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Alejandro De Tomaso - "Ma fra cento anni, chi si ricorderà di me?"


PaoloGTC

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La domanda che avete letto nel titolo la troverete solo in fondo al malloppo che vi puppate quest'anno per la Befana.

Si tratta di alcune "schegge", come si dice di solito quando si pesca qui e là nell'ambito di un vasto... casotto :lol:. Più semplicemente, col passar del tempo mi son venuti in mano questi articoli, che hanno un'età che va dai 30 ai 40 anni e mostrano una piccola parte dell'uomo-De Tomaso.

Buona lettura (a chi ha voglia di sorbirsi il papiro ed in seguito vorrà porre considerazioni in merito; ricordo come sempre che il tutto va contestualizzato. Se ci sono inesattezze col senno di poi, ricordate che questo veniva scritto in quegli anni là, non è redatto oggi.)

Questa prima parte non ha un titolo, tuttavia, credo che potremmo chiamarla...

TENTATIVO (NON RIUSCITO) DI CONDURRE UN'INTERVISTA DA PARTE DEL MALCAPITATO GIORNALISTA TROVATOSI ALLE PRESE CON ALEJANDRO :lol:

(insomma, De Tomaso a ruota libera)

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(vorrei farvi notare un attimino quella tovaglia che ha al posto della cravatta... mio padre ha riso per 20 minuti)

Una quindicina di unità al giorno, tutte Pantera (delle diverse razze), e quattro Quattroporte alla settimana.

La Ghia, la Vignale, la Benelli: ecco l'impero motoristico De Tomaso, un impero a sei ruote. Lo regge lui, l'argentino di Modena che sta ritrovando gusto al primo amore, alle corse: che avrà Stewart, un giorno o l'altro, al volante. Ma che per adesso deve accontentarsi di meno.

Anche se sarà a LeMans con tre (o quattro) vetture, anche se a LeMans, nelle prove preliminari della 24 ore, la “SuperPantera” da trecento e passa all'ora ha suscitato sensazione.

Sta ritrovando gusto al primo amore anche in campo motociclistico, ha fatto provare la 350 Benelli al finlandese Saarinen sul circuito di Modena: “Ma è cascato quasi subito, non si è potuto capire”.

Ha capito, intanto, che non è ancora giunto l'attimo del rientro (per lui un esordio): “Siamo troppo impegnati, non possiamo portare la Benelli al macello. Abbiamo parecchia carne al fuoco, ci saremo quando saremo pronti. Anche con la 500. Ai piloti abbiamo pensato fra il sì e il no. Saarinen va, è un giovane che farà strada; ma da noi lavora Walter Villa, un collaudatore sicuro. E, in zona, c'è anche Cocchi.”

Usa sovente il plurale maiestatico che è rifugio di quasi tutti i poliglotti: ma senza sentirsi obbligato a osservarne in eterno le regole, anzi: quando si lascia andare a qualche confidenza, ritrova il tu dei box, degli antichi affetti, di quella dimestichezza con la gente dell'altro ieri che gli ha fatto ripescare Roberto Bussinello, adesso suo number one in assoluto.

Rincorre da sempre la novità, ha la vocazione di épater, quando presentò la Pantera GTS e qualcuno gli eccepì che poteva aspettare Ginevra, replicò che a Ginevra avrebbe avuto qualcos'altro da mettere in mostra. E fu il turno della 290, la Panterina.

Si sa che a Pesaro è in... corso di stampa la Benelli 750 a sei cilindri. Si sa che “per fine maggio abbiamo in serbo qualche altra sorpresa”.Con le automobili siamo più avanti, si capisce. Abbiamo cominciato prima.”

Lo ricordo tanti anni fa, quando preparava la sua prima creatura dentro un'officina da tre soldi: sempre acceso in volto, proteso a sbalordire, meravigliato che gli dessero così poco credito. E avviato, lo ammetto, a meritarselo, il credito.

Ha LeMans per la capa, adesso, anche se ha un programma più diffuso. Dice che toccherà a Muller (o un italiano: ma chi?) il rango di pilota ufficiale; anche se Muller non ha proprio confermato di starci.

Ma ci saranno tre clienti assistiti (o privati protetti, come dite voi), stiamo discutendo, fra pochi giorni sarà tutto chiarito, ci sono questioni di peso. No, non avrò Stewart a LeMans, lo avrò senz'altro; ma non so quando. Ci sono i calendari: e lui è impegnato in Formula Uno e nella Can-Am. Ha intenzioni precise, me l'ha detto e confermato: ma le date sono in grembo a Giove. Noi continuiamo nei nostri lavori, contiamo di poter vendere la Pantera al di sotto dei cinque milioni di lire; ma sarà una lotta. Sarebbe un grosso boom a quel prezzo, un bel giochino, nessuna macchina equivalente può farle concorrenza a quel prezzo.”

Come gli è abituale, parla di tutto e di tutti, gli sprizzano le scintille dagli occhi, le scintille della gente di casa: “Con una monoposto De Tomaso sono rimasto in testa al Gran Premio degli Stati Uniti nel 1959. Era una 1500. Poi rimasi senza freni.”

Non è vero che due anni fa ho piantato grane a Montecarlo per far vedere che c'ero; volevo soltanto che fosse rispettata la parità di diritti fra tutti i conduttori e tutti i costruttori, che non ci fossero privilegi.”

Mi sono dedicato, quando cominciai, alle vetture di formula, alle monoposto, alle junior, ho un sacco di vittorie nell'albo d'oro, dal campionato europeo della montagna (con Casoni) al titolo italiano delle due litri (con Bernabei).”

Un travolgente zibaldone entro il quale converrebbe mettere ordine, il personaggio è irrequieto e imprevedibile ma c'è, battagliero e scontroso, ferocemente denigrato e rabbiosamente esaltato: con ruote (e rotelle) in eterna agitazione per la testa.

Baciato dal successo, anche: un successo che pare aver tratto profitto dagli stessi errori commessi, dalla grinta, dalla benedetta certezza di avere avuto (e di avere) sempre ragione, i torti e le colpe sono degli altri.

È un personaggio, dicevo: ha corso in automobile, è costruttore; benché viva in Italia da quasi vent'anni, conserva la cittadinanza argentina e non ha ancora preso casa, vive in eterna alternativa alberghiera fra Torino e Modena (e Pesaro, adesso).

Ma vola a Detroit due volte la settimana, non manca a Ginevra, non manca un appuntamento, seppure riesca ad osservare gli impegni soltanto in ritardo.

È figlio di un uomo importante che fu amico di Enrico Ferri e del quale i giornali sudamericani parlano ancora. È uomo-Ford attraverso la mavelleria dell'oriundo beneventano Lido Jacoca: e il colosso lo lascia fare, affascinato dalla sua incapacità di stare fermo un attimo, di disciplinarsi comunque, dall'urgenza degli “ulteriori sviluppi” che lo condiziona, forse anche dall'idiosincrasia verso i giapponesi, motivo non ultimo dell'acquisto-Benelli.

GUARDA AL FUTURO

Non serba fotografie di nulla, non vuole documenti, afferma di guardare al futuro e solo al futuro. Lasciamolo dire, dimettiamo i propositi di porre ordine.

Verrà fuori, alla fine, la traccia, il profilo.

Credo nel futuro delle due ruote a motore e delle industrie che le producono. Non mi pare che sia una moda, né un boom della moda: nella situazione di traffico attuale, con i limiti di velocità e tutti i problemi di sicurezza, con l'inquinamento atmosferico, la motocicletta è quasi l'unico mezzo meccanico che possa permettere ancora il piacere e l'ebbrezza della guida.

È proprio questo il fattore psicologico che fa presa sui giovani.”

L'ho chiamato a processo; continua in chiave di autodifesa:

La tecnica motociclistica, oltretutto, è addirittura più avanzata di quella automobilistica. Parenti lo sono senz'altro e anche strette. Un motore raffreddato ad aria offre, fra l'altro, enormi vantaggi per le macchine di piccola cilindrata. Almeno per i prossimi 10 anni non sarà sostituito. Il motore Wankel è sì una gran bella cosa, ma il motore a combustione interna ha settantacinque anni abbondanti di esperienze: non si bruciano settantacinque anni abbondanti di esperienze in quattro e quattr'otto.

Le aziende che possiedo e dirigo sono venute così, una dopo l'altra. Arrivato in Italia alla fine del '54, quando correvano Fangio, Gonzales, Campos, Marimon, Pian, Menditeguy, quando noi argentini eravamo di moda, ho fatto dapprima la carriera di corridore con i fratelli Maserati verso i quali nutro più che un affetto. Li considero gente di famiglia.

Soprattutto Ernesto, una delle persone più corrette, oneste e serie che io abbia conosciuto.

Perché ho conservato la cittadinanza argentina e non ho mai pensato alla doppia nazionalità? L'Italia è per me una seconda patria, ma sono nato altrove. Sono anche campanilista, lo riconosco, ho una preferenza per Modena.

L'Italia è l'Italia ma casa mia è Modena.”

Mio padre fu il primo ministro democratico eletto nella repubblica argentina attraverso libere consultazioni. Libere ed autentiche. Morì molto giovane, nel '33 quando aveva trentotto anni di età. Io sono nato nel '28, avevo allora poco più di cinque anni.

Lo ricordo molto bene, però; ricordo molto bene anche Peron, allora assistente del ministro alla Guerra Generale Rodriguez, un uomo colto a tutti i livelli, di grandissimo valore, intimo amico di mio padre.

Mio padre è stato ministro dell'Agricoltura, del Commercio, del Lavoro, della Previdenza, della Cultura.

Figlio di un muratore e di una lavandaia napoletani, ma nato in Argentina, ha lavorato dapprima assieme a mio nonno, una specie di capomastro. Fino a dodici anni ha scaricato e caricato mattoni nel porto di Buenos Aires, ma aveva altre ambizioni e decise di studiare. È divenuto avvocato e poi si è laureato anche in medicina. Quando è scomparso era candidato alla presidenza.

Se non fosse morto, sarebbe stato certo presidente. Non ha lasciato nulla: o meglio, una poesia e qualche debito. Mia madre sì, era ricca. La sua famiglia, spagnola di origine, è argentina dal 1570, discende dal primo vice re spagnolo.”

Ho cominciato la carriera, se ricordo bene, a diciannove anni. La mia prima macchina è stata una Bugatti a quattro cilindri. Poi mi sono fatto le ossa sulle monoposto raffazzonate in Argentina, su un'Alfa Romeo otto cilindri con compressore, bellissima. Ho conosciuto mia moglie Isabel Haskell a Modena negli uffici della Maserati. Assieme abbiamo vinto due volte la 'Mille Chilometri' di Buenos Aires, poi la '12 Ore' di Sebring e tante altre gare.”

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De Tomaso con la moglie.

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Una monoposto di Formula Junior, categoria nella quale corse l'argentino.

Si, sono un lavoratore febbrile. Almeno lo dicono. Ma cos'è lavorare? Io mi diverto, facendo quello che faccio. C'è anche l'ambizione, si capisce, la voglia di emergere. Fondamentalmente credo che il successo sia legato all'educazione, cioè alla cultura.

Io sono stato allevato secondo un sistema molto vicino a quello inglese, una base importante. Leggo moltissimo, sono appassionato di storia, di storia dell'arte anche. Credo che in nessun paese ci possa essere una vera evoluzione se non c'è una cultura profonda.”

CREDO NELL'ITALIA E L'HO DIMOSTRATO”

Quanto alla mia attività, ritengo che l'obbiettivo dell'industriale sia manifestare coraggio nel fare nuovi investimenti. Per superare l'attuale pessimismo, anche. Credo nell'Italia e l'ho dimostrato.

Credo in quella caratteristica degli italiani che per me ha del sensazionale, l'essere capaci di arrangiarsi, il saper creare qualcosa dal nulla. Parlo un po' tutte le lingue: francese, inglese, spagnolo e portoghese. Ma preferisco l'italiano perché in Italia sono nato come costruttore.”

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Una Vallelunga del 1966.

Non abbandono mai nessun progetto. Nemmeno quello della macchina elettrica. La mia attuale situazione non mi permette però di disperdere energie verso troppe direzioni. Penso comunque che in un futuro non lontano la macchina elettrica avrà la sua parola da dire.

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Sono partito dal mondo delle corse; al mondo delle corse ci sono tutt'ora e rimango affezionato. Anche se ho avuto qualche amarezza, anche se mi è toccato soffrire il sacrificio di Piers Courage. Guidava una mia macchina, una monoposto che aveva già dato buoni risultati. Chiunque corra in automobile sa che ha dei rischi.

È come il sarto che si punge con l'ago con cui sta cucendo. Chi realizza macchine da corsa sa che il pilota molte volte può anche non tornare.

Ho sentito un dolore profondo per Piers e una grande pena per la moglie e le sue due bambine. Ma si vede che era il suo destino. Sono i rischi del mestiere.”

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La De Tomaso F1 3 litri, programma sospeso dopo la morte di Courage.

Oggi, per esempio, dovremmo rispettare tutte le prove di inquinamento atmosferico. Non raggiungeremmo potenze enormi ma avremmo motori che potrebbero ispirare le vetture di ogni giorno.”

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Una sport “cinque litri” che fa parte del mini-museo di De Tomaso. Il motore è un Ford rivisto e potenziato dall'argentino. Non ha mai corso.

Più che un'autodifesa, è un autoritratto. E chi lo conosce sa che non è facile pescarlo in vena di sincerità. “Mi piace la gente con la testa. Non è vero che non dico mai la verità, anche se le bugie ci vogliono, sono una salvaguardia. Il mio linguaggio? Ironico? Disincantato? Io sdrammatizzo. Bisogna essere capaci di prendersi in giro: perché abbiamo sempre troppa tendenza ad ingrandire, a creare atti di eroismo che tali non sono, che sono semmai un aspetto della contestazione: come la moda, una contestazione alla portata di tutti.

Sono contento? Nessuno è contento di quello che ha fatto. Voglio andare avanti.”

Occorre altro? Direi di no. Questo è l'uomo, prendiamolo a scatola chiusa. Socchiusa, sarà meglio, dopo che si è manifestato.

Ora abbiamo una letterina, scritta da Alejandro alla rivista AutoSprint per lamentarsi di.... beh leggete. :)

Da Autosprint

Con questa durissima lettera, Alejandro De Tomaso non smentisce certo quel temperamento “focoso” che ne ha fatto un personaggio di primo piano nel mondo automobilistico, né quello spirito battagliero che ha trasfuso nella sua azienda.

Rispondendo, sia pure indirettamente, alla lettera che l'Avv. Mazzi dell'Alfa Romeo ci scrisse qualche settimana fa, pubblicata e commentata da AUTOSPRINT nel n.8, il costruttore argentino lancia una sfida singolare ma non certo priva di importanza pratica: prima ancora che sulle piste, egli con la sua Pantera gruppo 4 “sfida” gli altri costruttori ad una gara di solidità con un'ostentazione di sicurezza che non può venire che dalla certezza del risultato.

Non dimentichiamo che la Ford, nel suo campo sperimentale, sottopone ai massacranti “cicli di fatica” praticamente tutte le vetture della produzione mondiale.

Quanto alle foto, si tratta di un documento molto interessante che dobbiamo alla cortesia di De Tomaso, e che pubblichiamo volentieri. Esse sono molto eloquenti, e dimostrano come effettivamente queste granturismo vengano sottoposte a prove tali da non far sorgere dubbi sulla loro robustezza.

Ma veniamo alla lettera.

Dalla rubrica “Il dito sulla piaga” - DE TOMASO SFIDA TUTTI

Caro direttore, hai perfettamente ragione quando parli dei 'pesi politici'. Che grande verità!

La CSAI ha fatto una proposta alla CSI di cambiare i pesi delle vetture GT secondo la quale il nostro Pantera, che è stato omologato a 1180 kg, dovrebbe andare a pesare 1490 kg.

E' una falsa illusione di alcuni costruttori italiani quella che, aumentando i pesi, si abbia l'assicurazione di vincere, ed in passato abbiamo già avuto la prova che l'aumento di peso richiesto dalla CSAI non è servito ai costruttori italiani per vincere!

Se gli altri fabbricanti non sono capaci di progettare delle vetture robuste e leggere, non è colpa nostra.

Io posso solo consigliare loro di comperare un Pantera, di studiarlo e imparare.

Il Pantera di serie, con i vetri elettrici, l'aria condizionata, il riscaldamento speciale e con tutti gli accessori, pesa 1270 kg, rispettando tutte le norme di sicurezza presenti e future ad eccezione dei paraurti, norme 1973, che per il Pantera verranno a pesare 7kg. Il peso totale sarà quindi di 1277 kg. Il Pantera GT4 è stato omologato usando l'unico “artificio” che noi alla De Tomaso conosciamo: la nostra esperienza.

Per correre con la formula “italiana”, dunque, noi dovremmo aggiungere 213 kg di zavorra sulla Pantera di serie.

Sai, tutta la storia dei 'pesi politici' mi fa ricordare quello che ho letto un po' di tempo fa sul tuo giornale, ossia di quella vettura che montava un certo dispositivo di sicurezza al cui peso fu data la colpa del fatto che la vettura non vinceva. Il dispositivo fu tolto, ma la vettura non vinse lo stesso.

Voglio concludere dicendoti una cosa. Come tu sai, il Pantera è stato sottoposto, in America, alla più massacrante delle prove di durabilità, su un percorso appositamente fatto dalla Ford Motor Company di Detroit, che, ti posso assicurare, è veramente terribile.

Il Pantera ha superato brillantemente la prova.

Ed ora io approfitto di questa opportunità per lanciare una sfida a qualsiasi altra vettura GT, di qualsiasi peso e cilindrata, a fare una prova di durabilità con la nostra Pantera GT4, purché la prova venga fatta su un percorso comprendente un rettilineo di 500 metri, con buche rettangolari di 35x70 e 15 cm di profondità, con tratti disseminati di grosse pietre che spuntano dal terreno per 30 cm, con salite e discese con pendenze del 15-20%, con tratti di pavè belga molto accentuato.

Vedremo alla fine chi durerà di più, così noi potremo mostrare il nostro vero “artificio.

Alejandro De Tomaso – Modena

P.S.- Come curiosità, ti mando le foto del Pantera di serie scattate dopo la prova di urto frontale a 50 km/h contro una barriera fissa.

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(scusate le foto penose, queste erano...)

Come puoi vedere, la foto laterale dimostra in modo chiaro ed evidente la perfezione con cui è stata superata la prova. Il compartimento passeggeri è intatto, il volante ha avuto uno spostamento di 28 mm, il motore non si è mosso neanche di 5 mm, il parabrezza non è stato espulso e le porte, nonostante le deformazioni, non si sono aperte durante l'urto e dopo si potevano aprire e chiudere bene. Le ruote anteriori sono rimaste in parallelo partecipando all'assorbimento dell'urto. Il cofano posteriore non si è spostato neanche di 2 mm ed è perfettamente funzionante.

Queste prove sono state fatte con una vettura che pesava 1270 kg. Ovviamente se la prova fosse stata fatta con la vettura da 1180 kg i risultati sarebbero stati ancora migliori.

I testi che avete appena letto si rifanno al periodo in cui De Tomaso e Ford camminavano assieme nel mondo delle GT. Però, come sappiamo, un bel giorno ci fu il patatrak.

Il testo qui sotto, basato su articoli pubblicati da AutoSprint, ce ne parla.

DIVORZIO ALL'AMERICANA

Imprevedibile, vulcanico, eclettico, così è stato sempre definito De Tomaso, da quando nel lontano 1954 approdò in Italia.

Prima come corridore fece parlare di sé, poi la passione per le auto lo trasformò nel 1958 in costruttore. Da allora è stato continuamente in ascesa.

Hanno fatto la storia le sue iniziative a sorpresa, anche a volte annunciate e mai realizzate. Ma è sempre stato negli ultimi anni sulla cresta dell'onda, con l'abilità propria dei Big-Manager.

A fine 1972 i colpi di scena pirotecnici, marca De Tomaso, si sono moltiplicati. Dalla bomba Guzzi alla rottura con la Ford. La grande di Detroit, di cui De Tomaso era uno dei vicepresidenti, gli compra il 20 per cento delle azioni che rimanevano all'argentino-modenese, della fabbrica d'auto che porta il suo nome e produce le Pantera e le Deauville, e lo liquida con un assegno a detta di molti vistosissimo, per altri ridottissimo.

La notizia coglie di sorpresa il mondo automobilistico e quello finanziario e ancora ci si chiede perchè, che cosa sia successo all'interno del colosso di Detroit per giungere ad una rottura così repentina.

Le ragioni possono essere tante, piccole e grandi,ma forse una è molto vera, la più vera di tutte: l'invidia, il vero male della società moderna, a livello di uomini come di gruppi, di enti, di nazioni.

Per capire le ragioni di questa “invidia” sfociata in un “licenziamento” bisogna andare un po' indietro nel tempo, quando in una riunione a Detroit di tutti i massimi dirigenti Ford, alla presenza dello stesso Henry Ford II, Alejandro De Tomaso nella sua qualità di vicepresidente chiese il “permesso” di acquistare la Benelli di Pesaro, perchè, spiegò, “l'affare è conveniente”.

Henry Ford II in persona gli diede il permesso, senza il quale De Tomaso non avrebbe potuto far nulla, perchè la sua carica in seno alla Ford era incompatibile con l'acquisto citato.

Acquistata la Benelli, una ditta con un forte passivo, De Tomaso dà nuova energia e linfa vitale all'azienda, che infatti dopo un anno da un fatturato di 3-4 miliardi passa a 10 miliardi con una previsione per il 1973 di 16-17.

L'argentino di Modena, nel frattempo, entra in concorrenza con le super-moto giapponesi e lancia sul mercato moto super frazionate di grossa cilindrata.

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L'azione si sposta ancora una volta a Detroit.

Nella solita riunione dei “big” Ford, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che, bruciando le tappe, De Tomaso aveva acquistato il pacchetto azionario della Moto Guzzi che era in mano alla SEIMM, un ramo della IMI (Istituto Mobiliare Italiano), una delle principali banche creditrici della casa di Mandello.

Bisogna precisare, a questo punto, che De Tomaso è anche presidente della Rowan, la società americana che ha la maggioranza della Benelli. La Benelli quindi ora si trova a sua volta proprietaria della Guzzi.

Sembra un giro complesso ma la realtà è una sola: le due industrie motociclistiche italiane, che nel '72 hanno avuto un fatturato totale di 22 miliardi di lire e che occupano nel complesso 1800 operai, sono di proprietà di Alejandro De Tomaso.

E ora ritorniamo alla famosa riunione dei “big” di Detroit. Voci indiscrete raccontano: nella lussuosa sala tutta di legno pregiato, con un fornitissimo bar ad esclusivo uso e consumo di Henry Ford II, tutti i maggiorenti dell'impero automobilistico fanno corona attorno al Gran Capo, il quale improvvisamente, fra un bicchiere di whisky e l'altro apostrofa De Tomaso dicendogli: “Allora siamo diventati padroni oltre che della Benelli anche della Moto Guzzi. Bravo, mi piacciono le moto.”

Tutti sorridono e annuiscono soddisfatti alle parole del Capo. Solo De Tomaso, rimane imperterrito, si alza e precisa: “La Ford non c'entra nulla nelle due operazioni Benelli e Guzzi. Le due società sono di mia proprietà.”

Per un attimo ad Henry Ford pare sia andata di traverso l'ennesima razione di whisky. Un silenzio glaciale è calato nell'immensa sala delle riunioni.

Nessuno osava fiatare. La riunione veniva aggiornata e i “big” della Ford sfollavano.

Tutti gli avvocati a disposizione sarebbero poi stati convocati per vedere come si poteva chiarire la cosa.

Ford credeva che la sua proprietà fosse dell'ordine di 80 per cento e il resto di De Tomaso, anche nelle due nuove acquisite. Ma De Tomaso appariva invece in una botte di ferro e gli avvocati di Ford non potevano fare nulla.

Non gli possiamo prendere le moto, ma gli toglieremo le auto”debbono essersi detti a Detroit. Così scattava la cosiddetta “Operation Ghia.”

Alla successiva riunione De Tomaso veniva liquidato. La De Tomaso Inc. (organizzazione di vendita negli USA) passava completamente di mano, la De Tomaso Automobili di Modena passava agli ordini di Mr.Head, già a Torino come vice di De Tomaso dopo il rilevamento in data 1 febbraio 1973, anche del 20 per cento delle azioni ancora in mano all'argentino.

Appena arrivata la Ford decideva di spostare tutta la catena Pantera a Torino, presso le carrozzerie Vignale e Ghia. Si metteva in pericolo il lavoro dei 170 dipendenti modenesi che rifiutavano di andare a lavorare a Torino.

In una conferenza stampa al suo ritorno dagli Stati Uniti, De Tomaso annunciava intanto che la Pantera avrebbe continuato ad essere venduta da lui in Europa e che aveva già in costruzione nei pressi del casello Nord dell'Autostrada del Sole a Modena, un altro stabilimento della nuova società De Tomaso Spa che in seguito avrebbe prodotto la Longchamp direttamente.

Si schierava poi contro il trasferimento dei vecchi impianti e otteneva che fino a giugno la Ford avrebbe continuato a produrre le Pantera a Modena.

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Alcune illazioni sulla futura attività di De Tomaso cominciarono a circolare in ambienti finanziari nazionali verso la fine di gennaio. Si diceva che l'argentino, nato come industriale automobilistico, non si sarebbe certamente adattato a “pensare” solo moto; qualcuno diceva che era stato “contattato” dalla General Motors e avrebbe addirittura avuto l'incarico di acquistare una fabbrica di auto nel modenese. Le illazioni continuavano.

Per esempio da parecchio tempo si diceva che la Lamborghini interessava alla GM. Si diceva che il socio svizzero di Lamborghini, che in un primo tempo si era opposto, sembrasse intenzionato ora a rinunciare all'opposizione perchè la piccola Urraco, l'utilitaria (si fa per dire) di S.Agata era in ritardo di oltre un anno per i noti problemi del motore che si rompeva troppo nei collaudi.

Altra voce circolata era quella dell'interessamento di De Tomaso per la Iso-Rivolta, ma quest'ultima azienda è entrata recentemente nel giro di un'altra società americana che produce impianti refrigeranti, la Colaire.

Sarebbe stata proprio la nuova iniezione di capitali freschi dall'America a permettere all'Iso-Rivolta addirittura il finanziamento della squadra F1 di Frank Williams.

Si parlò di una “bomba”: trattative con la Citroen! Qualcuno pensò al rilevamento della Maserati, altri hanno detto – a rovescio – della possibilità che De Tomaso cedesse invece alla casa francese, per la sua “dependance” modenese Maserati, l'area de “La bruciata”, dove la Maserati avrebbe potuto spostarsi rinunciando all'area ormai troppo centrale di via Ciro Menotti.

Alla Citroen occorre anche spazio per la produzione dei motori della SM, che poi sono anche quelli che con qualche lieve modifica equipaggiano la Merak. Per la SM, si vorrebbe poterla produrre direttamente a Modena.

A questo punto la situazione è entrata in stallo. Dalla De Tomaso smentiscono tutto. Dicono che stanno lavorando nella nuova area, ma sembra che appaia poco. D'altro canto anche alcuni collaboratori molto vicini all'argentino se ne sono andati.

La situazione appare fluida. Le uniche certezze sono che la Benelli non pensa di partecipare alle corse di quest'anno (anche quei milioni sono considerati necessari) e che la Guzzi – chaperon il suo nuovo presidente DeTomaso – ha appena presentato la produzione motociclistica '73.

FINE

p.s. Noi sappiamo come andò. Nel 1973 Citroen pose in liquidazione via Ciro Menotti, l'azienda riuscì ad evitare la chiusura e nel 1975 tramite la Benelli l'Alejandro mise le mani sul Tridente. Ma questa è un'altra storia...

Cinque anni dopo quel 1975, altra intervistina, questa volta da parte di Quattroruote: siamo nel 1980. Questa volta Alejandro non ha molto spazio per divagare, perché è sottoposto ad una serie di domande tipo “intervista delle Iene”.

In che anno nacque la De Tomaso?

Industries?

Sì.

1973. Prima si chiamava Rowan.

Sede sociale?

New Jersey.

Lei, che percentuale controlla?

Il 50,8%.

Quante società ingloba la De Tomaso?

Innocenti, Benelli, Guzzi, Maserati. E, negli Stati Uniti, alcune altre.

Dipendenti?

Fra America e Italia?

Sì.

Circa ottomila.

In cassa integrazione?

L'Innocenti, quattrocento.

Il fatturato annuo complessivo?

Duecento miliardi, uno più, uno meno.

L'utile del 1979?

Più di tre miliardi.

E nell'80, quale sarà?

Penso meno del '79. Troppo presto, comunque, per pronunciarsi.

La De Tomaso Industries è quotata in borsa?

Sì.

Distribuisce dividendi?

Generalmente, preferiamo capitalizzare gli utili.

Quanto vale un'azione oggi?

Oggi come oggi, fra i quattro dollari e cinquanta e i sei.

Quanti sono gli azionisti?

Duemila settecento.

Più italiani o stranieri?

Stranieri.

Solo americani?

In grande maggioranza.

A quante aziende agonizzanti ha ridato vita?

Quattro, cinque. Non sono mai entrato in un'azienda completamente sana.

Perché?

Preferisco conquistarla. Rimettere in sesto un'azienda è una sfida affascinante.

Quando cominciò ad amare i motori?

Li ho sempre amati.

La sua prima vettura?

Una Ford modello '21-'22.

Oggi, quante ne possiede?

Mie?

Sì.

Nessuna.

Guida lei o l'autista?

Mi faccio guidare.

Il suo abituale mezzo di trasporto?

L'aereo.

Personale?

Sì.

La sua prima gara?

1949.

Dove?

Rosario, Argentina.

L'ultima?

Sebring.

Perché smise di correre?

Producevo già vetture: non potevo far bene le due cose. Per mancanza di tempo, insomma.

Corse ne ha più vinte o perdute?

Perdute.

Vinte?

Una ventina.

L'alloro più prestigioso?

La vittoria di classe alla 24 ore di LeMans.

Ha nostalgia delle gare?

No.

Il più grande pilota dei suoi tempi?

Fangio e Clark.

Perché Fangio?

Dominava l'automobile, purché sopra i due litri e mezzo.

E Clark?

Andava forte con tutte le vetture.

E di oggi?

Non ne vedo.

E Lauda?

Bravo, ma anche una grossa montatura: più italiana che straniera.

La migliore vettura di formula 1 del mondo?

Sono tutte uguali.

Cos'ha reso grande Ferrari?

Il genio.

Tecnico o imprenditoriale?

Più imprenditoriale. E anche grande costanza e capacità di soffrire.

La sua filosofia d'imprenditore privato?

Produrre alle migliori condizioni possibili, al servizio della comunità.

Sono più in crisi gli imprenditori o i sindacati?

Non facile mettere in crisi gli imprenditori in un Paese libero.

E i sindacati?

Sono in crisi.

L'animo dei suoi dipendenti verso di lei?

Non so.

Il suo verso di loro?

Un senso di dovere verso chi, appunto, appartiene alla comunità.

È lei più vittima dei sindacati o più questi vittime sue?

Più io di loro che loro di me.

Tratta più volentieri con la CISL, la UIL o la CGIL?

La CGIL.

Perché?

Più lungimirante.

In che senso?

Ha la convinzione che le aziende da noi amministrate domani saranno sue. Quindi non ne vuole il dissesto.

Consulta spesso il consiglio di fabbrica?

No.

E' sempre solo lei a decidere quando premiare i dipendenti?

D'accordo con i miei collaboratori.

E li premia spesso?

Direi di sì.

Come?

Con aumenti salariali di merito, riconoscendogli la professionalità.

Le sta bene lo “statuto dei lavoratori”?

Come legge concettuale, sì.

E come applicazione?

Assolutamente no.

Ci vorrebbe anche quello “dell'impresa”?

Sì.

Richiederebbe a Mandelli la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici, svuotato degli accordi integrativi aziendali?

Credo di sì. Molte aziende, oggi, favoriscono l'inflazione.

Quante ore l'anno lavora un addetto all'industria motoristica giapponese?

Dalle duemila alle duemila trecento.

E americana?

Dalle milleseicentocinquanta alle millesettecentocinquanta.

E italiana?

Millecinquecento-millecinquecentocinquanta.

I sindacati rappresentano ancora gli operai?

Penso di no.

Negli ultimi due anni il sindacato è cambiato?

A parole.

Cioè?

Ha capito che un certo linguaggio non deve usarlo.

Quale?

Quello allusivo in qualche modo alla violenza, che però il sindacato continua a esercitare.

Violenza calda o fredda?

Fredda.

Il suo salvataggio più sudato?

La Maserati.

E l'Innocenti?

Meno.

Chi detiene il pacchetto di maggioranza dell'Innocenti?

In questo momento, la De Tomaso Industries.

Lei quanto ha?

Niente.

Che aspetta a rilevare la maggioranza?

Ma io lavoro per la De Tomaso Industries.

Le gemme della sua corona d'imprenditore?

E' come chiedere a un padre quale figlio ama di più.

Le sue aziende sono tutte attive?

Sì.

Anche la Maserati?

No. Nel 1979 ebbe perdite d'esercizio per un miliardo e seicento milioni.

La Maserati è ancora sotto amministrazione controllata?

No.

Ma lo fu?

Per un paio d'anni.

Quando?

Nel 1954.

La situazione alla Maserati è ancora insostenibile?

E' molto migliorata.

Grazie a cosa?

Alle lotte.

Di chi?

Mie e del sindacato.

La Maserati si trasferirà nel Sud?

Se a Modena non fosse ripresa l'attività che volevo, l'avrei trasferita altrove.

Nel Sud?

Trasferita. Nel Sud, comunque, qualche cosa farò.

Cosa?

Ci sto pensando.

In quale Sud?

Centro-Sud.

Non teme le reazioni dei modenesi?

No, perché il sindacato modenese in questo momento non vuole che le aziende modenesi s'ingrandiscano a Modena.

E dove dovrebbero ingrandirsi?

Nel Sud.

Che sarebbe stato di lei senza la Gepi?

Mi sarei rivolto altrove. Chi vuol fare trova sempre.

L'hanno accusata d'astuta speculazione sui contributi statali?

Sì, i sindacati.

Su quale base?

Essi non hanno bisogno di alcuna base, né alcun argomento, né per dire si, né per dire di no, né per accusare, né per assolvere.

Ne è proprio sicuro?

Sicurissimo. Toccati dalla grazia, agiscono per volontà divina.

Produce più volentieri auto o moto?

Non fa differenza. Ma produrre moto è più difficile.

Perché?

La meccanica è più complicata.

Tecnologicamente, nel campo delle auto, siamo più avanti noi o i giapponesi?

Non abbiamo niente da invidiare ai giapponesi.

Anche in quello delle moto?

Anche in quello delle moto.

Quali concorrenti europei teme di più?

Nel settore automobilistico, i francesi.

E in quello motociclistico?

I tedeschi.

La BMW?

E' un ottimo prodotto.

E i giapponesi?

Non riesco a concepirli come concorrenti in un libero mercato.

Perché?

La loro etica è troppo diversa dalla nostra. Sono concorrenti sleali per ragioni religiose. Il lavoro, per loro, è un valore morale. Bisogna fermarli con le leggi.

E gli americani?

Lealissimi. Non mi fanno paura.

L'Alfa Romeo è più una grande marca o una grossa rogna?

Una grande marca.

E' favorevole all'accordo Alfa-Nissan?

No.

Fra i suoi colleghi imprenditori ha più amici o nemici?

Difficile rispondere.

Perché?

Gli amici si riconoscono nel bisogno.

Perché dice che, dal '69, la Confindustria ha gestito malissimo il problema sindacale?

Ha forse favorito,presso una certa opinione pubblica, l'immagine di imprenditori che badano solo al proprio tornaconto, infischiandosene di quello della comunità.

Lei ha sempre ragione?

Come potrei, non essendo né di sinistra, né sindacalista?

I fatti non l'hanno mai smentita?

Qualche volta.

Preferisce parlare o ascoltare?

Dipende dall'interlocutore.

Con le donne?

Ascoltare.

Deve il suo successo più alla fortuna o all'abnegazione?

L'abnegazione propizia la fortuna.

Alla spregiudicatezza o all'ottimismo?

All'ottimismo.

E' davvero come Mida? Quel che tocca diventa oro?

No.

C'è qualcosa di cui farebbe volentieri a meno?

INDOVINI UN PO'.

E qualcosa a cui non potrebbe rinunciare?

Alla mia fede d'imprenditore.

Quante ore al giorno lavora?

Finché mi diverto.

A che ora va a letto?

Dopo mezzanotte.

E si alza?

Alle sei.

Che fa, di lecito, quando non lavora?

Giardinaggio e motocicletta.

Guzzi o Benelli?

Entrambe.

E d'illecito?

Meglio non dirlo.

Come si rilassa, se si rilassa?

Leggendo.

Che cosa?

Storia.

Fa sport?

Ne ho fatto molto da giovane.

E alle donne ci pensa?

Sempre.

Ricambiato?

Sono un gentiluomo.

Ce ne sono di due tipi, lo sa?

Cioè?

Quello che si fa uccidere, ma tace: e quello che si fa uccidere, ma parla.

Io taccio.

Cosa leggeremo sulla sua tomba?

Ma, fra un secolo, chi si ricorderà di me?

(IO)

A questo punto per me la domanda che rimane è solo una. Chissà cosa faceva di illecito nel tempo libero. :mrgreen:

EBBASTA! :lol:

Modificato da PaoloGTC

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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E' stato bello leggere questa intervista, grazie paolino GTC mi mancavano le tue retrospettive.:D:D

Che tristezza pensare ad oggi e vedere come l'azienda creata da questo argentino/modenese sia stata mortificata da quel personaggio truffaldino...........:(r

https://www.facebook.com/SpiderCabrio

il portale dell'evento dedicato a tutte le vetture scoperte di ogni epoca e marca.

Support the page;)

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Cinque anni dopo quel 1975, altra intervistina, questa volta da parte di Quattroruote: siamo nel 1980. Questa volta Alejandro non ha molto spazio per divagare, perché è sottoposto ad una serie di domande tipo “intervista delle Iene”.

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mammamia! Mi sento chiamato un po' in causa, avendo vissuto per 3 anni e mezzo nel capoluogo tra i 2 fiumi ;) Lo stabilimento vicino all'uscita Modena nord l'ho visto eccome, vicinissimo al centro commerciale ed a Modena Fiere: fa molta tristezza, come tutte le grandi realtà automobilistiche in rovina... Vorrei sottolineare che la Bruciata è zona molto nota anche per certe donzelle che lavorano di notte :mrgreen:

Scherzi a parte, quest'uomo, secondo me, non aveva nulla da invidiare ad Enzo Ferrari: quest'ultimo però ha avuto più fortuna...

La fabbrica della Maserati, nonostante tutto, è ancora lì, ormai circondata da complessi abitativi e, ironia della sorte, dirimpettaia del museo che ingloba la casa natale di Enzo Ferrari :D (per inciso, la struttura esterna di questo museo mi fa ribrezzo, per quel che ho visto: un enorme padiglione giallo con delle feritoie, che simula il cofano motore di una Ferrari, appunto. Orribile, a mio avviso, che stona non poco con il vecchio stabile in cui era nato il Drake).

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Passando col treno, si possono vedere (stando in piedi però :D ) le linee di montaggio della Maserati ;)

Un capitolo a parte meriterebbe l'Autodromo di Modena: esistono pochissime foto a riguardo, in quanto fu smantellato negli anni '70 per fare un parco con un laghetto (parco Ferrari), in quanto era "troppo vicino al centro", da quanto ho potuto capire dai racconti di chi ha già qualche capello bianco; ora però è stato ricostruito, fuori Modena. Qui potete trovare informazioni sulla sua storia e sul nuovo:

Autodromo di Modena | Autodromo | Storia

Tornando ad Alejandro, lascia veramente l'amaro in bocca la sua vicenda, alla luce di come è stato bistrattato il marchio da quel truffatore professionale dal nome rubicondo...

Un altro argentino che ha fatto fortuna e sembra mantenerla è invece il buon Horacio Pagani, ma questa è un'altra storia ;)

Mi piace comunque l'idea di DeTomaso sui sindacati, a mio avviso la situazione è tale e quale ad oggi!

Modificato da Nick for Speed

"Ci sono persone che amano circondarsi di cose il cui valore concreto si esprime anche nel valore formale. Molto probabilmente una Lancia fa parte del loro mondo."

dsarygf.jpg

"Il successo non si improvvisa, ma al contrario è sempre frutto di fantasia, applicazione, dedizione e tenacia." (Vittorio Ghidella)

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.....

Tornando ad Alejandro, lascia veramente l'amaro in bocca la sua vicenda, alla luce di come è stato bistrattato il marchio da quel truffatore professionale dal nome rubicondo...

Un altro argentino che ha fatto fortuna e sembra mantenerla è invece il buon Horacio Pagani, ma questa è un'altra storia ;)

Mi piace comunque l'idea di DeTomaso sui sindacati, a mio avviso la situazione è tale e quale ad oggi!

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Peccato, peccato davvero.:( Duole vedere un marchio nobile come De Tomaso aver fatto la fine che tutti conosciamo.

Da principio ero molto entusiasta del fatto che ci fosse un imprenditore che avesse intenzione di riportare questa casa ai livelli che gli competono, poi però la piega che via via è andata prendendo la vicenda pare non lasciare nulla di buono da sperare. In ogni caso la scelta di ritornare alla ribalta con un SUV, benchè di lusso, anzichè con una GT che rinverdisse il mito Pantera (auto che ho sempre adorato) seppur fosse andata in porto come operazione non mi avrebbe entusiasmato neanche un po'.

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Mi riservo di leggere tutta l'intervista con più calma ed attenzione, per il momento posso solo scrivere che Alejandro De Tomaso non l'ho mai conosciuto né incontrato, ma ho conosciuto diverse persone (e con alcune di loro ho anche a lungo lavorato) profughi dalla Ghia della sua gestione; beh, da nessuno di loro ho ascoltato giudizi positivi sulla sua professionalità e la sua gestione aziendale che portò la Ghia (quindi anche Vignale e Michelotti) prima al fallimento, poi in bocca alla Ford.

Non riporto né emetto giudizi proprio perché non ho avuto esperienze dirette con lui, ma le persone citate che lo hanno conosciuto (e mooolto poco stimato) erano e sono di mia massima stima e fiducia e loro erano unanimi nei loro ricordi.

"ciò che non c'è non si può rompere" (Henry Ford I).

"Non condivido ciò che dici, ma lotterò sempre affinché tu possa continuare a dirlo" (Voltaire).

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Guest EC2277

DIVORZIO ALL'AMERICANA

Imprevedibile, vulcanico, eclettico, così è stato sempre definito De Tomaso, da quando nel lontano 1954 approdò in Italia.

Prima come corridore fece parlare di sé, poi la passione per le auto lo trasformò nel 1958 in costruttore. Da allora è stato continuamente in ascesa.

Hanno fatto la storia le sue iniziative a sorpresa, anche a volte annunciate e mai realizzate. Ma è sempre stato negli ultimi anni sulla cresta dell'onda, con l'abilità propria dei Big-Manager.

A fine 1972 i colpi di scena pirotecnici, marca De Tomaso, si sono moltiplicati. Dalla bomba Guzzi alla rottura con la Ford. La grande di Detroit, di cui De Tomaso era uno dei vicepresidenti, gli compra il 20 per cento delle azioni che rimanevano all'argentino-modenese, della fabbrica d'auto che porta il suo nome e produce le Pantera e le Deauville, e lo liquida con un assegno a detta di molti vistosissimo, per altri ridottissimo.

La notizia coglie di sorpresa il mondo automobilistico e quello finanziario e ancora ci si chiede perchè, che cosa sia successo all'interno del colosso di Detroit per giungere ad una rottura così repentina.

Le ragioni possono essere tante, piccole e grandi,ma forse una è molto vera, la più vera di tutte: l'invidia, il vero male della società moderna, a livello di uomini come di gruppi, di enti, di nazioni.

Per capire le ragioni di questa “invidia” sfociata in un “licenziamento” bisogna andare un po' indietro nel tempo, quando in una riunione a Detroit di tutti i massimi dirigenti Ford, alla presenza dello stesso Henry Ford II, Alejandro De Tomaso nella sua qualità di vicepresidente chiese il “permesso” di acquistare la Benelli di Pesaro, perchè, spiegò, “l'affare è conveniente”.

Henry Ford II in persona gli diede il permesso, senza il quale De Tomaso non avrebbe potuto far nulla, perchè la sua carica in seno alla Ford era incompatibile con l'acquisto citato.

Acquistata la Benelli, una ditta con un forte passivo, De Tomaso dà nuova energia e linfa vitale all'azienda, che infatti dopo un anno da un fatturato di 3-4 miliardi passa a 10 miliardi con una previsione per il 1973 di 16-17.

L'argentino di Modena, nel frattempo, entra in concorrenza con le super-moto giapponesi e lancia sul mercato moto super frazionate di grossa cilindrata.

detomasoebenelli.jpg

L'azione si sposta ancora una volta a Detroit.

Nella solita riunione dei “big” Ford, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che, bruciando le tappe, De Tomaso aveva acquistato il pacchetto azionario della Moto Guzzi che era in mano alla SEIMM, un ramo della IMI (Istituto Mobiliare Italiano), una delle principali banche creditrici della casa di Mandello.

Bisogna precisare, a questo punto, che De Tomaso è anche presidente della Rowan, la società americana che ha la maggioranza della Benelli. La Benelli quindi ora si trova a sua volta proprietaria della Guzzi.

Sembra un giro complesso ma la realtà è una sola: le due industrie motociclistiche italiane, che nel '72 hanno avuto un fatturato totale di 22 miliardi di lire e che occupano nel complesso 1800 operai, sono di proprietà di Alejandro De Tomaso.

E ora ritorniamo alla famosa riunione dei “big” di Detroit. Voci indiscrete raccontano: nella lussuosa sala tutta di legno pregiato, con un fornitissimo bar ad esclusivo uso e consumo di Henry Ford II, tutti i maggiorenti dell'impero automobilistico fanno corona attorno al Gran Capo, il quale improvvisamente, fra un bicchiere di whisky e l'altro apostrofa De Tomaso dicendogli: “Allora siamo diventati padroni oltre che della Benelli anche della Moto Guzzi. Bravo, mi piacciono le moto.”

Tutti sorridono e annuiscono soddisfatti alle parole del Capo. Solo De Tomaso, rimane imperterrito, si alza e precisa: “La Ford non c'entra nulla nelle due operazioni Benelli e Guzzi. Le due società sono di mia proprietà.”

Per un attimo ad Henry Ford pare sia andata di traverso l'ennesima razione di whisky. Un silenzio glaciale è calato nell'immensa sala delle riunioni.

Nessuno osava fiatare. La riunione veniva aggiornata e i “big” della Ford sfollavano.

Tutti gli avvocati a disposizione sarebbero poi stati convocati per vedere come si poteva chiarire la cosa.

Ford credeva che la sua proprietà fosse dell'ordine di 80 per cento e il resto di De Tomaso, anche nelle due nuove acquisite. Ma De Tomaso appariva invece in una botte di ferro e gli avvocati di Ford non potevano fare nulla.

Non gli possiamo prendere le moto, ma gli toglieremo le auto”debbono essersi detti a Detroit. Così scattava la cosiddetta “Operation Ghia.”

Modificato da EC2277
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Grazie Paolino, ho letto tutto con sommo interesse...ed un pizzico di rammarico persino......

Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos' hanno prodotto? Gli orologi a cucù.( O.Welles)

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