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... che si saranno probabilmente chieste cosa avessero fatto di male. :) 

 

Bonsoir :) 

 

Tanto si lamentò Gianni Marin del caldo patito sui sentieri percorsi un tempo dai Pony Express, da arrivare a pianificare il successivo raid in un luogo... un po' più freschino.

Al volante di cosa? Ma delle stesse Delta che secondo me non vedevano l'ora di tornare a casa.

 

Non voglio tediarvi con una delle mie infinite introduzioni: lascerò al compianto Gianni questo compito, e se il mio pensiero vi pare poco carino nei suoi confronti, vi dico che lo esprimo perchè il testo che andate a leggere si potrebbe definire "Marin al 110%".

Egli infatti decise di raccontare questa avventura dandole la forma di una lettera d'amore :)  a quelle due Delta, e di conseguenza penso che molti di voi troveranno la sua prosa piuttosto stucchevole.

Ambasciator non porta pena :)  il piacere è sempre quello di condividere con voi le avventure di un diretùr dalla mente vulcanica  e dalle dita che a volte si lasciavano andare su scritti che già ai tempi potevano far dire a molti "si vabbè, però, dai...", e figuriamoci come possano "suonare" oggi, in un mondo in cui l'informazione si esprime in maniera assai differente... quindi questo è, o meglio, era.

 

L'unica divertente considerazione che voglio aggiungere è che una volta tornati a casa dopo il "Pony Express", probabilmente la Sig.ra Bruna, sua moglie, appena sentì parlare il marito del nuovo raid gli urlò dalla cucina "stavolta ci vai te, a tribolare!!!"

Gianni infatti si portò dietro il figlio Alfredo, in questa nuova avventura. :) 

 

Ho scritto abbastanza. Schiaccio il bottone e vi spedisco nel 1981. Mettetevi comodi e soprattutto siate pronti ad assorbire l'onda d'urto... da qui in poi parla l'instancabile diretùr giramondo.

 

 

Dalla notte polare una lettera all'amica Delta

 

Le due Lancia che avevano partecipato al torrido raid “Pony Express”

hanno viaggiato in pieno inverno sulle piste più fredde del mondo

 

di Gianni Marin

 

Collaborazione tecnica di Carlo Massagrande

Ricerche storiche e turistiche di Alfredo Marin

Servizi fotografici e televisivi di Vanni Belli

 

 

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Cara Delta, sono certo che mi consentirai questo tono familiare. Fra me e te, graziosa creatura nata da un atto d'amore di papà Giugiaro e mamma Lancia, si è creata una tale intimità che tutto, o quasi, mi è ormai concesso.

Penso a te nella camera d'albergo in cui mi trovo, bella, calda e confortevole. È un'ampia stanza dell'Hotel Vancouver, della catena Hilton.

L'ambiente è ideale, ma purtroppo le nove ore di differenza di fuso orario si fanno sentire. Mentre laggiù in Italia sono le nove del mattino e i miei amici in redazione iniziano a lavorare sul nuovo numero del giornale, qui è mezzanotte e io mi giro e rigiro nel grande letto, non riuscendo a trovar sonno. E, inevitabilmente, penso a te.

Dovrei forse parlare al plurale, perché tu, ragazza virtuosa e affidabile, hai una gemella. Solo il vestito vi differenzia: tu indossi quello rosso delle grandi occasioni; tua sorella quello blu, più serioso, quello della domenica.

Ambedue mi avete fatto vivere momenti indimenticabili, ma io mi rivolgo solo a te, cara amica, sperando che la gemella Delta blu mi perdonerà questo favoritismo, perché a te sono inevitabilmente più affezionato.

L'ultima volta che ti ho vista, quando commosso ti ho lasciata, ci trovavamo a San Francisco.

Per giorni e giorni eri stata la mia casa, il mio rifugio, la mia sicurezza.

Ti ricordi? C'eravamo incontrati nella fantastica New Orleans, da dove abbiamo galoppato assieme alla volta della fantascientifica Houston, per poi puntare verso le polverose piste della Monument Valley fino alla sofisticata Phoenix, e ancora fino alla caotica e affascinante Los Angeles.

Abbiamo ripercorso insieme, in un'ideale cavalcata, quello che era stato uno fra i più avventurosi e primitivi servizi postali a cavallo: il leggendario “Pony Express”.

E come i cavalieri di quella mitica avventura, che aveva preso l'avvio il 3 aprile 1860, anche noi avevamo puntato verso ovest, fra tante difficoltà e tanto caldo.

 

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Vancouver

 

Ecco: il caldo. Se fra poche ore potrò rivederti, riaccarezzarti, risentire il suono armonioso del tuo motore, lo debbo proprio a quelle giornate di caldo insopportabile che insieme abbiamo sfidato attraversando la Louisiana, l'Arizona, il Texas.

Quando, a quarantasei gradi all'ombra, cercavamo refrigerio e ristoro sognando un mondo di neve e di ghiaccio, balenò in noi un'idea: portare te e la tua gemella a nord, più a nord possibile, dove avremmo potuto dimenticare il caldo, la sete, il sudore, l'asfalto molle e infuocato.

Non sapevamo, noi poveri illusi assetati e sudati, che il freddo Nord ci avrebbe procurato nuove e più dure fatiche del caldo del Sud.

Così, a San Francisco ci eravamo lasciati con una promessa: rivederci fra i ghiacci dell'Artico. Mentre noi salivamo sull'aereo, tu “Delta rossa” e tu “Delta blu”avete preso la nave e siete tornate in Italia come semplici emigrate.

Vivere sottocoperta, relegate in un angolino anziché in una cabina di prima classe non deve essere stato per voi divertente. Quando siete sbarcate avevate qualche segno di questo lungo viaggio. Piccole cose, ma che in donne di classe come voi si notano.

Oltretutto, l'idea artica andava maturando ed è stato necessario rifarvi l'abito, di taglio invernale.

C'è la grande sartoria da cui escono vestiti in serie ben confezionati, belli sin che si vuole ma senza personalità. C'è la piccola sartoria, il “couturier” che sa invece trasfondere nel suo prodotto la propria anima, la propria personalità.

Per voi, donne raffinate ed eleganti, occorreva proprio uno di questi “Valentino” dell'auto. C'è un piccolo reparto in casa Lancia dove l'impossibile diventa possibile, dove l'irreale diventa reale.

E lì, lontano da occhi indiscreti, avete indossato l'abito del grande inverno polare.

 

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Vancouver - "Porta dell'Oceano"

 

Come prima idea avevo pensato di portarvi nel Labrador, a nord di Montreal, e a Quebec, dove non esiste altro che un mare di ghiaccio e di neve, con alti iceberg e tanto freddo.

Ma tu, “Delta rossa”, facendoti interprete anche dei pensieri della tua gemella, mi avevi fatto capire che il Labrador non è poi tanto affascinante. Meglio l'Alaska, meglio il Circolo Artico, meglio Anchorage dove anche Papa Giovanni Paolo II avrebbe fatto tappa nello stesso periodo.

Le consultazioni con gli amici della precedente avventura del “Pony Express Raid” non avevano portato a risultati troppo incoraggianti. Tu non lo sai, ma convincere Carlo Massagrande, lo stesso Vanni Belli, a seguirci in questa impresa non è stato facile.

Mia moglie, addirittura, si è rifiutata con decisione: le follie preferisce lasciarle fare agli altri. Mio figlio Alfredo, invece, studente in ingegneria, tra le due alternative della “settimana bianca” a Cervinia o dell'avventura artica, ha optato per la seconda; ma non mi ha ancora spiegato i motivi di questa scelta. Certo che di bianco ne ha visto poi tanto, tantissimo.

 

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Vancouver - Zona residenziale

 

Fra poche ore, comunque, ti rivedrò; ora voi due siete in un posto sicuro, il dealer Fiat di Vancouver. Nell'atelier Lancia vi hanno preparato come si conviene. La raccontiamo ai nostri lettori questa vostra trasformazione?

Direi di sì, perché mi sembra utile, dato che rispecchia quanto “mamma Lancia” fa per tutte le vostre sorelle che partono da Chivasso verso i Paesi del Nord Europa, come la Svezia, la Norvegia e via di seguito.

Per la vostra preparazione ho chiesto certamente qualche cosa di più, ed era logico, anche perché leggendo i bollettini meteorologici che quotidianamente il Benny Manocchia (il nostro corrispondente americano) ci inviava, non c'era da stare allegri.

Uno parlava di trenta, quaranta gradi sotto lo zero; un altro di una bufera di neve che aveva sepolto un'auto con tre persone, ritrovate senza vita soltanto sette giorni dopo; un altro ancora di strade divenute impercorribili.

Il clou della vostra trasformazione sta nel riscaldatore, che è stato potenziato. Se vogliamo arrivare ad Anchorage in buone condizioni dobbiamo difenderci dal freddo, e questo riscaldatore risponde alle severissime specifiche che “mamma Lancia” e “zia Saab” hanno reciprocamente concordato.

In particolare risponde a quello che i tecnici chiamano “TEL”, cioè la “Temperatura Esterna Limite” alla quale il riscaldatore deve essere in grado di funzionare, mantenendo l'abitacolo della vettura in un clima di comfort.

Di comune accordo Lancia e Saab hanno fissato il valore di meno trenta gradi centigradi. E se fossimo andati oltre?

 

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Vancouver - Foto ricordo con alcuni tipici totem

 

Ma non incominciamo a crearci dei problemi: viviamo alla giornata e di momento in momento risolveremo i problemi.

Oltre al riscaldatore la tua preparazione “nordica” ha toccato anche altri elementi: è stato montato un alternatore più potente (55 Ah anziché 45), sono state piazzate delle protezioni per evitare infiltrazioni di fango nella cinghia di comando della distribuzione; il termostato che sovrintende alla circolazione dell'acqua nel motore ha un'apertura ritardata a 85° anziché a 80°; la batteria è più potente (Scaini 60 Ah/225 A); il sedile di guida è riscaldato, c'è una protezione sui dischi e sulle pinze dei freni anteriori; ci sono i tergiproiettori con relativa vaschetta di alimentazione degli spruzzatori, e i paraspruzzi sia alle ruote anteriori sia a quelle posteriori.

Così, tu e la tua gemella vi siete trasformate in due eschimesi, pronte ad affrontare le strade della Lapponia.

Ma la mia idea era l'Alaska, dove fa più freddo. E dato che vi voglio bene, ho chiesto ai maghi di Chivasso ancora di più.

E i maghi cosa hanno fatto? Hanno cambiato l'olio del cambio con uno più fluido (Fiat “W75” anziché “2 C 90 W”); hanno sostituito le cuffie dei giunti omocinetici della trasmissione e dei tiranti della scatola di guida con altre di gomma idonea a resistere sino a temperature di meno quarantacinque gradi; nei giunti è stato immesso del grasso al solfuro di molibdeno speciale per le basse temperature; per il motore è stato preferito olio Mobil “10W30; l'antigelo è stato aggiunto in modo da poter affrontare i meno cinquanta; lo stesso è stato fatto per il liquido lavavetro e per quello tergiproiettori (Fiat “DP1/S” al 100%).

 

Mia cara Delta, vogliamo svelare a chi avrà la bontà di leggere questa lettera, che come vedi non è certo riservata, anche gli altri segreti della tua preparazione?

Lo diciamo che le guaine di comando dell'acceleratore e della frizione sono state lubrificate con grasso Esso “Beacon 325” per basse temperature?

Che sotto la coppa del motore e il cambio di velocità è stato posto un riparo per aumentare la protezione?

Che sono stati montati degli attacchi anteriori per eventuali necessità di traino (forse stai facendo gli scongiuri, e hai ragione, ma bisogna sempre pensare al peggio)?

Che durante il trasporto dall'Italia tu e tua sorella siete state agganciate ad appositi anelli posteriori per evitare errati fissaggi e conseguenti deformazioni di gruppi meccanici?

Che sono stati montati dei ripari grigliati davanti ai proiettori e al parabrezza?

Che sono stati aggiunti degli spessori sotto le molle per aumentare la luce minima da terra e compensare la riduzione dovuta all'ingombro dei ripari montati?

Che sono state irrigidite le molle delle sospensioni anteriori (cinque per cento in più) per compensare l'aumento di peso, sempre dovuto ai ripari montati?

Ecco perché ora ti sentirai un po' più pesante (1050 chilogrammi contro i 990 delle tue sorelle di serie), ma sei solo più robusta, non certo più “grassa”.

Lo diciamo che monti pneumatici Pirelli “M+S Winter 160” della misura 165/70-13 debitamente chiodati (circa centoventi chiodi per pneumatico), dato che un buon paio di calzature evita le brutte scivolate (senza contare che se saremo costretti a qualche manovra di emergenza avremo più probabilità di uscirne)?

 

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Foto ricordo per l'equipaggio. Da sinistra Carlo Massagrande, Vanni Belli, Alfredo Marin e il diretùr.

 

Fuori fa ancora buio e penso a te e alla tua gemella, reduci dal “Pony Express Raid” con le lamiere ancora calde del sole texano, e ora “agghindate” per la notte polare.

Ci ha pensato il mio amico Mais ad aggiungere quel tocco artistico che vi ha personalizzate. Queste cose le sa far bene e il risultato non ci ha mai traditi.

L'incertezza fra “Notte polare” o “Sole di Mezzanotte” come denominazione del Raid ha tuttavia creato un po' di confusione. Così sui vostri “kilt” (vi immagino come scozzesine con i colori del clan di Gente Motori) si legge: “Dal Pony Express Raid al Raid della Notte Polare”, mentre la targa che lasceremo a Watson Lake dice “Raid del Sole di Mezzanotte”.

Piccole confusioni, ma la sostanza è una sola: ci ritroviamo tutti qui, noi giornalisti e voi magnifiche berline di “mamma Lancia” per affrontare un'altra fatica.

Andremo da Vancouver ad Anchorage, via Fairbanks, e percorreremo qualche cosa come 4500-5000 chilometri. E non in condizioni normali: magari fossimo in estate, quando, mi dicono, l'unico problema sono le zanzare!

Ora siamo in pieno inverno, con temperatura rigida, con un sacco di pericoli in agguato. Inoltre in caso di guai dovremo arrangiarci da soli.

Il vostro viaggio dall'Italia è stato rapidissimo: in bisarca da Torino a Francoforte, in aereo da Francoforte a Seattle, sulla costa ovest degli Stati Uniti e poi ancora da Seattle a Vancouver, qui in Canada.

Altrettanto rapido il nostro viaggio Milano-Montreal-Vancouver: forse troppo rapido, visto che ora mi ritrovo sveglio, in piena notte, incapace di prender sonno. Per fortuna il pensiero che presto vi rivedrò rende dolce la mia veglia.

 

Sono le nove del mattino e il sole sale lentamente all'orizzonte di questa città sull'Oceano Pacifico, circondata da magnifiche montagne, moderna e razionale come poche altre.

Il taxi ci aspetta all'ingresso dell'albergo: è la solita grossa berlina americana che ci accoglie tutti e quattro. Non parliamo durante il breve viaggio che ci sta portando da voi. Siamo tutti un po' ansiosi.

Pochi minuti. Vi vediamo da lontano. Vi stanno lucidando per la grande avventura.

Mi sembrate ancora più belle con le vostre antenne radio, con i vostri fari protetti, con le robuste griglie abbattute sui cofani.

Ci avete entusiasmato durante il “Pony Express Raid”, non potrete deluderci ora. Per dieci giorni vivremo insieme, quasi da innamorati. Mi raccomando a voi, che siete un pezzettino di quell'Italia che abbiamo lasciato, così lontana.

Conto su di te, “Delta rossa”, e su di te, “Delta blu”.

Il “Raid della Notte Polare” ci sta aspettando.

 

Fine prima parte... il vostro GTC si congeda perchè è ora di cena.

A domani, con l'inizio di una nuova avventura.

 

 

Edited by PaoloGTC
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"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Sarà la nostalgia d'altri tempi; sarà che quando si parla di Delta il mio cuore è di parte, ma trovo sempre tremendamente affascinanti questi reportage, anche al netto dell'innegabile ridondanza narrativa.😍

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Seconda parte.


Cara Delta, mi rivolgo sempre a te, così graziosa nel tuo vestitino rosso sapientemente arabescato dal mio amico sardo-torinese, Vinicio Mais; con la tua piccola bandiera tricolore che campeggia sul bagagliaio, una bandiera che ci ricorda una terra tanto lontana; con le tue antenne protese verso il cielo, che sembrano captare sentimenti, paure, affetti, momenti d'amore e di irritazione.
Ma è come se parlassi alla tua gemellina dal vestitino blu. Lei mi sente, lo so: siete gemelle e sui legami affettivi tra fratelli gemelli esistono interi trattati di scienza.
Non voglio scomodare il monaco austriaco Gregor Mendel, che dei fenomeni ereditari, dei caratteri dominanti e di quelli recessivi tanto scrisse agli inizi del 1900, ma sono certo che quanto Mendel, e insieme a lui tutti gli altri ricercatori hanno scritto, è esatto.
Quindi, se è vero che i gemelli soffrono, amano, gioiscono assieme, seppur separati da chilometri e chilometri, perché mai la tua gemellina blu non mi deve amare anch'essa, non deve gioire con me, soffrire con me, nel momento stesso in cui noi ci ameremo, gioiremo, soffriremo?
Io mi sono innamorato di te, e tu di me; è inutile nasconderlo.
La mia non è presunzione da maschio italiano; me lo hai rivelato tu stessa in occasione del lungo viaggio che abbiamo compiuto insieme l'estate scorsa, da New Orleans a San Francisco, quando i momenti di sofferenza hanno superato quelli di gioia.
Ma questo amore deve rimanere segreto tra me e te; questo strano amore non lo raccontiamo a nessuno. Né a Carlo Massagrande, convinto com'è di avere fra le sue braccia la tua gemellina blu, né a mia moglie.
Carlo Massagrande lo conosci: è geloso, morbosamente geloso della sua Delta blu; se la coccola, non la fa guidare a nessun altro; la chiude sempre sotto chiave; ogni occasione è buona per darle una lucidatina o almeno una spolveratina.
Non lo raccontiamo nemmeno a mia moglie, la signora Bruna, che abbiamo lasciato a casa; non sarebbe bello. Tanto più che (è inutile nasconderlo, mia cara amica, ma lo sappiamo tutti e due benissimo) tutto si risolverà in una scappatella di quattro-cinquemila chilometri nella notte polare e poi, forse, non ci vedremo più.
Quindi perché rattristarla per un'avventura destinata a finire? Stiamo attenti però a mio figlio Alfredo, che abbiamo sistemato sulla tua gemellina con Carlo Massagrande.
L'altro testimone, che viaggia proprio insieme a noi, il baffuto Vanni Belli, toscanaccio maledetto, lo faremo star zitto.
Poi, diviso com'è fra i suoi apparecchi Canon, fotografici e televisivi, e la paura (questo è un altro segreto che conosciamo solo noi due) di un viaggio verso l'incognito, non farà caso a noi due.

Non hai cambiato granché dall'ultima volta che ti ho lasciata. Qualche scritta in più, le reti parasassi che proteggono fanaleria e parabrezza, e tante antenne, piccole e grandi. Le abbiamo sistemate un po' dappertutto; vi sono quelle per le comunicazioni fra auto e auto, quelle delle autoradio e poi quei piccoli sensori (ti fanno sembrare una marziana) all'altezza dei poggiatesta e sotto il cruscotto, per registrare le temperature esterne.
Accoglienza più calda non mi potevi riservare. Mi siedo, giro la chiave, avvio il motore ed ecco, dopo pochi secondi, che sento un teporino correre lungo la schiena. Vanni Belli invidia il mio sedile riscaldato perché qui fa freddo: due gradi sotto zero.
Non è molto, ma è un'avvisaglia di quello che troveremo man mano che saliremo verso il Grande Nord. I ragazzi che ti hanno lucidata sistemano nel bagagliaio una parte del materiale di scorta che abbiamo portato dall'Italia.
Qualche prodotto della Sipal Arexons; la scatola magica fornitaci dalla Wiz (ci potrà servire se avremo necessità di ricaricare la batteria, di gonfiare una gomma e così via); la corda per il traino; le catene per la neve; qualche attrezzo.
La Lancia ci aveva mandato anche batterie di scorta, motorino di avviamento e altre diavolerie. Ma, tu lo sai, con un po' di “imperio” e contro la volontà di Carlo Massagrande, ho deciso di lasciare tutto questo a Vancouver. L'ho fatto perché quella roba poteva significare sfiducia nei tuoi confronti e temevo che ciò ti inducesse a tradirmi.

Andiamo. La giornata è stupenda e Vancouver più bella di così non ci poteva apparire. È una città giovane, fondata nel 1866 da un migliaio di proprietari di negozi e di saloons ai quali era affidata la sopravvivenza e lo svago di centinaia di migliaia di boscaioli e minatori che lavoravano all'interno. È la terza città del Canada, è il porto più importante di questo immenso Paese, un porto sempre libero dai ghiacci e dotato  di un'invidiabile protezione naturale; ma è anche la capitale nazionale del divorzio, dell'alcolismo, dei suicidi e della droga.
Le nevicate sono occasionali e la neve sulle strade dura poco; si trasforma subito in fanghiglia. Si può quindi parlare di clima temperato, ciò che significa poter giocare a golf tutto l'anno, andare in barca, cacciare e pescare in qualsiasi momento.
Ma forse è proprio quella certa depressione psichica causata dalle continue piogge che contribuisce al gran numero di divorzi e di suicidi.
Cerchiamo di esaurire rapidamente il servizio fotografico entro la giornata, dato che tu, cara Delta, lo sai, domattina dovremo partire e come al solito sarà una levataccia.
Le statistiche dicono che un vancouverano su dieci è padrone di un'imbarcazione, e la sua barca è spesso uno yatch di dimensioni notevoli: ne sono una prova i porticcioli dove ci fermiamo a scattare le foto.
Sulle banchine svolazzano anatre e oche; queste ultime anche qui le chiamano “goose”. Purtroppo, come abbiamo detto, Vancouver ha anche un primato molto triste: quello di ospitare la più grande “Skid Row” del Canada: un autentico campionario di drogati e alcolizzati. Per anni questi sventurati avevano vissuto a Gastown, qualche cosa di simile alla Bowery di New York. Oggi la zona è stata “bonificata”; vi sono magnifiche boutiques, negozi d'antiquariato, ristoranti (fra i quali uno dei più in voga si chiama “Spaghetti House”). I vecchi abitanti si sono dispersi, ora, alla periferia, in altri quartieri depressi.
Si è fatto sera e tu Delta rossa, con la gemellina Delta blu, riposerai nel garage del nostro albergo. È l'ultima occasione per voi di stare al caldo. Domattina si parte e avrà inizio la nostra avventura. Neve e gelo ci attendono.

È buio quando ci alziamo. Le ore di luce non sono moltissime, ma sufficienti per guidare con una certa tranquillità. Ci siamo proposti di giungere in due tappe a Fort St.John: 837 chilometri la prima tappa, da Vancouver a Prince George; 501 chilometri la seconda, da Prince George a Fort St.John.
La strada è asfaltata, senza particolari problemi. È la Trans-Canada Highway numero 1, che diventa Highway numero 97 a Clinton, dopo circa 33 chilometri; Hart Highway dopo Prince George, e infine Alaska Highway dopo Dawson Creek, a circa 1200 chilometri da Vancouver.
Tutto procede nel migliore dei modi. La prima tappa la percorriamo in undici ore e cinque minuti, di cui nove ore e cinquantaquattro minuti di guida effettiva. Le soste vengono effettuate soltanto per i rifornimenti. Da fotografare vi è poco.

 

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Prince George - Il pupazzo di legno simbolo della città.


Poco anche nella seconda tappa, nella quale tu e la tua gemellina riuscite a percorrere i 501 chilometri a ben 93,065 chilometri all'ora di media. Siamo stati al volante, in questa seconda tappa, sette ore e cinquantacinque minuti, di cui cinque ore e ventitré minuti di guida effettiva.
Forse avresti voluto fare ancor più strada ma ti ho un po' “frenata” per un motivo semplicissimo: volevo riuscire a rintracciare qualche tribù Kwakiutl, indiani che vivono nella regione che stiamo attraversando, la Columbia Britannica.

Ma le cose sono cambiate anche per i Kwakiutl. In passato il loro principale capo di abbigliamento era una coperta fatta di pelli, di lana di capre montane, di pelo di cane, di piume, oppure di un insieme di tutto questo. Erano artisti eccelsi e la loro arte la si ritrova nei pali totemici, gli stessi che Vanni Belli ha fotografato a Vancouver e che corredavano la prima puntata di questa nostra avventura.
Oggi i Kwatiutl vestono come gli altri canadesi. Si dice siano cinquantamila, ma nel 1934 erano ridotti a poco più di ventimila, falciati dalla tubercolosi e dal vaiolo. I Kwakiutl che incontriamo sono reduci dalla caccia. Si servono di trappole la cui tecnica di costruzione si perde nella notte dei secoli. Le loro prede sono i numerosi animali della foresta: martore, cervi, alci, lupi, orsi.

 

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Dawson Creek


Quelli che vediamo si trascinano dietro un alce già scuoiato e alcune martore. Mangeranno la carne e conceranno pelli e pellicce. Non vogliono farsi fotografare e si dileguano nella foresta di abeti rossi e cedri giganteschi che copre queste montagne.
Nel fondo valle corre la nostra strada. La temperatura in questa seconda tappa è scesa decisamente: la media delle rilevazioni ci dice che è stata attorno ai dieci gradi sotto zero. A Fort St.John, dove pernottiamo, siamo già a meno 18.

 

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Pine Pass


Sinora però il tuo “cuore”, cara Delta rossa, e quello della tua gemellina, hanno funzionato in modo perfetto. È il primo collaudo per basamento-testa e basamento-albero a gomiti. Infatti, a causa della maggiore escursione di temperatura tra le condizioni di regimazione e quelle di motore a freddo, si hanno più ampie differenze tra i valori di dilatazione termica.
Per far fronte a questo, i tecnici che vi hanno preparato hanno tenuto conto di queste più ampie dilatazioni (importanti per materiali in lega leggera, meno sentite su materiali ferrosi come la ghisa) prevedendo che i vari accoppiamenti tra basamento e le altre parti meccaniche fossero regolati su delle tolleranze più ampie.
Infatti, se non se ne fosse tenuto conto, avremmo potuto incorrere in attriti meccanici superiori, oppure in inconvenienti di vario genere, tra i quali, ad esempio, difficoltà di tenuta delle guarnizioni e usure anomale.

Ma i tecnici torinesi avevano pensato anche al lubrificante, che per voi Delta, in queste condizioni, è stato fondamentale.
L'olio è stato sostituito da uno più fluido, dato che quello normale avrebbe potuto diventare troppo denso a temperature molto basse, producendo di conseguenza difficoltà di avviamento o impedendo la formazione di quello strato-limite oleoso che impedisce l'usura delle parti meccaniche a contatto.
Ma, d'altra parte, c'era il rischio che l'olio più fluido in un motore eccessivamente sollecitato non garantisse il dovuto effetto lubrificante; le temperature rigide si sono unite a condizioni ambientali avverse (ghiaccio e neve) che hanno perciò impedito l'utilizzo spinto della vettura.
Avevamo qualche perplessità anche sulle gomme chiodate che, impiegate sull'asfalto, avrebbero potuto originare qualche guaio.

 

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Wonowon


Invece fino a Fort St.John abbiamo camminato senza problemi; e anche tu, mia cara Lancia Delta, a quanto mi è stato dato di capire, non ne hai risentito. Anzi, non te ne sei accorta affatto, a parte un fruscio diverso oltre i cento e un rumore di macina da mulino a basse velocità.

È il momento di partire per la terza tappa. Guardiamo il termometro a scala Fahrenheit che campeggia davanti al motel e facciamo la conversione in gradi centigradi: sono circa venti sotto zero.
Fa buio e a stento riusciamo a vedere te e la tua gemellina. La notte ha portato una nevicata abbondante e il mattino dopo vi ritroviamo lì, con altre automobili, sommerse, mascherate dalla neve. Vi individuiamo a fatica e vi avviciniamo con ansia. Si aprirà la portiera? Si avvierà il motore? Riusciremo a ripercorrere la strada in salita dietro al motel dove vi abbiamo parcheggiate per riprendere la Alaska Highway?
La chiave gira, la porta si apre.
“Scusami, cara Delta, ma un altro modo per liberarti dalla neve non lo conosco”, e richiudo la porta con una certa violenza. La neve cade: è talmente asciutta! E chi ti rivedo: proprio la mia Delta. Si, sei proprio tu, ma riuscirai a farmi sentire il tuo motore?
Giro la chiavetta: che freddo fa qui fuori e tu ci hai passato dodici ore... Un tentativo, un secondo tentativo e il tuo motorino parte. È accelerato, ma è un piacere sentirlo girare tanto sicuro di sé. Ma perché avevo dubitato?
La tua gemella invece ha qualche difficoltà.
È entrata acqua, che si è ghiacciata, nel motorino di avviamento; è stato a Vancouver, quando le hanno lavato il motore. Ma basta un piccolo aiuto e parte anche lei. Attacco il riscaldamento, il ventilatore, lo sbrinatore posteriore; scendo, chiudo la portiera e vado a prendermi un caffè, e anche a cambiarmi, a indossare cioè la tuta termica della Benning.
Avevo creduto di poterne fare a meno e di arrivare alla fine con la mia bella camicia, il mio bel pullover, la mia bella cravatta. Pia illusione.... Infilo la tuta termica, bevo il caffè e ritorno da te. I vetri sono puliti, la temperatura interna è perfetta.
Anche Vanni Belli, sempre preoccupato per il suo materiale fotografico, è sorpreso dall'efficienza del riscaldamento. Aveva sistemato tutto nel “frigitore” della Diavia (frigo o riscaldatore a seconda delle necessità), ma soltanto per una misura precauzionale. Puntiamo verso la strada. Non è facile trovare un varco nel muro di neve accumulatosi durante la notte, ma ce la facciamo.

 

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Jake's Corner

 

 

Terza tappa sino a Muncho Lake, quarta sino a Teslin, quinta sino a Destruction Bay. Siamo sempre in Canada e la strada corre nel fondo valle delle Rocky e delle Mackenzie Mountains.
Mie care amiche, sono state le tre tappe più dure, quelle che hanno messo a dura prova le vostre possibilità e quelle dei vostri piloti. Di Vanni Belli e di mio figlio Alfredo meglio non parlarne: penso che soltanto una buona dose di incoscienza li abbia convinti a proseguire. Che cosa abbiamo incontrato?
Quello che ci si può aspettare da un “Raid della Notte Polare”: tanta neve, tanto freddo, tanto vento, tanto ghiaccio. Non era facile marciare in queste condizioni. Quando quassù nevica, lo fa sul serio. Non ci si vede a un metro e la neve è minuta, fitta, asciutta, si attacca e persiste. Non c'è anima viva in giro. Soltanto qualche branco di lupi, con il capo in testa che apre la pista nella neve.
Poi qualche grosso camion, di quelli che collegano il Sud al Nord o viceversa; se lo incrociamo, ci costringe a fermarci: la neve che solleva rende nulla la visibilità, già precaria, per alcuni minuti.
Se siamo noi a raggiungerlo, per superarlo dobbiamo attendere un dosso che rallenti la marcia del bestione, oppure affidarci al buon cuore dell'autista che si fermi per darci strada.
La slitta di protezione che abbiamo al di sotto del pianale ci complica in un certo senso le cose. Si è riempita di neve ed è diventata una vera e propria slitta, trasformando la mia cara Delta in un qualcosa che con l'auto non ha più nulla a che fare.
Ad aumentare questo rischio vi sono le placche di ghiaccio nascoste dalla neve fresca; vi si arriva sopra in pieno e... appeso alla maniglia, Vanni Belli ha assistito atterrito e impotente ai miei testacoda.
Tentiamo di montare le catene, ma l'impresa, a venti gradi sotto lo zero e in piena nevicata, è impossibile.
Continuiamo con le gomme Pirelli che in queste condizioni si rivelano stupende. E poi fermarsi costituirebbe un ulteriore pericolo: può arrivare un camion e investirci, oppure può darsi che la tanta neve non ci faccia più ripartire. Quindi, sempre avanti! Con sofferenza, con preoccupazione, con dolore, perché sappiamo, care vetture, che vi chiediamo molto di più di quello che vi aspettate. Ma siete tutte e due fantastiche con la vostra tenuta, il vostro calore, con la vostra maneggevolezza e sicurezza.

 

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Whitehorse


Ce la faremo senz'altro ad arrivare a Fairbanks e poi ad Anchorage. Del resto me lo avete promesso, non è vero?
Vi ringrazio e vi abbraccio!

 

Fine seconda parte

 

A seguire, una carrellata di immagini, sempre troppe nei reportage di Marin per potermi permettere di inserirle tutte nel testo (oltre a mostrare spesso località che nel racconto non vengono citate, cosa che mi impedisce di mostrarvele abbinate al "momento" che state leggendo... insomma, ci va un po' di fantasia!)

 

 

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Whitehorse - La nave "Klondike" trasformata in museo galleggiante

 

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Whitehorse - Il 135° meridiano

 

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Whitehorse - Un paio dei cosiddetti "Log skyscraper", nati nel 1930

 

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Lower Pass

 

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Watson Lake

 

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Upper Liard, una zona in cui è difficile incontrare qualcuno. Densità 1 abitante ogni 21 chilometri quadrati.

 

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"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Terza ed ultima parte

 

Mie care amiche, siamo così giunti all'ultimo atto della nostra avventura artica. Affrontando la ghiacciata e innevata Alaska Highway ripercorreremo idealmente quella strada dell'oro che vide, sul finire dell'Ottocento, migliaia di avventurieri lanciati verso un sogno di ricchezza e benessere. Tu Lancia rossa e tu Lancia blu siete ancor giovani; siete nate il 4 settembre del 1979 e quindi avete tutto il diritto di non conoscere quei grandi scrittori che nutrono con le loro storie la fantasia di tutti i ragazzi del mondo.

Il più famoso di questi fu Jack London che per me, veneto e campagnolo sognatore, ha sempre rappresentato l'evasione e l'avventura. Mi ricordo (ah, quanto mi fate riandare negli anni!) quei giorni meravigliosi in cui con mio padre, grande cacciatore, grande sciatore, amante della montagna, dei fiori, degli animali, andavo lassù, a milleduecento metri d'altezza, sulla piana del Cansiglio.

Lui inseguiva il gallo cedrone nella foresta, che conosceva come le sue tasche; io mi fermavo ai margini, nei pressi di una voragine carsica che i vecchi del luogo dicono collegata con la pianura, addirittura col fiume Livenza. Socchiudevo gli occhi e nelle sagome lontane di mio padre e dei suoi compagni di caccia io vedevo indiani e cercatori d'oro del Klondike; li immaginavo spingere slitte cariche di viveri e trainate da cani tutti simili a “Zanna Bianca”.

Tale era il fascino di quei romanzi che quasi pretendevo dai mie compagni di giochi che sognassero anch'essi quello che io sognavo ad occhi aperti.

 

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Destruction Bay

 

Oggi, a tanti anni di distanza, nel vostro confortevole abitacolo, i sogni di un tempo stanno diventando realtà. Insieme stiamo infatti attraversando i luoghi che ispirarono a Jack London i suoi romanzi più belli: “Il richiamo della foresta”, “Zanna Bianca”, “Silenzio bianco”, e quello che io considero il più affascinante racconto di questo grande scrittore. “Come Argo dei tempi antichi”.

“L'oro c'è”, scrive Jack London nella sua storia, “dove si trova, figlio, e lo so ben io che lo scavavo prima che tu nascessi, dai tempi del 1849. Che cos'era il Bonanza Creek se non un pascolo d'alci? Nessun minatore lo aveva degnato di uno sguardo, eppure da una singola palata le levaron via 500 dollari e in tutto ne uscirono cinquanta milioni di dollari. E l'Eldorado? La stessa cosa.”

E' il vecchio John Tarwater che parla e questo suo ottimismo, questa sua sicurezza, certezza, si ritrovano oggi in tutti gli abitanti della regione, cercatori d'oro per tradizione, figli dei figli di coloro che diedero il via alla grande corsa all'oro (e spesso alla morte).

 

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George Washington Carmack insieme a due indiani, Dawson Charlie e Skookum Jim, in un lontano giorno di agosto del 1896 stavano setacciando la ghiaia del Bonanza Creek; qualcosa brillò sotto i loro occhi. Erano pagliuzze e pepite d'oro. La notizia giunse nel Far West dove si erano esauriti i giacimenti californiani; i miners si lanciarono lungo la catena delle Montagne Rocciose, a nord. Fu una marcia di decenni che costò migliaia e migliaia di vite umane. Ma il miraggio dell'oro era troppo forte, e ve ne era tanto alla confluenza del fiume Yukon con il fiume Klondike.

Lì sorse la città di Dawson, che ben presto si popolò di trentamila persone, fra cercatori, speculatori e giocatori d'azzardo.

La vita allora era dura, ma lo è altrettanto oggi. Mi dicono che solo d'estate queste regioni sono meta di turisti, che oltre a pescare o ad andare a caccia si improvvisano cercatori d'oro. D'estate tutto è facile, tutto è bello. Ma il vero Yukon, quello di Jack London, lo stiamo conoscendo noi, mie care Delta, in queste giornate di freddo, di neve, di gelo.

Non c'è un'anima in giro. Soltanto attorno ai paesini vi è vita, o ai margini della strada: qualche vecchio, cocciuto cercatore d'oro, e qualche indiano; barbe da frontiera, un fucile a tracolla, le racchette per camminare sulla neve con i mocassini infilati dentro. Ci concediamo una breve sosta.

“Mi chiamo Bob, Bob e basta”, mi dice uno di questi individui che fermiamo così, tanto per fare due chiacchiere. “Cerco l'oro da trent'anni. Ecco, questa è l'ultima pepita. Pesa dieci once e vale cinquemila dollari. Ma è sempre difficile trovarle. Oggi sui miei fiumi ci sono le multinazionali; hanno i bulldozer che cercano, rovesciano, rompono, disperdono.”

Arriva un ragazzino con il berretto alla Davy Crockett; corre velocissimo con le racchette ai piedi.

“E' mio nipote.” Ha con sé una gavetta. Il vecchio Bob toglie il coperchio: maiale e fagioli, un piatto antico, il piatto solito di queste regioni. Ce ne offre con semplicità, con amicizia. Ringraziamo e ripartiamo. Il viaggio è ancora lungo e le incognite moltissime.

Superiamo la cittadina di Whitehorse, attraversata dal fiume Yukon; sulle sue rive riposa tra i ghiacci il “Klondike”, un battello a ruota che d'estate porta lungo il fiume centinaia di turisti.

I sensori che Carlo Massagrande ha piazzato all'esterno delle carrozzerie ci dicono che viaggiamo a sedici gradi sotto zero, ma i motori non sembrano risentirne affatto.

 

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Merito anche della regolazione del termostato, che è stato tarato ad una temperatura di circa tre gradi centigradi superiore a quella normale (credo attorno ai 92). Il maggior caldo serve a compensare il notevole “scambio termico” con l'atmosfera circostante e cioè la maggiore perdita di energia termica che il motore cede all'aria fredda che lo circonda.

I tecnici, a questo punto, potrebbero sostenere che ciò si riflette in una perdita di prestazioni, ma noi non abbiamo il tempo né di pensare a ciò né di constatarlo. Ci basta stare in strada e procedere con sicurezza, e l'accoppiata motore Lancia-pneumatici Pirelli è davvero favolosa.

 

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Un notevole aiuto ci viene, non dobbiamo dimenticarlo mie care amiche, anche dall'impianto elettrico che è stato potenziato, sia per facilitare la partenza, sia per far fronte al prevedibile maggior uso dei vari servizi, come riscaldamento, illuminazione, lunotto termico, tergifari, sedile di guida riscaldato e così via.

La strada è sempre infida; ci avevano avvertito alla partenza, ve lo ricordate care amiche? “Fate attenzione”, ci dissero, “le strade canadesi sono più brutte di quelle statunitensi dell'Alaska.”

Nulla di più vero. Curve, controcurve, saliscendi a mezza costa con lo strapiombo, che se guardi giù ti viene la pelle d'oca, e non per il freddo...

E mai un'anima viva in giro. Siamo soli. Noi quattro e voi due, care Delta. Sia io, sia Carlo Massagrande vi guidiamo con la dolcezza imposta dalle difficoltà della strada e dall'amore che ormai nutriamo per voi. Non facciamo molto uso del cambio, che del resto si rivela sempre perfetto, grazie anche all'olio meno viscoso, che facilita le manovre a freddo.

Noto anzi che a temperatura di regime, l'olio più fluido migliora addirittura il rendimento della trasmissione.

Ci stiamo ormai avvicinando alla frontiera con l'Alaska. L'ambiente si apre; il fondo valle diventa più ampio, incontriamo qualche villaggio in più. La stessa Alaska Highway sembra allargarsi, diventare più dritta, più pulita e meno insidiosa. Andiamo un po' più forte: me lo consenti, cara amica? La tua sorellina, del resto, non ha problemi. La vedi come ci segue sicura?

 

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Ma spingendo il motore mi accorgo che qualcosa non va. Mi sembra di saltellare, non sei più attaccata al suolo, cosa è successo?

Mi fermo e chiedo aiuto a Massagrande. Guardiamo sotto. Che freddo!! Ci vorrebbe un goccio di cognac o di whisky, ma tu sai che su queste cose sono un cerbero. Non si beve assolutamente!

L'alcool è riservato al gran finale, quando festeggeremo, me lo auguro, la felice conclusione della nostra impresa. Ed ecco il responso: sugli ammortizzatori deve essersi accumulata neve che si è trasformata in ghiaccio e l'effetto ammortizzante si è ridotto di molto.

È insomma lo stesso fenomeno che avevamo notato a Vancouver durante le prime centinaia di chilometri, quando, a freddo, gli ammortizzatori risultavano troppo rigidi, fin quasi ad annullare l'effetto delle molle.

Ma allora tutto passava dopo 25-30 chilometri; in queste condizioni invece, l'inconveniente persiste. D'ora innanzi la nostra guida dovrà essere ancor più attenta.

Le operazioni di frontiera non ci impegnano molto. I rangers statunitensi ci guardano con meraviglia: “Dagli italiani”, dicono, “c'è da aspettarsi di tutto.”

E' domenica e abbiamo messo le ruote sul suolo dell'Alaska.

 

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Beaver Creek

 

Tutte e due, mie care Delta, avete fame. L'occhietto rosso non si è ancora acceso ma ormai è questione di pochi chilometri. Cerchiamo di limitare la velocità, di guidare mantenendo le marce alte, di non accelerare. I distributori sono tutti chiusi, cominciamo a preoccuparci.

Ma la buona sorte ci aiuta ancora una volta. In un piccolo distributore un ragazzino infreddolito ci fa il pieno: siamo salvi. Arriviamo così tranquillamente a Delta Junction. Riusciamo appena a mangiare qualcosa, poi la stanchezza ci stronca. E con la stanchezza inizia a serpeggiare fra noi anche l'insofferenza. Tu, mia cara Delta, non puoi che ascoltare silenziosa le nostre diatribe.

Vanni Belli sostiene che dobbiamo fermarci, che siamo dei pazzi a fare delle galoppate di questo tipo, che non lo vedremo più nei nostri raid.

Carlo è più conciliante. Mio figlio sta zitto; data la situazione, ritiene più prudente non intervenire.

 

Come andrà a finire? Lo saprete dopo la pubblicità :D (insomma, un altro mucchietto di foto...)

 

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Le temperature registrate lungo il percorso

 

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North Pole, nei pressi di Fairbanks

 

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"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Wasilla (Susitna Valley)

 

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Willow (Alaska Highway) - E' tempo di alzare griglie di protezione dei parabrezza...

 

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Willow (Alaska Highway)

 

 

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"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Al “capo” spetta la decisione: proseguire!

Faremo un po' di fatica in più, soprattutto il sottoscritto che non ha mai abbandonato il volante (come del resto Massagrande) ma almeno avremo tutta la giornata di domani a Fairbanks per lavorare.

Si riparte. Vanni, al mio fianco, non parla. Si è allacciato le cinture e finge di dormire, ma è chiarissimo che sta recriminando dentro di sé contro il mio dispotismo.

La strada è pulita. Fa freddo, sempre più freddo, come ci dicono le piccole antenne piazzate all'esterno, ma si procede bene.

Aumenta il traffico, non siamo più soli. La notte è fonda, vi è anche nebbia. Vediamo la grande base militare aerea di Eielson, a una trentina di chilometri da Fairbanks: è tutta illuminata a giorno, ma resta avvolta nella nebbia.

La strada diventa a due, a tre, a quattro corsie. Ecco le prime insegne luminose. È Fairbanks.

Andiamo a dormire. Domani dovremo lavorare, molto.

Ci alziamo presto. Vanni ha dormito bene e il riposo gli ha restituito serenità. Carlo è sempre meravigliosamente pronto. Alfredo è entusiasta, su di giri. Usciamo dall'albergo: una mazzata.

Aprire la porta della hall che dà sulla strada è un'operazione letteralmente agghiacciante: dall'esterno entra con violenza una folata di nebbia gelata. Guardiamo il termometro che campeggia su un edificio di fronte al nostro albero e facciamo i nostri conti. Sono trentasei gradi sotto zero.

Usciamo... il freddo agisce come un rasoio sulla carne viva delle narici; l'aria entra nei polmoni e li secca, ci prende l'asma.

E le nostre amiche? Io mi precipito da te, Delta rossa, e Carlo dalla tua gemellina blu. Siete come due cubi di ghiaccio, ma le portiere si aprono. I rari passanti ci guardano increduli. Cosa pretendiamo da due piccole automobili? Giriamo la chiave di accensione: una volta, due, tre, quattro... il motore parte in tutte e due. Una nube di vapore proveniente dallo scarico ci avvolge.

A 7753 miglia di distanza, circa 13000 chilometri, vi è Roma: laggiù chi crederà mai a questa vostra prodezza?

Cerchiamo di togliervi di dosso quanto più ghiaccio possibile, soprattutto dai vetri, e poi ci muoviamo per le fotografie. Tutte le parti in gomma si sono irrigidite; sembra di avere a che fare con la bachelite.

Il volante è più duro, la pedaliera presenta una certa resistenza, il motore traballa al minimo, lo sterzo è più sensibile alle asperità stradali, fatte soprattutto di ghiaccio. Vi è qualche vibrazione innescata dai gruppi meccanici sulla scocca, ma come al solito il raggiungimento della temperatura di regime elimina gradualmente ogni inconveniente, e così ritornate ben presto le mie Delta di prima, di sempre.

Vanni Belli si esibisce nel suo lavoro e per completarlo si spingiamo ancora più a nord, dove passa la “pipeline”.

Ben pochi conoscevano Prudhoe Bay prima del 1968, quando vicino a questa località venne trovato il petrolio. Oggi questa zona dell'Oceano Artico è nota a tutti perché è di lì che parte una delle più ardite opere di ingegneria di questi ultimi anni: un oleodotto, del diametro di 120 centimetri, lungo ben 1300 chilometri, che porta il greggio dall'Oceano Artico a Valdez, sull'Oceano Pacifico.

 

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Il diretùr si adopera per far incontrare la "pipeline" alle Delta...

 

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... e arriva la polizia in elicottero. Facciamoci sempre riconoscere, eh?

 

Come un enorme serpente, segue il Sagavanirktok River e l'Atigum Valley sino a scavalcare la Brook Mountain Range, attraversa l'Atigum Pass (a quota 1600 metri), oltrepassa il fiume Yukon, affronta l'Isabel Pass lasciando a una decina di chilometri Fairbanks (quota 1200) e arriva infine, attraverso un lungo canyon, a Valdez.

Per lunghi tratti è interrato, per altri corre sollevato da terra in quanto il calore del greggio potrebbe far franare il terreno ghiacciato.

Ma a Valdez il viaggio dell'oro nero non è finito: dall'oleodotto passa nelle petroliere che dopo ottomila chilometri, attraverso il canale di Panama e il Golfo del Messico, lo scaricheranno negli Stati Uniti, dove verrà raffinato.

Un viaggio lunghissimo che rende costoso questo greggio (due dollari in più al barile)e che imporrà una variazione di tragitto: si parla di un oleodotto che dovrebbe raggiungere Port Angeles nello stato di Washington e di quei Clearbook nel cuore degli USA.

Un viaggio di altri 2300 chilometri che però eviterebbe il giro attraverso il canale di Panama. La “pipeline” di oggi è quella che abbiamo fotografato e che avete visto nella puntata precedente. Sotto questo tubo ciclopico, le piccole Delta sono un altro esempio di moderna ingegneria.

Siamo così giunti all'ultimo balzo: da Fairbanks a Anchorage.

 

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Nenana (McKinley Park) - Sosta obbligata per posare sullo sfondo di un doppio arcobaleno

 

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Talkeetna, il punto di partenza delle spedizioni sul McKinley

 

Freddo, tanto ghiaccio sulla strada, moltissimo vento, ma un cielo terso come ben difficilmente si incontra d'inverno in Alaska, e mentre viaggiamo con lo sguardo teso a destra, verso l'alto, dove ci aspettiamo da un momento all'altro di veder spuntare il Mount McKinley, la più alta cima dell'America settentrionale, sono improvvisamente costretto ad attaccarmi ai freni, ai tuoi freni, mia cara Delta, come mai avevo fatto prima.

Per fortuna Carlo Massagrande non mi sta alle costole!

La risposta è stata immediata perché quel fenomeno di impuntamento e indurimento dei cilindretti-freni, dovuto a un accumulo di fango e di poltiglia gelata, era già stato eliminato con due o tre colpi di pedale che avevano prodotto calore e sciolto la poltiglia che li bloccava... e così abbiamo evitato il peggio.

 

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Il McKinley

 

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McKinley Park (sopra e sotto)

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Sulla destra è comparso improvvisamente un personaggio da favola. Tutto solo, cammina spedito ai bordi della strada: un piccolo sacco sulla spalla, occhiali neri che difendono gli occhi dal sole e dal bianco della neve, giacca a vento e una barba, una splendida barba tutta a candelotti di ghiaccio.

 

 

 

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“Mi chiamo Gordon Murie”, mi dice. “Dove vado? Mi sto allenando. Quest'anno voglio partecipare all'Iditarod.”
“All'Iditarod? Che cos'è?”, chiedo.
Mi guarda con occhi di rara espressività, due occhi in cui ho visto racchiuso un mondo meravigliosamente puro, fatto di coraggio e di avventura.
“E' una corsa per cani lunga 1049 miglia. Ed è la più difficile: la temperatura non si scosta mai dai meno cinquanta. Non importa quanti vestiti tu indossi, quanta carne d'alce tu mangi, quanto whisky tu beva, il gelo non lascerà mai le tue membra.
Ed è in questo ambiente che quaranta uomini, con le loro slitte ed i loro cani si affrontano. I cristalli di neve tagliano le zampe dei cani, vi sono buche nel ghiaccio che fanno scomparire intere mute, quando si entra nella tundra il vento diventa il padrone assoluto.
E poi c'è il gigantesco moose che abita in queste regioni, quello che voi chiamate alce.
Ne sa qualche cosa Joe Garnie, un espertissimo eschimese che lo incontrò al Rainy Pass: era un bestione alto più di due metri e pesante sicuramente più di una tonnellata. Si avventò contro i suoi cani. Garnie levò la pistola, sparò.
Lo colpì cinque volte, i cani gli saltarono addosso, lui stesso lo attaccò con l'ascia... ma fu tutto inutile. Il moose uccise alcuni casi e riuscì ad allontanarsi.
Vi sono dei campioni che sono diventati delle autentiche leggende viventi: Earl Norris, campione del mondo della specialità; Rick Swenson, che vinse nel 1977 e nel 1979, ed arrivò secondo nel 1978; Emmitt Peters, un indiano atabasco soprannominato “The Yukon River Fox” e che è il primatista della gara.
Quattordici giorni, quattordici ore, quarantatré minuti e quarantacinque secondi per andare da Anchorage a Nome, sullo stretto di Bering.
Ecco, il nel 1981 sarò uno di questi e mi sto allenando.”

 

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Mi ha allungato la mano e me l'ha stretta in un saluto che non dimenticherò mai più. Una mano forte e sicura, forte e leggera nello stesso tempo, la mano di un uomo, un uomo vero.
E' stata una sensazione fantastica, cara Delta, che ti ho trasmesso quando ho ripreso il volante. Non abbiamo più parlato; abbiamo viaggiato nel silenzio fino ad Anchorage, quando le prime ombre della sera stavano calando.

 

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Anchorage (sopra e sotto)

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La nostra avventura in Alaska era terminata. Forse la più bella vettura condotta in porto dalla squadra di Gente Motori, perché compiuta in un mondo dove la natura è ancora natura, gli animali selvaggi sono ancora animali selvaggi, dove l'uomo è ancora e sempre uomo... e dove anche le auto come voi, amiche carissime, sanno trovare e dare ancora un po' di umanità.

 

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La targa-ricordo lasciata a Watson Lake, con il nome del Raid che avrebbe dovuto decorare anche le fiancate delle Delta, ma.... beh, lo avete letto all'inizio.

 

 

Fine :D

 

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