, l'organigramma, la rete di vendita e via elencando. Ma con l'elefantiaca struttura burocratica che si ritrovano (ho l'impressione che nemmeno la FIAT sia così paralitica) l'unico modo possibile temo che sia proprio quello di radere tutto a zero e ricominciare dalle macerie; peccato che così facendo i dipendenti pagheranno, come al solito, il prezzo più alto.

Inoltre è curioso notare come la General Motors sia, nonostante le apparenze, messa peggio della Chrysler.

Inviato

a sostegno di ciò che ho scritto sopra...

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"We're joined at the hip with our Detroit brethren in manufacturing," said Irv Miller, group vice president and chief spokesman at Toyota Motor Corp.'s U.S. sales subsidiary. Whatever the U.S. government proposes to keep the U.S. automakers afloat, "we support it," Miller said.

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Jeffrey Smith, assistant vice president for corporate affairs at American Honda, told reporters, "Honda supports measures that would maintain the short- and long-term viability and stability of the auto industry."

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da detroitnews.com

Inviato
molti ritengono che la bancarotta sia un buon modo per riorganizzare, e sono della stessa idea.

c'è solo un problema enorme: gli americani non comprano dalle aziende in bancarotta, e questo può significare la morte definitiva dell'azienda stessa in brevissimo tempo.

è qualcosa che non possiamo rischiare per GM Usa, anche se ciò si limitasse soltanto alla divisione americana (lasciando fuori Opel) perché le conseguenze di una crisi di queste dimensioni arriverebbe anche a noi (Fiat).

GM negli USA impiega in maniera diretta 300mila dipendenti e mantiene 700mila pensionati.

Non aggiungo i dealers ed i fornitori.

Pensiamoad 1milione di persone che da un giorno all'altro si trovano senza soldi (magari con qualche sparuto aiuto governativo per campare).

significa che l'economia smette di girare. E se si nutre la recessione negli USA....le ripercussioni si sentiranno anche nel vecchio continente, purtroppo....

Inviato (modificato)

vorrei postare questo articolo sulla decadenza della città di Detoit causato dalla crisi delle big three:

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID_blog=43

2008, fuga da Detroit

Viaggio nella città dell'auto dove i redditi scendono e gli indigenti crescono

Venticinquemila abitanti che fuggono ogni anno, il più alto tasso di povertà degli Stati Uniti, scuole fatiscenti, guerre di gang giovanili, il sindaco travolto da uno scandalo a luci rosse, l’Fbi che indaga sulle delibere del consiglio comunale e i sermoni del figlio di Martin Luther King per sognare una rinascita che a molti appare impossibile. Questa è Detroit, la città fondata nel 1701 da 52 coloni francocanadesi sull’omonimo fiume dove nel 1904 Henry Ford fondò la sua «Motor Company» gettando le basi di quell’industria dell’automobile che durante il Novecento ha accompagnato il boom economico e adesso invece rischia un collasso tale da innescare la depressione.

La vita dei circa 900 mila abitanti di «Motown», il soprannome che risale ai tempi d’oro, è scandita da vicende che ne descrivono il declino.«Redditi in discesa, povertà in crescita» è il titolo di un rapporto che incrocia i dati del crollo dell’auto con quelli del censo: nel 2007 la povertà in Michigan è aumentata del 14 per cento, il dato nazionale più alto, con picchi del 35,5 per cento a Flint - la città del regista Michael Moore - e Kalamazoo. Con il reddito medio sotto i 48 mila dollari cresce la richiesta di servizi sociali - mense, dormitori, centri di accoglienza - ma scarseggiano i donatori perché General Motors, Ford e Chrysler producono meno ricchi e più disoccupati.

In settembre lo Stato del Michigan ha dato tessere alimentari a 1,3 milioni di persone, ma non bastano.

Quasi la metà dei minorenni di Detroit - il 47,8 per cento - vive sotto la soglia di povertà. «Sono numeri da shock» ammette Rebecca Blank, ex rettore della Scuola di Politica dell’Università del Michigan, secondo la quale «i figli crescono in famiglie devastate dalla crisi dell’auto, alle prese con debiti, pignoramenti, disoccupazione, separazioni e abusi». Le conseguenze sono a pioggia: gli omicidi annuali hanno superato quota 400, il tasso di imprigionati è il più alto d’America, la percentuale di ragazzi che abbandona la scuola è del 68 per cento - un record condiviso con Indianapolis e Cleveland - e gran parte di loro finiscono in gang giovanili talmente aggressive da aver spinto l’Fbi a dichiarare Detroit la «città più pericolosa della nazione».

Per avere un’idea dei crimini che commettono bisogna entrare nell’aula del giudice Ronald Giles, 36° Distretto, dove tre adolescenti fra i 15 e i 18 anni rischiano la condanna a morte per aver ucciso un coetaneo ed averne torturati altri tre di fronte alla finestre di un liceo intitolato all’onnipresente Henry Ford. D’altra parte la disoccupazione è all’8,8 per cento e continua a crescere, allontanando prospettive di lavoro. Chi può se ne va, ad un ritmo di 25 mila l’anno, cercando fortuna il più lontano possibile, convinto che il destino di «Motown» sia segnato sin dall’inizio visto che i fondatori la chiamarono un francesizzante «sarà distrutta».

La speranza della rinascita doveva essere il giovane sindaco afroamericano Kwame Malik Kilpatrick, classe 1970, ma a inizio settembre è stato obbligato alle dimissioni da uno scandalo di infedeltà matrimoniale svelato da migliaia di sms con contenuti osceni che si scambiava con l’amante-segretaria. Ora la città è guidata dall’ex vice sindaco, Ken Cockrel, che punta a vincere le imminenti elezioni ma nè lui nè i nove concorrenti sollevano molte emozioni. A rafforzare la sfiducia c’è l’indagine dell’Fbi su appalti milionari assegnati in maniera dubbia dall’attuale consiglio cittadini. Durante un dibattito elettorale i candidati sindaci sono stati travolti da un torrente di domande e accuse, in cui gli è stato imputando di ignorare i tre mali che stanno uccidendo Detroit: povertà, crimine e carenza di educazione. Come scrive il popolare opinionista Daniel Howes su detnews.com «la crisi di Detroit è un problema di tutti».

Per sensibilizzare il grande pubblico ogni mezzo è utile. C’è anche chi si è inventato un tour per turisti attraverso le «Favolose rovine di Detroit» per vedere da vicino ciò che resta delle fabbriche che fecero decollare l’industria dell’auto. Si può così andare a vedere da vicino quanto rimane della fabbrica dove nacque il «Modello T» di Ford in un Highland Park oramai abbandonato oppure l’edificio in mattoni rossi della Studebaker Piquette Plant che fino agli anni Cinquanta ospitava i test dei progetti più innovativi. Ma forse l’immagine che più raffigura il degrado è il complesso Dodge Main di Chrysler, costruito per essere un gioiello architettonico negli anni Ottanta e ora presentato ai turisti come un «Requiem» per essere stato trasformato in una fabbrica senza finestre dove General Motors costruisce modelli Cadillac destinati a rimanere invenduti.

Attorno a queste rovine del Novecento Detroit si presenta come un reticolo di autostrade troppo grandi per il numero di auto che vi circolano, parcheggi abbandonati ed edifici semivuoti. Nulla da sorprendersi se in questa città, dove l’85 per cento della popolazione è afroamericano, l’unico prodotto gettonato siano i discorsi, scritti o trasmessi alla radio, di Martin Luther King III, figlio del reverendo simbolo delle battaglie per i diritti civili, che parlando di fronte ad una folla nel Cobo Center ha invocato il bisogno di «sconfiggere la povertà».

Modificato da itr83
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