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1 gennaio 2011: scadenza delle stock option Fiat di Marchionne


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Volendo, potrebbe farlo anche oggi. Sergio Marchionne, nelle prossime ore potrebbe passare alla cassa, presentare i suoi 10 milioni e rotti di stock option, tramutarle in azioni per poi venderle in Borsa. Il suo guadagno immediato si aggirerebbe intorno ai 100 milioni di euro (la paga annuale di oltre 6.400 operai).

Marchionne molto probabilmente deciderà di lasciar perdere. E le sue stock option per il momento resteranno in cassaforte. Nel pieno della battaglia di Mirafiori, a pochi giorni dal referendum sul nuovo contratto di lavoro nello stabilimento piemontese, non è proprio il caso di innescare una nuova girandola di polemiche, questa volta sui maxi compensi del numero uno Fiat. E, per di più, proprio quando le vendite di auto Fiat in Europa hanno appena toccato i minimi storici.

Niente da fare, quindi. Marchionne, salvo sorprese clamorose, per ora non passerà alla cassa. Ma i suoi guadagni continuano comunque ad aumentare. Al momento, infatti, quel primo pacchetto di 10 milioni di opzioni vale un centinaio di milioni. Se le quotazioni di Fiat fossero rimaste quelle di sei mesi fa, Marchionne avrebbe portato a casa meno delle metà di questa somma. Il gran rialzo di questi mesi ha quindi avuto come effetto immediato quello di moltiplicare il valore delle stock option del gran capo del Lingotto.

Questo, comunque, è un ragionamento puramente teorico. Perchè il primo pacchetto di opzioni concesse all'amministratore delegato di Fiat può essere esercitato per un periodo di cinque anni a partire da 1 gennaio 2011. E, come detto, al momento non si ha notizia che il manager abbia intenzione di trasformare in denaro contante questo superbenefit.

Certo, fa una certa impressione constatare che la fase di massimo rialzo dei titoli Fiat da tre anni a questa parte coincide proprio con la prima scadenza delle stock option del numero uno aziendale. Ed è ancora più sorprendente notare che la prima versione del contratto di Marchionne prevedeva che i 10 milioni di stock option scadessero il 1 gennaio 2011.

A marzo del 2009 il consiglio di amministrazione di Fiat ha però deciso di cambiare i termini del regolamento, che è poi stato approvato anche dall'assemblea dei soci. Le vecchie opzioni, quelle che scadevano cinque giorni fa, sono state sostituite da opzioni nuove di zecca esercitabili da gennaio 2011 a gennaio 2016.

Con il senno di poi si potrebbe dire che questo cambio in corsa deciso dagli amministratori di Fiat sembra studiato apposta per consentire al capoazienda di sfruttare al meglio il boom di Borsa delle ultime settimane. Ovviamente a marzo del 2009 nessuno poteva prevedere con certezza l'eccezionale rialzo di questi mesi.

Di certo nella primavera di due anni fa, quando il titolo dell'azienda torinese languiva ai minimi, a Marchionne è stato concesso più tempo per esercitare le sue opzioni. E mai come in questo caso si può concludere che il tempo è denaro. A ben guardare, però, il capo di Fiat può anche permettersi di aspettare e magari guadagnare ancora di più.

Da qui al 2014 gli spettano altre 8,75 milioni di opzioni, di cui 1,25 milioni sarebbero già esercitabili. E, infine, bisogna considerare anche 4 milioni di stock grant, cioè il diritto di ricevere azioni gratis. A conti fatti, sulla base delle quotazioni di questi giorni, il guadagno complessivo di Marchionne sfiorerebbe i 200 milioni.

Questa somma extra andrebbe aggiunta al normale stipendio del numero uno Fiat, pari, nel 2009 a 4,7 milioni, e nel 2008 a 3,4 milioni. Troppo? Non più tardi di due giorni fa è stato il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, a ricordare "gli stellari capital gain" garantiti al manager dalle stock option. Confrontandoli con gli stipendi, ben più bassi delle media europea, degli operai di Mirafiori (circa 1.200 euro al mese)..

Un altro termine di paragone potrebbero essere i compensi dei colleghi di Marchionne, cioè i capi delle più importanti aziende concorrenti europee. Martin Winterkorn, amministratore delegato di Volkswagen nel 2009 ha guadagnato 6,6 milioni. Martin Reithofer, a capo di Bmw, non è andato oltre 2,5 milioni. Mentre Dieter Zetsche ha ricevuto circa 4,2 milioni.

A prima vista, quindi, lo stipendio di Marchionne è nella media dei suoi colleghi delle grandi case automobilistiche tedesche che pubblicano nel dettaglio i compensi dei manager. Le francesi Renault e Peugeot, invece, non forniscono questi dati. Ci sono, però, almeno un paio di particolari che fanno la differenza. In Germania nessun top manager automobilistico può vantare un piano di stock option ricco come quello garantito al numero uno di Fiat.

Il quale ha un altro importante vantaggio. La sua parte fissa della retribuzione, quella che prescinde dai risultati aziendali è pari a 3 milioni di euro. Il doppio, a volte il triplo, rispetto a quanto percepiscono, come stipendio fisso, i capi di Bmw, Daimler e Volkswagen. La loro retribuzione dipende in gran parte dai dati di bilancio e dal miglioramento della qualità del prodotto. Marchionne invece, per male che vada l'azienda, ha 3 milioni di stipendio garantiti. Senza contare le stock option.

Quattro anni fa, conversando con un giornalista, Sergio Marchionne si lasciò sfuggire uno sfogo sorprendente. "A 60 anni mollo tutto", disse il manager che a quell'epoca veniva celebrato, a ragione, come il salvatore della Fiat. La frase forse tradiva stanchezza o piuttosto la consapevolezza che c'era ancora molto da lavorare per rimettere davvero le cose in ordine nella più grande azienda industriale italiana.

A quattro anni (e una recessione) di distanza proviamo a prendere sul serio quelle parole. Immaginiamo che Marchionne abbia davvero intenzione di ritirarsi entro il 17 giugno 2012, giorno del suo sessantesimo compleanno. Una data che segue di un paio di settimane (sarà un caso?) la conclusione del suo secondo mandato quadriennale alla guida del gruppo dove arrivò, lui che in Italia era un perfetto sconosciuto, nel giugno del 2004.

A questo punto, allora, vale la pena farsi una domanda: che Fiat lascerà Marchionne, se davvero deciderà di ritirarsi tra 18 mesi, quando taglierà il traguardo dei 60 anni? Per azzardare una risposta dobbiamo partire da lontano. Tracciare una rotta, fondata il più possibile sui risultati delle scelte gestionali, che ci porti fino all'appuntamento (per ora del tutto ipotetico) dell'anno prossimo.

Per capire meglio, però, è indispensabile lasciar perdere il polverone polemico di queste settimane. Un torrente di parole che il manager venuto dal Canada ha saputo indirizzare dove voleva lui. Concentrando l'attenzione dei media e dei commentatori sugli aspetti politico-sindacali delle sue scelte gestionali. Con il risultato di mettere in secondo piano la sostanza dei problemi. Che riguardano innanzitutto il mercato, cioè le vendite, e quindi i dati di bilancio.

Allora è perfino troppo facile accorgersi che il Marchionne di questi giorni, quello che zittisce i sindacati critici con un "faremo a meno di voi", non è un Marchionne nuovo rispetto a quello che cinguettava sornione con le parti sociali e veniva definito "borghese buono" da Fausto Bertinotti (estate 2006).

Allora come adesso il capo della Fiat ha dimostrato una straordinaria abilità nel parlar d'altro. Tutti si concentrano su di lui, discutono del suo stile di comunicazione, delle sue controverse scelte politiche. Pochi prestano attenzione ai risultati e alle prospettive di mercato.

Vediamo. È senz'altro vero che tra il 2004 e il 2005 Marchionne ha riportato a galla una Fiat prossima alla catastrofe. Il nuovo numero uno, nato contabile, se la cava da par suo e rimette in ordine il bilancio grazie soprattutto a grandi risparmi di costi e operazioni finanziarie varie.

Ed è così che nel novembre 2006 Marchionne può permettersi di annunciare che Fiat è fuori dalla crisi. "Guadagniamo cinque milioni al giorno, prima ne perdevamo due", spiega. Nasce il mito del manager con il pullover, del capoazienda che guida le convention sulle note di Bobby Mc Ferrin, quello di "Don't worry, be happy".

A rafforzare l'immagine dell'impavido condottiero non mancano neppure le citazioni del Braveheart di Mel Gibson "Gli uomini non seguono gli altri uomini, seguono il coraggio". Già, il coraggio. Forse scoraggiati da questo diluvio di melassa pochi commentatori si assumono il fastidioso compito di segnalare che la straordinaria ripartenza di Fiat avviene al traino di un mercato globale che tiene o cresce leggermente e grazie al successo di nuove versioni di vecchi modelli come Grande Punto e Panda.

Tra l'altro il baricentro commerciale in quegli anni si sposta sempre più dall'Italia verso il Brasile. Il trend prosegue fino ai nostri giorni, quando in base agli ultimi dati, il Brasile si avvia a diventare il primo mercato della Fiat. Sul piano del fatturato però il successo brasiliano non basta a compensare il calo in Italia.

Nel 2006, nel pieno dell'euforia, il gruppo di Torino pubblica il piano industriale 2007-2010 con target molto ambiziosi. Fatturato di 67 miliardi di euro, nel 2006 erano arrivati a 51,8 miliardi, utile netto di 3,5 miliardi (1,1 miliardi nel 2006), 2,3 milioni di auto vendute (una crescita del 30 per cento sul 2006) e 23 nuovi modelli oltre a 16 restyling. Un piano che di lì a poco diventerà carta straccia per effetto del crollo dei mercati.

Marchionne nel frattempo si esibisce tra gli applausi della platea. E sembra addirittura non preoccuparsi troppo quando nell'estate del 2007 dall'America, che pure dovrebbe conoscere bene, arrivano i primi scricchiolii che innescheranno poi la gigantesca crisi globale dell'anno successivo.

ANCHE LA FIAT, come tutti i suoi concorrenti subisce il colpo, ma a differenza degli altri grandi gruppi continentali Torino non dispone di una scuderia di nuovi modelli su cui puntare quando il mercato riprenderà a tirare. Marchionne lo sa bene. E con l'affare Chrysler si conferma uno specialista in operazioni straordinarie.

Qualcosa di diverso, quindi, da un risanatore industriale. Piuttosto un uomo di finanza che sa sfruttare al meglio le occasioni di mercato. La scissione tra auto e veicoli pesanti varata in questi giorni ne è la conferma più evidente. Proiettato sull'America, adesso Marchionne può permettersi di non perdere tempo in discussioni qui in Italia, dove le vendite continuano a calare.

Non c'è più tempo per frasi del tipo "L'efficienza non può essere l'unico elemento che regola la vita" (maggio 2008). A chi chiede i particolari del faraonico piano di investimenti annunciato per gli stabilimenti nel nostro Paese il capo della Fiat adesso risponde infastidito che la richiesta gli pare "offensiva".

È questo il nuovo Marchionne, quello che ormai passa più tempo a Detroit che a Torino con l'obiettivo di varare in tempi brevi altre due operazioni straordinarie. La quotazione in Borsa di Chrysler e l'acquisto del 51 per cento del capitale (ora Torino è al 20) della casa americana.

A quel punto, Fiat e Chrysler saranno una cosa sola. Ma gli americani peseranno di più rispetto all'auto con targa italiana. E allora a cose fatte, nella primavera del 2012, Marchionne potrebbe davvero "mollare tutto" qui da noi. Magari per comandare da Detroit.

vittorio malagutti per Il Fatto

www.ilfatto.it

"quello che della valle spende in 1 anno di ricerca io lo spendo per disegnare il paraurti della punto." Cit.

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continuo a rimanere perplesso circa un punto e credo proprio di non essere il solo....

perchè Marchionne dovrebbe impelagarsi con sindacati, stampa, opinione pubblica e politica in battaglie su tematiche altamente impopolari a forte di rischio di accuse demagogiche (attacco alla costituzione, attentato alla democrazia, ritorno del fascismo ecc ecc) nel disperato tentativo di abbattere quell'ecomostro in cemento armato apparentemente indistruttibile che è il sistema del mondo del lavoro italiano per tentare di produrre con profitto in questo sfortunato paese, se poi vuole mollare tutto tra meno di un anno? per quale assurdo motivo dovrebbe complicarsi cosi tanto la vita? in modo cosi inutile tra l'altro... per fare un dispetto agli italiani?

se è vero che dell'Italia se ne frega, se è vero che se ne vuole andare.... perchè non si muove concretamente in questa direzione? chi glielo impedisce? cosa teme di perdere? tanto già le auto qui non gliele comprano, già in moltissimi non lo amano.... quale è lo scopo di questo sedicente bluf?

già ad aprile 2010 marchionne era dato in fuga SICURA alla scadenza delle sue stock options.... l'accordo di pomigliano era fumo negli occhi SICURO e mai sarebbero stati confermati gli investimenti, mirafiori chiudeva di SICURO e già c'era il piano edilizio approvato firmato e controfirmato (ecco, magari su questo punto aspettiamo i risultati del referendum). e invece, fin'ora, tutto pare procedere in coerenza con quanto annunciato dalla dirigenza FIAT, investimenti confermati laddove vengono accettate le nuove condizioni lavorative, chiusura degli stabilimenti che non riescono ad essere remunerativi.

imho, fin'ora l'unica cosa sicura è il calo di attendibilità di questi sedicenti giornalisti

Modificato da JackSEWing

Alfa Romeo Giulietta, 1.4 TBI Multiair 170 CV Exclusive (2013)

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Viviamo in una campagna elettorale permanente, le vicende di Mirafiori e Pomigliano sono troppo grosse per non essere strumentalizzate da entrambe le parti.

Alfiat Bravetta senza pomello con 170 cavalli asmatici che vanno a broda; pack "Terrone Protervo" (by Cosimo) contro lo sguardo da triglia. Questa è la "culona".

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e intanto la "doppia" fiat del 2011 vale 2 miliardi di euro piu della FGA del 31 dicembre 2010 :

8/1/2011 (8:17) - LA GIOVANNI AGNELLI & C. AL 30,4% DELL’AUTO La doppia Fiat vale 2 miliardi in più

Marchionne presenta le nuove Chrysler: restituiremo gli aiuti del 2011

FABIO POZZO

TORINO

La «nuova» Fiat, considerata quale somma di Fiat Spa e Fiat Industrial, vale 2,1 miliardi di euro in più di quanto valesse la «vecchia» al tramonto del vecchio anno. A decretare il successo dello spin-off è la prima settimana di contrattazioni in Borsa: includendo le azioni di risparmio e le privilegio, la capitalizzazione di Fiat Industrial è di 11,77 miliardi di euro mentre Fiat Spa vale 9,25 miliardi, per una capitalizzazione complessiva delle due società che sale così a 21 miliardi di euro contro i 18,9 miliardi della vecchia Fiat. Ieri è stata un’altra giornata in spolvero per Fiat Industrial, che ha chiuso con un + 6,08% (a 9,6 euro) e ha indossato la «maglia rosa» del listino, mentre archivia la seduta in parità Fiat Spa (a 7,445 euro).

In rialzo anche la holding di controllo Exor (+1,64%). La Consob, intanto, informa che la Giovanni Agnelli & C. Sapaz possiede il 30,41% di Fiat Spa e il 33,65% di Fiat Industrial (30,41 attraverso Exor più il 3,23% di Fiat Spa). A trascinare il business dei camion a Piazza Affari è stata anche la maxi-commessa di 200 autocarri militari che Fiat Industrial con Iveco (insieme a Soframe) si è aggiudicata in Francia, che rappresenta - è stato specificato ieri - la più corposa fornitura conclusasi in Europa nel settore nel 2010 ed è tra le più grandi assegnate dalla Divisione generale armamenti transalpina.

Si tratta di autocarri 8x8 Iveco Astra (prodotti e assemblati in Francia): la commessa vale 160 milioni di euro, con possibilità di successive tranche opzionali fino a 2.400 mezzi per un valore complessivo di 800 milioni. Un successo italiano che non è stato gradito da Renault Trucks: Stefano Chmielewski, un dirigente della divisione, ha detto che tale sconfitta avrà conseguenze sull’occupazione e potrebbe portare il marchio francese a «lasciare l’attività difesa se lo Stato non avrà più bisogno di noi». Sempre dal fronte della produzione, in America Chrysler Group festeggia la messa in linea dei nuovi modelli Chrysler 300 e Dodge Charger, ma anche del 2011 Dodge Challenger, con un evento allo stabilimento di assemblaggio di Brampton, in Ontario, al quale ha preso parte anche l’ad Sergio Marchionne.

«È la dimostrazione di quanto lontano questa azienda è riuscita ad arrivare in 18 mesi» ha detto il manager. «L’assistenza dei governi del Canada e dell’Ontario ci ha dato l’opportunità di costruire un futuro. Chrysler Group ha un debito di gratitudine con i contribuenti canadesi e americani per i prestiti che hanno consentito che nel giugno 2009 emergesse una società vitale e ristrutturata», ha aggiunto, sottolineando che «stiamo dimostrando cosa si può ottenere quando l’industria, il governo e i sindacati riconoscono la necessità di trovare un punto di incontro».

Marchionne ha poi ribadito che intende restituire quest’anno al governo americano e a quello canadese gli aiuti ricevuti durante la ristrutturazione. «Chrysler sta pagando oltre un miliardo di dollari in interessi. È uno dei più costosi finanziamenti che si potevano ottenere ma ritengo che i termini dell’accordo siano giusti», ha affermato ancora il manager, che si augura di ottenere entro gennaio i 3 miliardi in finanziamenti chiesti al Dipartimento dell’Energia Usa. Quanto all’Italia, cresce l’attesa per il referendum del 13-14 gennaio sull’accordo per Mirafiori.

I sindacati firmatari sono scaramanticamente cauti e parlano di risultato «non scontato». «Auspico la maggioranza dei sì» dice il segretario Fim, Bruno Vitali. «Mi aspetto per i sì qualcosa in meno di Pomigliano (62,2% ndr.)» dice il leader Uilm Rocco Palombella. Sul fronte del no, mentre 46 economisti criticano l’intesa e il malumore degli operai corre anche su Facebook, si moltiplicano le iniziative di Fiom. «Il loro - dice il segretario Ugl Giovanni Centrella - è un no politico».

La doppia Fiat vale 2 miliardi in pi - LASTAMPA.it

Cita

7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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